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La malattia mentale e la parola creativa. Intervista a Gianna Deidda

Creato il 20 marzo 2013 da Sulromanzo

Gianna Deidda«È stata una bellissima festa lì nella bella Libreria delle Donne. C’erano esposti sul banco più di un centinaio dei miei libri… Tutti i presenti hanno voluto il libro per leggerlo e mentre io mettevo l’autografo… suonava in sordina un bellissimo tango d’amore che mi ricordava di te e del tanto amore fatto tra noi».

È il 23 ottobre del 1982. Costanza Caglià, un’ex paziente dell’ospedale psichiatrico di San Salvi, a Firenze, diviene scrittrice e vince il primo premio in un concorso letterario istituito per gli ospiti del Pensionato comunale di Via del Porcellana, dove alloggia grazie alla legge Basaglia. Subito dopo, nel dicembre 1983, l’agile volumetto viene pubblicato da La Libreria delle Donne di Firenze con il titolo L’amore con Erode.
È un diario scritto in forma di lettera che narra la relazione d’amore tra l’autrice e Torello Van-nucci, un paziente dell’ospedale psichiatrico, che lei chiama Erode il Grande.
L’amore con Erode torna in scena il 28 aprile al Teatro delle Arti di Lastra Signa con l’attrice Gianna Deidda, che ho intervistato.

PP: Come è avvenuto l’incontro con L’amore con Erode?
GD: Per caso, durante una chiacchierata con il regista Luca Ferro, che mi parlò del suo corto-metraggio, Fotografie d’amore con Erode. Le immagini di Costanza e Torello, che passeggiano nel giardino di San Salvi furono il primo rapporto personale con la scrittrice. La cosa più toccante, però, fu l’incontro con la parola. La voce di Costanza che, rivolgendosi al treno che passava, leggeva alcuni brani tratti dal suo diario. La sua voce, la sua intonazione, il modo in cui articolava la parola… che, poi, era nata come parola scritta. Anche il personaggio mi ha da subito affascinato, così come la sua storia. Una storia d’amore improbabile in una situazione così improbabile come la dimensione dell’ospedale psichiatrico. Lo spettacolo sarà sulla parola, sulla potenza della parola.

PP: Hai adattato molto il testo per portarlo in teatro?
GD: Ho cercato di intervenire pochissimo: la prima esigenza non era di modificare il testo ma di ridurlo per i tempi teatrali. Il testo è breve, una cinquantina di pagine, ma in teatro significherebbe due ore di spettacolo. Volevo mantenere lo stile e il flusso di pensiero di Costanza che è continuo, con delle deviazioni improvvise. In generale, preferisco mettere in scena testi che non sono stati scritti per il teatro, storie di vita raccontate da persone che magari, apparentemente, non sanno scrivere, perché hanno un modo di affrontare il pensiero e la parola che non è nei canoni e nelle regole e quindi trovano dei modi espressivi straordinari. Ne L’amore con Erode, ci sono un’imprevedibilità e un’originalità uniche.

PP: Perché mettere in scena la malattia mentale?
GD: Io non ho avvicinato Costanza per la malattia mentale… ovviamente, la malattia mentale fa parte di lei, della sua vita. Però, è quella che io chiamo “un’occorrenza” della vita di Costanza.

PP: Un’occorrenza?
GD: Sì, un’occorrenza come ne abbiamo tante: nasciamo in un certo modo, viviamo una certa vita, ci capitano certe cose, queste fanno parte di noi, ma non esauriscono ciò che noi siamo. La malattia mentale in Costanza c’è ed è evidente, ma lei ha contemporaneamente una capacità di pensiero, di espressione, d’amore. Fa un’operazione di trasfigurazione della realtà: s’innamora di Torello e lo trasforma nel ricco re Erode che le ha regalato quello che lei chiama “l’albergo” e che, in realtà, è il pensionato in cui vive. Inoltre, acquista un “pupetto di zucchero” e lo tratta come il figlio suo e di Torello. Sa benissimo che non è un bambino vero e che Torello non è il re Erode. Ci sono questi due piani di realtà che non sono contraddittori: la realtà trasfigurata e la realtà “reale”. Costanza Caglià è riuscita a dare significato alla sua vita piena di dolore, è riuscita, con lo strumento della parola, a dare concretezza a un testo scritto, a farlo giungere fino a noi e a influenzare le nostre vite.
È vero quello che scriveva Basaglia: «Il valore dell’uomo, sano o malato, normale o anormale, va oltre il valore della salute e della malattia, della normalità e dell’anormalità».
E sarà questa la Costanza Caglià che io metterò in scena.

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