Un racconto di E.A. Poe
"Per rendere la permanenza ancora più divertente, il principe
Prospero organizzò una festa in maschera"
“Da lungo tempo la
Morte Rossa devastava il paese. Nessuna pestilenza era mai stata così fatale,
così spaventosa. Il sangue era la sua manifestazione e il suo sigillo: il rosso
e l’orrore del sangue”. In tutto il paese perciò si moriva, e si moriva rapidamente:
dalla prima manifestazione dei sintomi all’esplosione finale della malattia e
quindi alla morte non passava che mezz’ora. Tutto era perduto, allora? Nient’affatto.
Il principe di quel paese, il principe Prospero, aveva deciso che non c’era più
nulla da fare e aveva pensato, perciò, di salvare il salvabile. Come? Fece costruire
delle imponenti mura a difesa del suo castello, e fece sigillare le sue porte
definitivamente, di modo che nessuno potesse più entrare od uscire, per nessuna
ragione al mondo. E mentre fuori, all’esterno, la gente continuava a morire, all’interno si trascorreva una vita felice, fatta di canti,
di balli, di gioia e di amore.
“Il mondo esterno provvedesse a se stresso. Era tutto
sommato follia addolorarsi o pensarci troppo su. Il principe aveva pensato a
tutti i divertimenti possibili. C’erano buffoni, improvvisatori, c’erano
ballerini, musicanti, c’era la Bellezza e c’era il vino. Tutto chiuso là
dentro. Fuori c’era la Morte Rossa”. Per rendere la permanenza ancora più
divertente, il principe Prospero organizzò una festa in maschera, e predispose
per l’occasione alcune stanze del suo grande castello. “Le camere erano
disposte così irregolarmente da poter essere viste soltanto una alla volta. C’era,
ogni venti o trenta metri, un’improvvisa svolta che apriva di conseguenza
prospettive sempre diverse”. Non soltanto. Ognuna delle stanze, per un totale
di sette, era addobbata con un colore preciso. La prima era blu, la seconda
scarlatta, la terza verde smeraldo; la quarta era di un arancio vivo, la quinta
bianca e la sesta era dipinta di violetto. “La settima stanza invece era tutta
avvolta in arazzi di velluto nero, che pendevano dal soffitto e dalle pareti,
ricadendo sui tappeti della stessa stoffa e colore”. Ognuna di queste stanze era
munita di due finestre, molto alte e sottili, che si affacciavano sul corridoio
tortuoso che collegava ogni ambiente: sul corridoio, appesi a dei pesanti
tripodi, c’erano alcuni bracieri che illuminavano le stanze proprio attraverso le
vetrate; stanze che, per il resto, non erano provviste di nessun’altra
illuminazione. “Ma nella stanza nera, quella a occidente, l’effetto della luce
e del fuoco che si diffondeva sui drappi neri attraverso le vetrate era
talmente spettrale, che nessuno aveva il coraggio di mettervi piede”. In questa
stessa stanza, appoggiato a una parete, c’era un enorme orologio da muro. Ogni volta
che la lancetta segnava le ore, un rintocco sinistro echeggiava per le sale del
castello, suscitando negli invitati un’inspiegabile angoscia. Ecco allora che per un
attimo gli orchestrali smettevano di suonare, e i ballerini di ballare; “i più
spensierati impallidivano e i più vecchi e sereni si passavano una mano sulla
fronte in un gesto di confusa visione o di meditazione”. Non appena i rintocchi
finivano, però, la vita nel castello rincominciava come prima, e gli abitanti
si stupivano e ridevano delle proprie paure.
"C'erano maschere assurde, bizzarre,
contorte, pienamente rispondenti al
gusto stravagante del principe"
Il ballo in maschera procedeva
allegramente. C’erano maschere assurde, bizzarre, contorte, pienamente
rispondenti al gusto stravagante del principe. “Vi erano maschere arabesche,
maschere che soltanto un pazzo poteva aver inventato. Vi si trovavano in gran
copia bellezza, lascivia e bizzarria, e insieme terrore, e nulla che potesse
suscitare disgusto”. La mascherata aveva occupato tutte le stanze, eccetto
quella nera: col passare del tempo le ombre lì dentro divenivano più sinistre,
e il rintocco dell’orologio sarebbe stato troppo assordante per poterlo sopportare. A mezzanotte, tuttavia, l’orologio batté dodici rintocchi. Era un
tempo abbastanza lungo per guardarsi attorno, con gli occhi
nuovamente velati da quell’inspiegabile angoscia. Fu allora che tutti videro la
maschera. “In una mascherata come quella appena descritta si può immaginare che
non poteva essere un’apparizione normale a suscitare tutto questo trambusto. Alla
fantasia e al capriccio delle maschere erano state fatte illimitate
concessioni, ma la persona in questione aveva superato Erode e oltrepassato
anche i limiti della stravaganza del principe. Anche nei cuori dei più sfrenati
ci sono delle corde che non possono essere toccate senza dare forti emozioni. Persino
per i più cinici, per i quali la vita e la morte sono oggetto di beffa,
esistono cose su cui non si può scherzare”. Ed effettivamente
la maschera in questione aveva qualcosa di orribile. Nei suoi modi non c’erano umorismo né
dignità. Era una figura ossuta, altissima, che vestiva coi paramenti dei morti.
La maschera che portava era troppo simile a un cadavere essiccato per poter essere soltanto uno scherzo. Ma la cosa più angosciante, ciò che più di tutto scandalizzò i
presenti fu che la figura era vestita da Morte Rossa. Lo si capiva dalle
chiazze di sangue sul mantello, sulla maschera e sui vestiti.
"E allora si seppe che la Morte Rossa era là,
e tutti la riconobbero"
Il principe gridò
allora di arrestare quell’intruso e smascherarlo immediatamente: che fosse umiliato davanti a
tutti! Ma nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi a quella strana apparizione.
La maschera della Morte Rossa intanto continuava ad avanzare, per nulla intimidita dai comandi del principe. Gli passò
accanto senza sfiorarlo, e si diresse attraverso le altre sale fino a
raggiungere l’ultima, la stanza ammantata di nero. Allora il principe la seguì,
rimproverandosi per la sua improvvisa vigliaccheria. La raggiunse proprio
mentre era all’ombra del grande orologio. La folla nelle altre sale sentì allora
un urlo agghiacciante provenire dalla stanza del pendolo. I più coraggiosi
trovarono infine la forza di andare a soccorrere il loro principe, ma si accorsero che
era già morto. Afferrarono con forza la figura mascherata, ma furono colti dalla disperazione
quando si accorsero che sotto la maschera non c’era nessuno. “E allora si seppe
che la Morte Rossa era là, e tutti la riconobbero. Era arrivata come un ladro
nella notte. Uno dopo l’altro caddero i festanti nelle sale ormai invase di
sangue; morivano così, nella disperazione. E quando l’ultimo morì, anche l’orologio
d’ebano tacque, e le fiamme dei tripodi si spensero. E il Buio, il Disfacimento
e la Morte Rossa dominarono indisturbati su tutto".