di Daniela Palma e Guido Iodice, da Left del 21 dicembre 2013
Negare l’efficacia delle politiche di aumento della spesa pubblica di ispirazione keynesiana per il superamento dell’attuale crisi, passa il più delle volte per l’affermazione che oggi siamo di fronte ad una realtà più complessa, che negli anni ’30 gli effetti potevano essere più diretti e visibili. E che, in definitiva, se le politiche keynesiane hanno potuto funzionare è perché c’è stata la guerra e la conseguente necessità di ricostruire tutto daccapo. C’è insomma una diffusa vulgata diminutiva del keynesismo, che vive sulle spalle di un’approssimazione storica di quello che è stato il suo momento di lancio. E’ la vulgata che predilige la metafora delle buche da scavare e poi riempire, e che ridimensiona l’interventismo dell’America di Roosevelt, mentre i fatti sono andati ben diversamente, prefigurando una visione rivoluzionaria a tutto tondo, consapevole che la mano visibile dello stato crea anche le condizioni per lo sviluppo futuro di un paese.
Alla ricostruzione di questi fatti contribuisce non poco la recente riscoperta del Rapporto “Scienza, la frontiera infinita” di Vannevar Bush – ingegnere e matematico statunitense consigliere scientifico di Roosevelt – tradotto per la prima volta in italiano e setacciato nei suoi passaggi fondamentali nell’acuta introduzione di Pietro Greco [link]. Ancora in pieno conflitto, nel 1944, Roosevelt chiede a Bush come, a guerra conclusa, si possa sfruttare al meglio lo sforzo sostenuto per la ricerca scientifica a scopo bellico e tradurlo in benessere per la nazione. Bush ritiene che la ricerca di base abbia un valore strategico e condizioni lo sviluppo futuro di un paese. E’ convinto infatti che il benessere di un paese poggi sulla sua costante capacità di produrre innovazione e che a questo fine il flusso di produzione di nuova conoscenza deve essere continuo e sostanziale. Tutto questo non può però essere lasciato alla sola iniziativa dell’impresa, perché insostenibile sotto il profilo finanziario e dell’incertezza che grava sull’esito dell’investimento. Bush è un conservatore di idee liberali, ma sa bene che per battere i sentieri dell’innovazione non vi sono alternative ad un intervento pubblico di alto profilo, che raccolga la sfida del cambiamento tecnologico in direzione di “un regime di piena occupazione, e un tenore di vita più alto grazie alla produzione di beni e servizi.” La storia gli ha dato ragione, ma gli allievi lo hanno dimenticato e hanno bisogno di tornare a scuola.
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