Quattro anni sono stati necessari per passare dalla finzione letteraria alla realtà. La manomissione delle parole diGianrico Carofiglio, a cura di Margherita Losacco, (Rizzoli, pagg. 187) finalmente è un libro e non si legge solo all’Osteria del caffellatte, la libreria dove l’avvocato Guerrieri ama rifugiarsi di notte e dove, per la prima volta, sfoglia una copia de La manomissione delle parole; sottotitolo: Appunti per un seminario sulla scrittura. Molti dei lettori di Ragionevoli dubbi avevano chiesto di poter leggere quel libro, frutto della fantasia dell’autore, affascinati dal titolo e da alcune riflessioni in esso contenute: «Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Nei nostri seminari chiamiamo “manomissione” questa operazione di rottura e di ricostruzione. […] Solo dopo la manomissione, possiamo usare le nostre parole per raccontare storie».
E Carofiglio, complice una conversazione al Salone del Libro di Torino del 2009, ha deciso di scriverlo davvero quel libro: «È stato un gioco. Un gioco personalissimo e, in qualche misura, inevitabilmente arbitrario, di cui parte essenziale sono stati i libri degli altri. Ho giocato a smontare e rimontare le parole come certi bambini fanno con i giocattoli. Con lo stesso spirito: per vedere cosa c’è dentro, per capire come funzionano, per sperimentarne usi diversi. Senza seguire le istruzioni».
Un gioco serissimo ed emozionante che passa in rassegna la lingua dell’umanità a partire dal Vangelo di Giovanni (In principio era il Verbo), ma si concentra su cinque parole fondamentali: Vergogna. Giustizia. Ribellione. Bellezza. Per ultimo Scelta, la parola «che esprime la più umana, pericolosa, nobile ed eroica fra le dimensioni umane» e che Carofiglio ama definire attraverso i suoi contrari: «Scelta è il contrario di rinuncia, di conformismo e di vigliaccheria. Scelta è il contrario di vergogna. Scelta è il contrario di indifferenza».
«Le parole fanno le cose» ha scritto il linguista John L. Austin e spesso riescono a manipolare la realtà. Urge una bonifica del linguaggio: già Sallustio, nel I sec. a.C., fa dire a Catone “abbiamo smarrito da tempo il vero significato delle parole”. Le parole sono manipolate, falsificate, in particolar modo quelle del potere, «una lingua pericolosa, raggelata e impermeabile all’interrogazione», come scrive Toni Morrison. E Carofiglio trae gli esempi più veri di questo scempio della lingua dall’attualità, dal lessico di Berlusconi: interessante seguire, per esempio, la manipolazione politica della parola “lodo”.
Il libro si chiude con una riflessione su “Le parole del diritto”, offrendo una rigida condanna della lingua dei giuristi, una lingua iniziatica, ricca di stereotipi, arcaismi, tecnicismi oscuri, «strumento di un esercizio autoritario del potere», che ricorda il povero uomo di campagna del racconto “Davanti alla legge” di Kafka.
Pagine che fanno riflettere e che hanno il grande pregio di accostare Tucidide e Platone ad Obama e Bob Marley, Primo Levi e Calvino, solo per citare alcuni degli autori presenti.
Scritto come un romanzo, rigoroso come un saggio, merita sicuramente un grande plauso per la perizia filologica con cui è condotta la ricerca. Degna di nota la ricca e dettagliata bibliografia nelle note finali.