Facciamogli passare il Natale tranquilli. Diciamo che tutto va bene, anche perché altrimenti può anche darsi che alla fine ci caccino. Così Letta e Saccomanni, ma anche gran parte degli altri leader governativi del continente, hanno offerto una versione edulcorata del vertice europeo di Bruxelles di qualche giorno fa, limitandosi a mettere in primo piano un ambiguo accordo sull’unione bancaria, sperando che i cittadini non si accorgano delle trappole che vi sono inserite (vedi qui). Ma le Monde ha fornito ieri un panorama del tutto diverso del vertice, scoprendo le profonde divisioni che ormai attraversano il continente tra Paesi forti e periferia debole e impoverita. Tra interessi ormai divergenti ed anzi in aperta contrapposizione.
Per un anno si è atteso che le elezioni tedesche detronizzassero la Merkel e dunque anche la filosofia della Bundesbank, ma questo non è accaduto e i socialdemocratici - come del resto era ampiamente prevedibile – hanno giocato le loro carte nella grosse koalition solo su temi nazionali. Così l’attendismo suicida dei Paesi in crisi è stato ampiamente punito. E il vertice europeo si è risolto in una gigantesca bagarre dalla quale sembra emergere una nuova troika formata da Germania, Bce, e Commissione Europea in veste di tutore degli interessi della finanza. E’ per questo che Draghi l’altro ieri ha avvisato che l’euro è irreversibile, perché sa benissimo che proprio la moneta unica è la fonte della frattura continentale, la quale rimarrà insanabile se non si trova una qualche via d’uscita comune. Cosa che naturalmente le banche non vogliono per ovvi motivi.
Persino Prodi adesso invoca la creazione di una sorta di “fronte Sud” da opporre alla Merkel per convincerla ad allentare la morsa. Ma questo folgorante pensiero arriva troppo tardi: forse due anni fa una resistenza italiana e un collegamento a spagna e Francia avrebbe potuto essere utile ad ammorbidire le politiche di austerità e tutta la sottrazione di sovranità in favore di entità finanziarie, che ne è derivata. Forse avrebbe anche indotto a una revisione dei trattati. Ma adesso la frittata è già stata fatta e pensare di indurre la Germania, l’Olanda o la Finlandia per quello che conta a supportare il debito altrui attraverso un qualche meccanismo, più o meno efficace è definitivamente tramontato. Tanto più che la debolissima Francia di Hollande è divisa tra un ruolo di comprimaria fasulla atto a soddisfare una grandeur stracciona o allearsi verso i “poveri” del mediterraneo verso i quali è inesorabilmente trascinata.
Tuttavia nessuno osa dire che la sopravvivenza della Ue non può più reggere il peso di una moneta nata con l’esplicito obiettivo di essere sì comune, ma di non permettere il trasferimento dei debiti da un Paese all’altro. Questo era assolutamente razionale e ovvio perché in una consociazione di Stati, quale è di fatto l’Unione, una cosa del genere avrebbe aumentato indiscriminatamente la propensione al debito, visto che esso avrebbe potuto essere messo sulle spalle di tutti gli altri. Ma non si è pensato che a quel punto i vari Paesi avrebbero vissuto in una situazione argentina, ovvero con una moneta agganciata a un’altra che nel caso specifico era di fatto il marco. Con la crisi l’unico sistema di mantenere in piedi questa costruzione è stata il ricorso all’austerità, anche se era l’esatto contrario di quanto si sarebbe dovuto fare e la svendita di sovranità effettiva non verso una sovranità più ampia, ma verso istituzioni di carattere sostanzialmente finanziario dunque neutre verso i singoli stati, ma tutt’altro che anodine rispetto alle imposizioni politiche. Insomma le grandi carenze nel processo di unificazione hanno creato il disastro e allargato a dismisura le differenze con l’adozione di una moneta unica, ma di fatto estranea a ciascuno. Francamente risultano un po’ trite e patetiche le invocazioni a più Europa per mantenere gli strumenti attraverso la quale essa rischia la distruzione.
Tale consapevolezza è chiara nei dirigenti europei, ma viene accuratamente nascosta alle opinioni pubbliche alle quali invece si fa credere tutt’altro. Tanto che la Merkel durante l’agitato vertice di Bruxelles avrebbe detto che ” senza la coesione necessaria” ovvero senza la rigida applicazione dell’austerità ” l’euro prima o poi esploderà”. E lo dice a ragion veduta visto che sia l’Olanda che la Finlandia hanno dichiarato che usciranno dalla moneta unica se per caso vi fosse l’intenzione di mettere in comune il debito mentre in Germania il tema e la tentazione di un’uscita unilaterale è moneta di discussione quotidiana.
Del resto la politica di blocco salariale inaugurata nel 1999 da Schroeder e proseguita fino ad oggi, dentro una pace sociale che vive sotto il vulcano della disoccupazione reale, assai più estesa di quella statistica e dei mini jobs con mini salario, in casi sempre più frequenti al di sotto della soglia di povertà, rende impraticabile politicamente qualsiasi forma di condivisione del debito: la pace sociale in Germania vive impiccata a una moneta forte e non potrebbe superare lo stress di un euro indebolito con la conseguente inflazione. Quindi tutto il potente sistema industriale e ovviamente quello bancario fanno grandi pressioni perché non si arrivi in una situazioni in cui si riaccenda lo scontro sociale.
Questo è il panorama reale, non la cartolina che viene quotidianamente presentata. E qui nemmeno più si tratta di morire per Berlino ma per errori, equivoci e feticci lunghi vent’anni da cui nessuno si può tirare fuori. Ancora adesso europeisti di chiara fama e/o di servizio chiedono fantasiosi piani Marshal, fine dell’austerità, come se questo non fosse palesemente impossibile nell’Europa che ci si è lasciati costruire sotto i piedi, come se attraverso l’evocazione di speranze lasciate marcire fosse ancora possibile restare a guardare.