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La malattia di Parkinson. Maurizio Facheris direttore associato della Fondazione M.J.Fox di New York spiega lo studio e i progressi della ricerca

Creato il 21 agosto 2012 da Robertoerre

// Roberto Rinaldi

La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa ad evoluzione lenta, ma progressiva del sistema nervoso centrale, caratterizzata dalla degenerazione di neuroni originati da un nucleo presente nel mesencefalo, dove viene prodotta la dopamina che assume le funzioni di neurotrasmettitore, in grado di pianificare l'armonia, la coordinazione, la fluidità dei movimenti. Tra i problemi che colpiscono il sistema nervoso umano nella malattia di Parkinson, uno è proprio quello della carenza di dopamina. Questa malattia è responsabile del cattivo controllo dei movimenti e dell'equilibrio.

Il suo nome deriva da James Parkinson, un medico inglese vissuto nel Diciannovesimo secolo e il primo a descrivere alcuni dei sintomi della malattia, pubblicati nel “Trattato sulla paralisi agitante”. Diffusa in tutto il mondo, classificata nell' elenco delle patologie iscritte sotto il nome di “Disordini del Movimento”, colpisce indistintamente tutti i gruppi etnici ed entrambi i sessi, rappresentando la quarta malattia neurologica degenerativa più comune negli anziani. Ne è affetta l'1% della popolazione mondiale e la sua insorgenza avviene intorno ai 57/60 anni (colpisce una persona su mille) ma c'è anche una casistica che rileva un 5% di persone tra i 21 e i 40 anni che accusano i primi sintomi della malattia.

 

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(dottor Maurizio Facheris)

 

«Gli studi più aggiornati – spiega il dottor Maurizio Facheris, neurologo e specialista in disturbi del movimento – definiscono il Parkinson come una malattia complessa, causata da una “combinazione tra predisposizione genetica e fattori di rischio ambientali”. Da quando nel 1997 si è scoperto che la mutazione di un gene che codifica per la proteina alfa-sinucleina è responsabile per una forma familiare di malattia di Parkinson, la ricerca ha fatto enormi passi avanti e molti altri geni sono stati identificati anche in forme di Parkinson non familiare (forme cosiddette “sporadiche”). Tuttavia la predisposizione genetica non è sufficiente a spiegare la causa della malattia e l’influenza dell’ambiente in cui viviamo o la ricerca di marcatori clinici diagnostici o di progressione sono ora le priorità della ricerca sul Parkinson. Attualmente l’unico modo per fare diagnosi è riconoscere clinicamente i sintomi della malattia perché non esistono ancora esami biologici (del sangue, delle urine, o del liquido cefalorachidiano) che permettano di fare una tempestiva diagnosi clinica.

I sintomi della malattia di Parkinson sono caratterizzati da tremore, rigidità e rallentamento dei movimenti. Il tremore, che si manifesta solo nel 60-70% di tutti i casi di Parkinson, compare per la maggior parte dei casi a riposo, quando la persona non è in movimento, ed esordisce frequentemente in uno degli arti superiori.

Oltre al tremore, i segni più caratteristici sono il rallentamento della velocità dei movimenti, chiamato con il termine bradicinesia, e la rigidità muscolare. A questi sintomi si associano con il passare del tempo anche l'instabilità posturale e tutta una serie di disturbi non motori (come i disturbi del sonno, i disturbi del sistema autonomico, etc.), che spesso influenzano negativamente la qualità di vita di un paziente con malattia di Parkinson. Inoltre, in maniera variabile dopo cinque, dieci, quindici anni dall'insorgenza della malattia molti pazienti lamentano quello che i neurologi chiamano fluttuazioni motorie. In questi casi la terapia sembra funzionare in maniera intermittente e imprevedibile, creando molto disagio tra i pazienti.

Un’altra complicazione motoria, prevalentemente legata alla maniera in cui la terapia viene somministrata, ma anche all’evoluzione della malattia stessa e alla predisposizione genetica, è la comparsa di discinesie: movimenti involontari, stereotipati e anomali del corpo. Non tutti sviluppano subito questi sintomi e le nuove formulazioni terapeutiche sembrano ritardare l’insorgenza di queste complicazioni motorie». La malattia rappresenta un evento che coinvolge non solo la persona affetta, ma anche i suoi famigliari. Gestire la sintomatologia del Parkinson richiede uno sforzo di adattamento costante e per farlo è necessario far conoscere le caratteristiche cliniche della malattia a tutti, compresi anche i parenti o chi assiste nella gestione della cura, per evitare di farsi prendere dallo sconforto. Questa patologia che ha un'evoluzione progressiva ed è cronica, porta a volte problemi di accettazione da parte dei pazienti e dei loro famigliari.

La Neurologia studia il Parkinson, il primo approccio alla diagnosi, alla cura e alla relazione con il paziente, con l’obiettivo di instaurare un rapporto di fiducia tra paziente e medico e permettere a quest’ultimo una conoscenza approfondita della vita del paziente. Il confronto che deve avere il neurologo con il malato è fondamentale per delineare un'anamnesi il più dettagliata possibile, e successivamente individuare la cura più efficace possibile, anche da un punto di vista, psicologico-comportamentale.

 

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(Tomografia ad Emissione di Positroni con fluorodopa (18F-DOPA PET): una delle tecniche di neuroimmagine disponibili per studiare la malattia di Parkinson".)

 

«Le complicazioni psicologiche legate al Parkinson non devono essere sottovalutate: spesso, per esempio, insorge una depressione che io definisco “chimica” – prosegue nell'intervista, Maurizio Facheris - perché la diminuzione di dopamina altera alcuni meccanismi biologici nel cervello che a loro volta si manifestano con un calo del livello di serotonina. Lo specialista che ha in cura il malato parkinsoniano quindi deve agire anche mediante un supporto morale. In un paziente che si rende conto della progressiva perdita di movimento e dell'inibizione ad una vita regolare che permetta la sua autonomia, subentrano fattori depressivi anche gravi. Il medico deve saper affrontare questo aspetto clinico durante l'attività ambulatoriale. È necessario rinforzare l'umore del paziente, sollecitandolo a continuare ad avere una vita sociale il più possibile adeguata. Saper comunicare, ascoltare e saper istituire una relazione di fiducia per la gestione della terapia è una parte fondamentale del lavoro del medico. Va spiegato ai pazienti che non devono aver paura di parlare della loro malattia».

Il dottor Maurizio Facheris, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Brescia, e si è specializzato in Neurologia presso la Facoltà di Medicina di Milano-Bicocca con una tesi sul “Ruolo della perossidazione lipidica e dello stress ossidativo nelle patologie neurodegenerative”. Attualmente lavora negli Stati Uniti, unico scienziato italiano ad essere stato scelto dalla Fondazione Michael J. Fox di New York, per le sue competenze dimostrate nel campo della ricerca sul Parkinson. Originario di Bergamo, ha lavorato a Bolzano come ricercatore al Centro di Biomedicina dell'Eurac e all' Ambulatorio per i disturbi del movimento che fa capo al reparto diNeurologia dell'Ospedale centrale di Bolzano. Il messaggio che intende diffondere il dottor Facheris è quello di promuovere l'ascolto, la comprensione e il sostegno tra le persone che soffrono di questa patologia, per favorire uno scambio comunicativo e informativo, la rassicurazione di non sentirsi soli e la vicinanza emotiva.


 

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La cura deve comprendere anche una continua assistenza informativa e psicologica, al fine di poter aiutare efficacemente i malati e i loro famigliari per dare loro gli strumenti che permettano di migliorare la qualità di vita. «Da quando sono arrivato alla Fondazione Fox questo aspetto del mio lavoro non è più così quotidiano, anche se ogni tanto capita di parlare con i malati negli eventi organizzati o quando pubblichiamo i risultati degli studi clinici che finanziamo. Ma nei vari progetti di ricerca che prendiamo in considerazione, l’attenzione al paziente e ai suoi bisogni è centrale. Per continuare con il tema della depressione, per esempio, abbiamo recentemente pubblicato sul nostro sito web (www.michaeljfox.org) i risultati di uno studio su antidepressivi che dimostrano efficacia senza peggiorare i sintomi motori della malattia».

Il dottor Facheris ha conseguito nel suo percorso di studi un master in ricerca presso la Clinica Mayo in Minnesota (Stati Uniti), dove ha potuto approfondire i suoi studi nel campo dell'epidemiologia genetica legati alla malattia di Parkinson. La sua attività di specialista in neurologia in Italia, prima della decisione di trasferirsi negli Stati Uniti, l'ha svolta dal 2007 al 2011 a Bolzano, presso l’Ospedale di Bolzano. Inoltre ha svolto attività come ricercatore al Centro di Biomedicina dell'Eurac, dove è stato coordinatore scientifico nella fase di progettazione e lancio dello Studio CHRIS, un progetto di ricerca epidemiologica e prospettica sulla salute degli abitanti dell'Alto Adige. Il“Cooperative Health Research In South-Tyrol” è un progetto di ricerca epidemiologica-genetica, nato come collaborazione tra il Centro di Biomedicina e l’Azienda Sanitaria di Bolzano per determinare i fattori di rischio di patologie neurologiche, cardiovascolari e di medicina metabolica. 

 

Prosegue ancora Maurizio Facheris: «Inizialmente mi è stato chiesto di riavvivare la ricerca sulla malattia del Parkinson che il dottor Peter Pramstaller, direttore del Centro di Biomedicina aveva già iniziato. Il mio primo “incarico” è stato quello di “reclutare” cento pazienti e cento controlli per raccogliere informazioni cliniche e genetiche. Questo mi ha permesso di far entrare Bolzano in un Consorzio internazionale (GEO-PD: Genetic-Epidemiology of Parkinson’s Disease) che studia le interazioni tra la genetica e l’ambiente nella malattia di Parkinson e di gettare le basi per uno studio di ricerca epidemiologico. Nel 2008-2009 ho iniziato a collaborare con il Consorzio che è coordinato dal dottor Jim Maraganore, neurologo e ricercatore a livello internazionale, che è stato anche il mio mentore alla Clinica Mayo quando ho svolto il master. La ricerca iniziata da Peter Pramstaller insieme Christine Klein dell'Università di Lubecca era inizialmente orientata sul Parkinson famigliare. Mi è stato chiesto di espandere questa ricerca. Grazie al rapporto che ho instaurato con il Consorzio GEO-PD, ho avuto la possibilità poi di farmi conoscere dalla Fondazione Fox di New York».

Il suo nuovo incarico ora è quello di direttore associato, unico medico neurologo del gruppo di nove scienziati che fanno parte del gruppo di ricercatori. L'esperienza acquisita, sia nel campo clinico con pazienti affetti dal Parkinson, sia nella ricerca svolta al Centro di Biomedicina, di Bolzano, gli è valso l'incarico di “manager della ricerca” nell'istituto fondato dal celebre attore, a sua volta affetto dalla malattia neurologica.

 

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 «La Fondazione Michael J. Fox è nata nel Duemila con lo scopo di raccogliere fondi per promuovere progetti di ricerca e il suo ruolo fondamentale è proprio quello di accelerare la ricerca, finanziando progetti rischiosi ma con grande potenziale, in modo che l’industria possa sentirsi “rassicurata” nel proporre e sovvenzionare trial clinici in base ai risultati delle ricerche che noi finanziamo. L'obiettivo è infatti quello di promuovere lo sviluppo di farmaci (e in ultimo una cura definitiva) grazie alla collaborazione tra ricercatori e industrie farmaceutiche. Chiunque può mandarci delle proposte che poi noi in Fondazione scegliamo.

Siamo la prima fondazione privata e la seconda organizzazione internazionale dopo il Ministero della Sanità Americano che si occupa nello specifico di finanziare studi scientifici per curare il Parkinson. In questo istituto ci lavorano circa settanta persone: c’è chi si occupa della raccolta dei finanziamenti tramite l'organizzazione di eventi, chi gestisce le donazioni, chi lavora sulla comunicazione continua con i benefattori, i pazienti, le campagne di sensibilizzazione e la comunità scientifica.

A livello di ricerca, c’è chi si occupa delle relazioni con le case farmaceutiche, chi gestisce le parti operative ed infine il gruppo degli “scienziati”. Le decisioni – spiega Maurizio Facheris – vengono sempre prese in modo indipendente da un consiglio scientifico formato dai ricercatori che lavorano per la Fondazione e da ricercatori esterni esperti nel settore; il consiglio scientifico valuta le proposte che arrivano da tutto il mondo, prestando attenzione sia al valore scientifico che agli aspetti operativi, in alcuni casi proponendo anche cambiamenti e consigli in modo da aumentare la possibilità di successo di un progetto. 

 Io gestisco il budget della Fondazione per quanto riguarda i progetti a carattere prevalentemente clinico provenienti sia dagli Stati Uniti che dall'estero. Il nostro lavoro è quello di dedicarci a tempo pieno per sviluppare e migliorare progetti che portino allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici in grado sia di ridurre i sintomi e migliorare la qualità di vita dei pazienti, sia di rallentare, bloccare o invertire la progressione della malattia. Il mio lavoro richiede un giusto equilibrio tra conoscenze scientifiche, esperienza nella gestione del paziente con malattia di Parkinson, capacità di coordinazione e gestione di progetti, conoscenze amministrative e capacità umane di interrelazione.

 

Se non avessi goduto dell'esperienza professionale e umana che mi è stata offerta a Bolzano, la ricerca clinica, gli studi genetici e sull'ambiente, la progettazione dello Studio CHRIS, le relazioni con i pazienti, ora non potrei trovarmi qui a New York. Per questo devo molta riconoscenza aPeter Pramsteller che è stato per me un vero maestro di vita, sia dal punto di vista professionale che umano. Devo molto anche al primario di Neurologia, il professor Rudolf Schönhuber, per avermi sempre sostenuto nelle mie decisioni, compresa quella di partire, anche se a malincuore, dicendomi che non mi avrebbe rinnovato l'incarico annuale se non avessi accettato la proposta che arrivava dalla Fondazione Fox. La gratificazione maggiore è arrivata quando sia il dottor Pramstaller che il professor Schönhuber mi hanno detto che avrebbero avuto ancora una particolare attenzione nell'assegnarmi un nuovo incarico a Bolzano, se un giorno io decidessi di tornare in Italia. A dire il vero, mi sento fortunato per aver potuto usufruire di ottime esperienze anche quando ero studente. La tesi di laurea l'ho svolta nel reparto di Neurologia a Brescia con una tesi di ricerca seguita dal professor Alessandro Padovani, primario neurologo che ha creduto in me e nelle mie potenzialità come ricercatore.

Desidero ricordare anche il professor Carlo Ferrarese che mi ha seguito nella specializzazione a Milano, un medico che ha saputo sempre valorizzare chi intendeva fare ricerca. Non posso dimenticare il dottor Walter Rocca, un altro mio mentore che mi ha seguito durante il master alla Clinica Mayo nello svolgere la ricerca clinica ed insegnarmi le basi dell’epidemiologia. La neurologia mi ha sempre affascinato, fin da quando ero studente. La considero una disciplina scientifica misteriosa e fondamentale per capire come funziona il cervello, organo incredibile in cui purtroppo si sviluppano malattie come il Parkinson e l'Alzheimer, l'epilessia e la sclerosi multipla, patologie di cui non si conoscono ancora bene le cause. Sono convinto che troveremo una cura per il Parkinson ma non possiamo trascurare il fatto che parte della nostra attuale missione è quella di migliorare la qualità di vita e di stabilizzarla a livello sintomatico».  

 

Per maggiori informazioni www.michaelijfox.org / www.eurac.edu 

 



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