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Il diario, scritto da Anna Frank nel rifugio in cui visse rinchiusa prima di essere scoperta dai nazisti e deportata, è stato il compagno fedele degli anni della mia adolescenza. Lo rileggevo, molto spesso, ma, ancor più frequentemente cercavo risposte nelle sue pagine. Le parole di Anna mi davano coraggio, tutto il diario era pieno di forza, di gioia di vivere di speranza. Anna ascoltava la radio, seguiva le notizie sullo sbarco in Normandia, gioiva per le imprese di quelli che noi ora pensiamo come gli amici del soldato Ryan. La vita intensa di Anna non era soffocata dalla tristezza del rifugio segreto: lei osservava, meditava, confrontava, faceva progetti.Non conosco, ancora oggi, un libro così denso di vitalità, così capace di indurre a far tesoro di ogni attimo di vita che ci viene concesso. Ecco, allora le misteriose, complicate emozioni che derivano dalla lettura di questo altro libro, in cui è raccontata la storia di un’amica di Anna. È come se il diario avesse un seguito, è come se si prolungasse in altri fatti, altre vicende, altre osservazioni. L’amica di Anna ha visto l’orrore di infinite torture: i percorsi interminabili entro vagoni ferroviari pieni di escrementi e di pidocchi, la fame assoluta, così aspra e totale da portare al delirio, le fosse comuni, le morti frequenti e usuali, le malattie.Tanto l’autrice del diario quanto l’amica che ora ricorda hanno una grande domanda, da porgere a tutti, e non conoscono nessuna risposta: perché i tedeschi, i nazisti si comportano in questo modo, che cosa li porta ad odiare così gli ebrei, che senso può avere questo sterminio? Non sanno darsi alcuna ragione; tanto l’autrice del diario quanto l’amica che è ancora viva vorrebbero assolutamente capire, ma non trovano credibili spiegazioni. L’amica è andata a vivere in Israele, è nonna di dieci nipoti, ricorda tutte le fasi dell’orrore con molta precisione, dice che vorrebbe rammentare altri particolari e, come tutti i sopravvissuti nei lager, ha una domanda: perché mi sono salvata io, perché non Anna?Tutti dobbiamo ricordare: le due amiche erano fiere dei loro capelli, dei loro amori, delle nuotate in piscina, dei successi a scuola, delle scoperte via via realizzate nei misteri della vita. Amavano la marmellata di fragole, le feste, i doni, i vestiti, i libri. Su di loro è scesa la nera cappa dell’orrore. Dopo i patimenti dei giorni nel minuscolo rifugio segreto, Anna è morta nei lager, con un’altra orrenda sventura: di lì a poco l’Armata Rossa avrebbe potuto liberarla, nutrirla, salvarla.Queste memorie di ragazzine sono per noi preziose. Chi dimentica i lager, prima o poi li rivedrà. Ci salvano solo i ricordi. Siamo con loro perché hanno quello sguardo speciale a cui non sfugge nulla. È uno sguardo reso più acuto dal dolore, dal desiderio di sopravvivere, dall’intenzione, ben ferma, di riuscire un giorno a capire, a spiegare.Con grande attenzione, nel treno del ritorno e della salvezza, mentre deve mangiare poco, malgrado la fame atroce e il cibo abbondante che è ora disponibile, l’amica di Anna nota che, fuori, tutto è sconvolto, distrutto, raso al suolo. Anche chi era fuori, dunque, ha sofferto, ha patito. Nella sua prima notte in un letto vero, dopo il pagliericcio immondo dei lager, l’amica di Anna vede una bandiera hitleriana, con la svastica, ma si addormenta lo stesso: sa che lei è viva, sa che quello stendardo che ha provocato tanto orrore non può più intimorirla. Credo proprio che d’ora in poi non si potrà più leggere il Diario di Anna Frank, senza avere vicino anche questo libro.Da solo, il diario della ragazzina intelligente, vivace, piena di sapienza, di senso dell’umorismo, di forte capacità di racconto sembra dire, con angoscia, e poi?E poi, Anna carissima, andò così. Ci furono treni, pidocchi, forni crematori, fosse comuni, zanzare, tifo, itterizia, agonie, ansie, terrori. E poi ci fu la forza sorprendente di chi si ostina a strappare una sorellina alla morte anche perché sa che tutto dipende da quello sforzo, da quella volontà di non cedere la bambina ai dominatori dell’orrore. E poi ci fu la strana fratellanza delle ombre, che si sorreggevano nello spasimo perché nessuno cadesse, dato che chi cadeva finiva nelle fosse comuni.E poi c’è una ragazzina dei lager che è arrivata a conoscere dieci nipoti, ha quindi gioito, ha conosciuto la vita nei suoi aspetti più lieti, è andata molto avanti. Ma non ha dimenticato le scarpe da rimettere in sesto nel laboratorio, le albe tutte uguali e tutte ultime, le divise dei carnefici, il tanfo, le scarse patate in fondo a pentoloni pieni solo di acqua. Ci dice, questa nonna a cui è toccato in sorte di essere l’amica di Anna Frank, che dobbiamo sempre ricordare tutto, noi con le due ragazzine amiche. La memoria, solo lei, tiene lontani i carnefici del futuro.Antonio Faeti, 2001
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