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La memoria imperfetta

Creato il 05 ottobre 2013 da Girolamo Monaco
4.
Tutte le case sembravano uguali, ma
ognuna era diversa per un vaso di fiori o piccola colonna o arabesco o
tempietto votivo.

La nostra, per esempio, aveva un alto
cipresso davanti, vecchio e sicuro come la porta del cielo, e piccolo e fragile
come un fiammifero da usare.

Casa nostra aveva una grande veranda ad
occidente; all'ingresso, sotto il pavimento c'era una buca dove mio padre una
volta aveva trovato un cucciolo di cane, e dove da allora correva a nascondersi
quando aveva paura.

In soggiorno con la vernice verde mio
nonno aveva dipinto il suo ideogramma, e ad ogni figlio aggiungeva un segno.

La guerra sembrava soltanto sfiorarci.
A Hiroshima la vita era ostile, come
ovunque a quei tempi.

Tutto scorreva normale, la gente non
mostrava maggiore tristezza o allegria, i bambini continuavano a nascere, ci si
sposava, e dal cielo piovevano ordigni come neri giocattoli.

Il sei agosto non era la prima volta,
non poteva essere neanche l'ultima.

5.
Non ci fu tempo per alzare gli occhi al
cielo, e non so cosa rimase di loro.

Il nostro cipresso bruciò davvero come
un fiammifero; ed è come se fossi stato lì a guardarlo, fino al suo consumarsi.

Dopo il boato, uno solo, il silenzio
dell'anima.

Il silenzio accolse tutti.
Accanto restarono i pochi affetti, o
tutto il mondo, o soli come si accorsero di essere sempre stati, ma pochi
fecero di queste riflessioni perchè nessun dolore parve avere valore, neanche
il ricordo della vita, neppure la strage degli uomini e degli animali.

Restò solo la sete ed il buio.
Tutti insieme, a sentirsi addosso come
amici, così tanti da non saper contare e riconoscere.

Nessuno vide il fuoco del cielo, nessun
pensiero venne sul nuovo sole che era apparso più alto del primo.

Di loro non rimase neanche un capello.
Estate o inverno, giovani o vecchi, sani
o malati, non importò se mio nonno, reduce dalle Filippine, era tornato con la
gamba di legno o se mia zia era incinta al settimo mese.

Si incontrarono tutti, anche chi era
morto in mare o in combattimento, o vecchio nel suo letto d'agonia, persino chi
era morto dieci anni prima o lontano diecimila miglia.

Tutti si incontrarono, mio padre
quindicenne, il disertore fucilato al muro, l'eroe della trincea, l'alpino
della Giulia, tutti uomini per niente, tutti in un solo boato.

6.
Adesso non so cosa dire.
Forse mi giova questo silenzio.
Fino a ieri credevo di scrutare voci
antiche.

Adesso neanche un sospiro.
Adesso ho dimensione della tragedia che
incombe.

Quel ragazzo quindicenne, morto come
formica stritolata, è il padre che mi ha generato impotente.

Tutti fummo presenti, e uccisi, anch'io
che il sei agosto non ero ancora nato, i miei figli, i figli dei miei figli.

Tutti presenti e tutti ustionati fino a
morire.

Solo un pò di assurda dignità si
acquista pensando che da allora è successo solo un'altra volta, pochi giorni
dopo.

Ma un dolore immane mi cresce sapendo
che da allora duemila potrebbero spazzarmi via, come hanno già fatto.

Mio figlio è morto ieri a Sarayevo. Un
altro a Mitrovica. Quanti ne sono morti oggi a Bagdad?

Furono più saggi quelli che allora si
tagliarono le vene.


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