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La mattanza degli alberelli di vite

Creato il 16 dicembre 2010 da Cultura Salentina

di Antonio Bruno

La mattanza degli alberelli di vite

© Gianfranco Budano: Masseria Monacelli, Nord Salento

Superata la crisi agraria degli anni 1845-1846, verso la fine del secolo, nel Salento si coltivavano 60mila ettari di alberelli di vite. Oggi ne rimangono meno di 9mila. Nei convegni e sulla stampa sempre più spesso appaiono dichiarazioni che propongono di superare la crisi del mercato dell’olio con la “strategia dell’imitazione del comparto del Vino”. In questa nota le ragioni dell’infondatezza di tale soluzione proposta.

C’è un fantasma che si aggira nel paesaggio rurale del Salento! E’ la vigna che produce il vino! Quando si parla dei problemi del settore primario, quando si declinano le criticità dell’olivo e della produzione dell’olio, è da un po’ di tempo che le proposte che vengono formulate dicono che dobbiamo “copiare” ciò che abbiamo già fatto nella coltivazione della vite e quindi alla produzione di vino.

Possibile che il mio amico Marco Nassisi, possessore di vigneti in agro di Melissano, non si sia accorto di avere risolto il problema della redditività del suo fondo agricolo? Possibile che questo mio amico, ogni anno, per spuntare un prezzo di circa 40 euro al quintale di uva, sia costretto a vendersi l’uva on line, con annunci sui siti di compra vendita?

Possibile che la cantina a cui è costretto a conferire ciò che non vende direttamente, gli liquidi, dopo lungo tempo, poco più di 15 euro al quintale?

Eppure i vigneti del mio amico Marco fanno produzioni di qualità, eppure è giovane e sarebbe anche disposto a investire per realizzare un prodotto di eccellenza. Il mondo dei paradigmi, dei modelli, delle affermazioni derivate dal sentito dire, si scontra con la realtà vera, quella delle campagne salentine, “Terra sitibonda ove il sole si fa vino” come scriveva Dante.

A fine secolo si coltivavano 60mila ettari di alberelli di vite perché c’era la forte richiesta di vini da taglio ad alta gradazione alcolica e di colore intenso, necessari all’industria delle regioni settentrionali, costrette a rimediare alla crisi della produzione vinicola francese dovuta alla fillossera (Trono, 2003).

Ma la cosa che più ci deve far riflettere è il dato che mi ha fornito il Presidente della Coldiretti di Lecce Ing. Pantaleo Piccino. Io ho riportato in un mio scritto il dato relativo alla superficie dei vigneti del Salento leccese nel 2005 che ammontava a poco più di 13mila ettari. L’Ing. Piccino mi ha fatto presente che nel 2010 questa superficie è scesa a meno di 9mila ettari e che di questi poco più della metà danno produzioni caratterizzate da un buon reddito e che la restante metà non da un reddito soddisfacente. Ma il dato più espressivo è la mattanza dei vigneti del Salento leccese, passati in poco più di 30 anni da 60mila ettari a meno di 9mila ettari! E se pensiamo che il sistema di allevamento della vigna era l’alberello che consente di far vivere 10mila piante per ettaro, si è passati da 600 milioni di alberelli a meno di 90 milioni! Sono stati uccisi per sempre più di 550 milioni di alberelli di vite!

Ma torniamo a quello che ascoltiamo nei convegni, per superare la crisi del mercato dell’olio più volte si è invocata la “strategia dell’imitazione del comparto del Vino”. Nel Salento leccese abbiamo 85mila ettari di oliveto e 9 milioni di piante, e quindi se dovessimo dare retta a queste proposte di soluzione che ci suggeriscono di imitare ciò che abbiamo fatto per il vino che dopo la mattanza degli alberelli ha solo il 15% delle piante che c’erano una volta, dovremmo passare dagli attuali 85mila a 12mila ettari di olivi e quindi abbattere 8 milioni di alberi di olivo per conservarne poco più di un milione. E’ proponibile? Quali sarebbero le conseguenze?

Si potrebbe eccepire che seppure abbiamo effettuato il disboscamento di 550 milioni di alberelli di vite noi non abbiamo subito danni! Invece non è così! Posso affermare che ci sono stati gravi danni all’equilibrio dell’ambiente! La distruzione dei vigneti ha distrutto in tutto e per tutto quell’habitat accelerando fenomeni erosivi del terreno. Inoltre l’ambiente è rimasto privo degli effetti benefici di quegli alberelli di vite che erano fondamentali per il ciclo del carbonio, risanando l’aria dall’ anidride carbonica e dagli altri agenti inquinanti.

Cosa dobbiamo fare allora per evitare che accada la stessa cosa alla foresta degli ulivi del Salento leccese?

Per capirlo dobbiamo considerare la foresta degli ulivi del Salento come un ecosistema di proprietà di 60mila persone e delle loro famiglie. Occorre fare in modo che i governanti della Regione Puglia e tutti noi 800mila abitanti della Provincia di Lecce cominciamo a dare il giusto riconoscimento ai 60mila custodi del servizio dell’ecosistema Foresta degli ulivi del Salento.

Si tratta di introdurre i pes (payments for ecosystem service) che significa mettere in atto quei meccanismi che consentono di riconoscere, anche economicamente, il contributo dei 60mila custodi che curano il servizio dell’ecosistema Foresta degli ulivi mettendolo a disposizione degli altri.

Si tratta di una ricaduta concreta, già praticata in diverse aree del pianeta che dimostra come sia possibile far sì che queste tematiche non rimangano discorsi teorici, ma diventino applicazioni concrete nel principio dell’equità che è fondamento centrale del concetto di sostenibilità.

L’individuazione di una metodologia di azione a livello locale per l’approccio ecosistemico che propongo per il Salento che si basa su indicazioni generali individuate a livello internazionale, risponde ad uno dei principali assunti dello sviluppo sostenibile: “Pensare globalmente, agire localmente”.

Antonio Bruno: Dottore Agronomo (n.d.r.)


Bibliografia

Alessandra Miccoli, Il Salento dell’olio e del vino;

Davide Corvaglia, Storia del vino pugliese;

Laura Padovani -Paola Carrabba – Francesco Mauro, L’approccio ecosistemico: una proposta innovativa per la gestione della biodiversità e del territorio.


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