La Mano Sinistra di Dio è un thriller tagliente come un bisturi, un inedito viaggio in una mente lucida nella sua follia, un romanzo originalissimo e geniale.

Creato il 29 febbraio 2012 da Rstp

Spudorata, precisa in ogni minimo dettaglio, persino ironica. Terrificante. Così è la voce di Dexter Morgan, che echeggia in questo thriller agghiac­ciante.


Spaventoso Giano Bifronte, Dexter è il miglior esperto della Scientifica di Miami: nessuno come lui sa ricostrui­re la dinamica di un omicidio in base alle tracce di sangue sulla scena del delitto. Ma è anche il più astuto e inaf­ferrabile serial killer della Florida.

Quando c'è luna piena e nella sua mente giunge il richiamo del Passeggero Oscuro, non può resistere all'impulso assassino.

Deve trovare una vittima da sottoporre al suo macabro e spieiato rituale.


Tuttavia Dexter ha un rigoroso codice etico. Non ucciderebbe mai un inno­cente, ma non ha nessuna pietà per pedofìli e maniaci di ogni genere. È un serial killer di serial killer. Perché que­sto gli ha insegnato il suo defunto padre adottivo, l'integerrimo poliziot­to Harry Morgan, dopo averne intuito la latente vocazione omicida: giusti­ziare solo chi se lo merita, farsi mano sinistra di Dio.


Quando a Miami vengono scoperti alcuni corpi smembrati con la sua stessa tecnica e si scatena la caccia al misterioso emulo, le due anime di Dexter vengono drammaticamente a confrontarsi. Come trovarlo senza a sua volta farsi smascherare dalla sorel­la, la poliziotta Debbie Morgan, per la quale l'indagine potrebbe essere l'oc­casione per mettersi in mostra? Come seguirne le tracce senza insospettire la tenace detective LaGuerta della Squadra Omicidi, pronta a tutto pur di fare carriera?


Come arrivare alla veri­tà e sopravvivere al confronto con il proprio lato più oscuro e spaventoso? Raccontato in prima persona da un protagonista che rivaleggia, per cru­deltà e acutezza, con Hannibal Lecter.


La mano sinistra di Dio è un thriller tagliente come un bisturi, un inedito viaggio in una mente lucida nella sua follia, un romanzo originalissimo e geniale. Come ha osservato la critica americana: "Molto tempo dopo aver finito il libro, i lettori continueranno a sognarsi Dexter".


Jeff Lindsay, dopo avere fatto l'attore, il cantautore, il detective, l'autore teatra­le, lo sceneggiatore televisivo e mille altri mestieri, ha conquistato la fama proprio con il personaggio di Dexter Morgan, qui alla sua prima apparizio­ne. Vive nel Sud della Florida con la moglie e tre figlie.


Luna. Luna grandiosa. Luna piena, paffuta, rossa, che illuminava la notte come fosse giorno, che diffonde­va la sua luce dappertutto e portava gioia, gioia, gioia. E con essa le grida a squarciagola della notte tropicale, il sof­fio selvatico e dolce del vento tra i peli delle braccia, il ge­mito vacuo delle stelle, il muggito a denti stretti del rifles­so sull'acqua.
Tutto richiamava al Bisogno. Oh, lo stridore sinfonico di mille voci nascoste, il grido del Bisogno dentro me, Verità, il guardiano silenzioso, la cosa calma e gelida, quello le ride mentre danza sotto la luna.

E il Bisogno era fortissimo, subdolo sinuoso insinuante scoppiettante pressante prontissimo prossimo allo scatto. Eppure se ne stava vigile e paziente e mi imponeva di fare lo stesso. Erano ormai cinque settimane che vigile e paziente tenevo d'occhio il prete. Il Bisogno mi solleticava e mi incalza­va e mi spronava a trovarne uno, trovarne un altro, trovare questo prete.
Da tre settimane sapevo che era lui, che era il prossimo, la preda del Passeggero Oscuro, insieme mio e suo. E ave­vo trascorso quelle tre settimane a resistere all'urgenza, al Bisogno che cresceva in me come un'onda che ruggisce sulla spiaggia senza recedere, che si gonfia sempre più a ogni ticchettio del lucente orologio della notte.
Ma era il tempo della cautela, il tempo degli accerta­menti. Non sul conto del prete: di lui ero già sicuro. Il tem­po trascorso ad accertarsi che si potesse fare per bene, fa­re pulito, curando fino all'ultimo dettaglio. Non potevo la­sciarmi prendere, non ora. Mi ero dato troppo da fare e troppo a lungo perché tutto funzionasse, per tutelare la mia modesta vita felice.
E ci avevo preso troppo gusto per fermarmi proprio adesso.
Perciò ero sempre molto attento. Sempre ordinato. Sempre pronto in anticipo, perché tutto fosse fatto per be­ne. E quando tutto era a posto mi prendevo tempo extra per essere tranquillo. Era il metodo di Harry, che Dio lo benedica, quel poliziotto perfetto, quell'uomo lungimiran­te che era stato il mio padre adottivo. Sii sempre impecca­bile, attento, preciso, aveva detto. Già da una settimana ero sicuro che tutto fosse quanto più possibile Harry-standard. E all'uscita dal lavoro quella sera, sapevo che il mo­mento era arrivato.
Quella era la Notte. Era diversa, lo sentivo: la notte in cui sarebbe accaduto, in cui doveva accadere. Come le vol­le precedenti. Come le successive, ancora e ancora.
Quella notte sarebbe toccato al prete.
Si chiamava padre Donovan. Insegnava musica ai bam­bini dell'Orfanotrofio di St. Anthony, a Homestead, in Florida. I bambini lo adoravano. E lui, naturalmente, ado­rava i bambini, oh, quanto li adorava. Aveva dedicato loro tutta la sua vita. Aveva imparato il creolo e lo spagnolo. Aveva studiato persino la loro musica. Tutto per i bambi­ni. Tutto ciò che faceva era per loro.
Tutto.
Lo osservai quella sera, come avevo già fatto tante volte. Lo osservai mentre si soffermava davanti all'orfanotrofio per chiacchierare con una ragazzina nera che lo aveva se­guito fuori dal portone. Era una bambina, non doveva ave­re più di otto anni ed era piccola persino per quell'età. Pa­dre Donovan si era seduto sui gradini ed era rimasto a par­lare con lei per cinque minuti. Anche lei era seduta, un po' irrequieta. Ridevano. Lei si avvicinò al prete, che le sfiorò i capelli.
Una suora apparve sulla porta e li osservò per un istan­te, prima di parlare, poi sorrise e tese una mano. La bam­bina si strinse a padre Donovan, che l'abbracciò, si alzò e , le diede il bacio della buona notte. La suora rise e disse qualcosa al prete, che le rispose.
Poi lui si incamminò verso la sua automobile. Mi preparai allo scatto e...
Non ancora. A cinque metri dal portone c'era il furgoncino di un'impresa di pulizie. Quando padre Dono-, vi passò accanto, il portello laterale si aprì. Un uomo una sigaretta in bocca si affacciò e lo salutò. Il prete | ippoggiò al veicolo e scambiò due parole con l'uomo
Je pulizie.
Fortuna. Di nuovo la Fortuna. Era sempre dalla mia parte, in queste Notti. Non l'avevo proprio visto, l'uomo sul furgoncino, non immaginavo neppure che ci fosse. Ma lui avrebbe visto me. Se non fosse stato per la Fortuna.
Tirai un respiro profondo. Dovevo essere calmo, gelido, agire con mano sicura. Non era che un piccolo dettaglio, non mi era sfuggito nient'altro. Avevo fatto tutto come al solito, come si doveva.
Tutto per bene.
Adesso.
Padre Donovan riprese il cammino verso la sua auto­mobile. Si voltò e disse qualcosa in dirczione della porta dell'orfanotrofio. L'uomo delle pulizie fece un cenno di sa­luto, schiacciò il mozzicone della sigaretta ed entrò nell'e­dificio. Sparito.
La Fortuna. Di nuovo la Fortuna.
Padre Donovan si frugò in tasca, cercando le chiavi. Aprì la portiera e salì in macchina. Lo sentii infilare la chia­vetta e avviare il motore.
Adesso.
Mi piazzai sul suo sedile posteriore e gli infilai il cap­pio sulla testa. Una stretta rapida, precisa e fulminea, e la spira di filo da pesca da venti chili gli si strinse intor­no al collo. Il prete ebbe un breve scatto di panico, ma niente di più.
"Sei mio, adesso", gli annunciai, e lui si immobilizzò. Non mosse un muscolo, come se si fosse esercitato, qua­si sentisse anche lui l'altra voce, quella dell'Osservatore che rideva dentro me. "Fai esattamente come dico", gli ordinai.
Rantolò un mezzo respiro e guardò nello specchietto retrovisore. Trovò ad aspettarlo la mia faccia, avviluppata da una maschera di seta bianca che lasciava vedere solo gli occhi,
"Capito?" domandai. Il tessuto scorreva sulle mie lab­bra mentre parlavo.
Padre Donovan non disse una parola. Fissava i miei occhi.
Diedi uno strattone al filo.
"Capito?" ripetei, a voce più bassa.
Questa volta annuì. Si portò una mano esitante al cap­pio, incerto su cosa sarebbe accaduto se avesse cercato di allentarlo. La faccia gli stava diventando viola.
Fui io ad allentarlo per lui. "Fa' il bravo", dissi, "e vivrai più a lungo."
Padre Donovan inspirò a fondo. Sentivo l'aria gorgo­gliargli nella trachea. Tossì e respirò di nuovo. Ma rimase fermo e non tentò di fuggire.
Buon segno.
Ci mettemmo in moto. Padre Donovan guidava, se­guendo le mie indicazioni. Nessuno scherzo, nessuna esi­tazione. Ci dirigemmo a sud, attraversando Florida City, fi­no a imboccare Card Sound Road. La strada lo rendeva nervoso, me ne accorsi, ma non fece obiezioni. Non cerca­va di parlarmi. Teneva entrambe le mani strette sul volan­te, con le nocche pallide sporgenti. Anche questo era un buon segno.
Proseguimmo verso sud ancora per cinque minuti. Non si udiva che il canto degli pneumatici e del vento, la musi­ca possente della grande luna sopra di noi che mi pulsava, nelle vene e la risata dell'Osservatore, attento e silenzioso, nel battito accelerato della notte.
"Svolta qui", dissi io, finalmente.
Gli occhi del prete incrociarono il mio sguardo nello plpecchietto retrovisore. Il panico gli traboccava dalle pu­pille, dilagava sul viso, fino alla bocca, nel tentativo di parlare, ma...
"Svolta! " intimai, e lui svoltò. A capo chino, come se lo aspettasse da sempre, come se lo temesse da un'eternità, girò il volante.
La stradina sterrata si vedeva appena. Si doveva sapere che c'era, per trovarla. Ma io la conoscevo, ero già stato lì. La strada proseguiva tra l'erba e gli alberi, costeggiando un fosso. Dopo quattro chilometri e tre curve, giungemmo a una radura, nel cuore della palude.
Cinquant'anni prima qualcuno ci aveva costruito una casa, che almeno in parte stava ancora in piedi. Era fin troppo grande per il suo scopo, con tre stanze e ancora metà del tetto. Era abbandonata ormai da molto tempo, ma nel vecchio orto accanto alla casa era evidente che qualcuno aveva scavato molto di recente.
"Ferma la macchina", dissi, quando i fari illuminarono il rudere.
Padre Donovan frenò, con uno scatto tardivo. La paura gli aveva irrigidito le membra e la mente.
"Spegni il motore", gli ordinai, e lui obbedì.
D'improvviso si fece silenzio.
Un animaletto fischiettò fra gli alberi. Il vento frusciò nell'erba. Poi il silenzio tornò, così profondo che quasi soffocò la musica notturna che rimbombava nel mio io segreto.
"Fuori", dissi.
Padre Donovan non si mosse dal sedile. Stava guardan­do i cumuli di terra nell'orto, scuri alla luce lunare. A lui dovevano sembrare ancora più scuri. Nondimeno, rimase immobile.
Diedi uno strattone al cappio, così forte che dovette ltuplrn! di non restarne ucciso all'istante, di dovere anco­ri» «offrire olire l'immaginabile. Inarcò la schiena. Le vene gli si gonfiarono sulla fronte. Pensò di essere sul pun­to di morire.
Nient'affatto. Non ora. In effetti, era ancora presto.
Spalancai la porta con un calcio e me lo tirai dietro, giu­sto per fargli sentire la mia forza. Il prete si accasciò sul ter­reno sabbioso e si contorse come un serpente ferito. Il Pas­seggero Oscuro rise, compiaciuto, e io feci la mia parte. Appoggiai uno stivale sul petto di padre Donovan e tesi il cappio.
"Devi ascoltarmi e fare quello che ti dico", gli rammen­tai. "Devi." Mi chinai, allentando delicatamente il cappio. "Dovresti saperlo. È importante."
Lui mi sentì. I suoi occhi lacrimosi, pulsanti di sangue e di dolore, incrociarono i miei e, in un lampo di compren­sione, vi lesserò tutto ciò che lo aspettava.
Ora era chiaro.
Ora sapeva quanto fosse importante che facesse il suo dovere.
Cominciava a capire.
"Alzati, adesso."
Piano, molto piano, con gli occhi fissi nei miei, padre Donovan si rimise in piedi. Restammo fermi così a lungo, fissandoci l'un l'altro, diventando un'unica persona con un unico bisogno. Poi il prete cominciò a tremare. Si portò una mano al viso e la lasciò cadere di nuovo.
"Dentro", mormorai, a voce bassissima. Dentro, dove tutto era pronto.
Padre Donovan abbassò lo sguardo, poi lo alzò di nuovo verso di me, ma non resse a lungo. Si voltò verso la casa, fermandosi nuovamente a fissare i cumuli neri di terra nell'orfanatrofio.
Avrebbe voluto guardarmi, ma non ci riusciva, non do­po aver visto quelle nere montagnette di terra sotto la luna.


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