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La mia banca è differente?

Da Femminileplurale

Sull’incontro “Donne che sostengono la libertà delle donne” tenutosi  il 29 marzo presso la Casa delle donne di Milano

 

Money, money, money must be funny 

in the rich man’s world

(Abba)

Peter Ferguson,

Peter Ferguson, “Mean Mary Borstal”

 

Premessa: Ogni volta che partecipiamo ad un incontro politico, noi di FP siamo abituate a farne un piccolo report. Ciò rappresenta per noi un modo importante per coinvolegere e per far conoscere a coloro che non hanno potuto partecipare ciò che si è detto, se e quali passi avanti si sono fatti. Il senso di questi report non è meramente ricostruttivo, ma partecipativo.

Vorremo riportare le nostre impressioni anche sull’incontro del 29 marzo tenutosi alla Casa delle Donne di Milano. L’incontro, che ha visto la partecipazione di una trentina di donne, rappresentava il seguito di una prima riunione tenutasi a Bologna, a sua volta frutto dell’esperienza del fondo Paestum 2013, che aveva svolto la funzione di agevolare la solidarietà tra donne interessate a partecipare all’incontro.
Le problematiche che sono state poste ruotavano tutte intorno alla possibilità di trovare delle pratiche capaci di rispondere ad alcune esigenze economiche collegate al femminismo, alla sua storia, al lavoro e alla dedizione delle donne nei confronti del movimento: come salvare gli archivi in cui è raccolta la nostra storia, archivi ormai senza più sostegno pubblico? È possibile attivare delle forme di mutualismo e solidarietà in grado di sostenere quelle donne che hanno donato tutto il loro tempo e le energie al movimento? Come reperire delle risorse per sostenere le Case delle Donne e in generale le associazioni che, sul territorio, lavorano per le donne e con le donne?
Nel corso dell’incontro si sono individuate tre possibili risposte/soluzioni. Ciascuna di esse rimanda ad un certo modo di intendere la politica e le sue pratiche. Non possiamo dimenticare che tutto ciò che è economico è anche, in primo luogo, politico.

La prima proposta rimanda all’esperienza del mutualismo e della cooperazione proprie della storia del movimento operaio. Si tratterebbe di valutare quanto e cosa di quelle esperienze possa essere riattualizzato, dando seguito ad una tradizione che si fonda sulla cooperazione più che sulla gerarchia. Si tratta in generale di individuare delle modalità di sostegno reciproco che si sviluppano a partire da una rete di relazioni tra persone guidate da principi e interessi comuni. Sistemi quindi di autoorganizzazione non gerarchiche ma reticolari.
La seconda proposta riguarda invece la possibilità di accedere ai finanziamenti che l’Unione Europea mette a disposizione per le associazioni. Importante, in questa prospettiva, sarebbe, a nostro avviso, la capacità delle varie associazioni e realtà politiche di mettersi in rete e lavorare a questo progetto comune. D’altra parte, si sa, questi finanziamenti, privilegiano realtà complesse che coinvolgono più persone, relazioni nazionali ma anche internazionali.
Se la prima proposta è quella più radicale, anche la seconda non confligge con la storia del movimento, che si fonda sulle relazioni tra donne e non esclude il rapporto con le istituzioni.
La terza proposta ci ha invece lasciate, negativamente, di stucco. In sostanza, si tratterebbe della costituzione di una specie di ‘banca’ capace, grazie al gap tra interessi attivi (ad un tasso più vantaggioso rispetto alle banche normali) dei fondi lasciati in deposito e gli interessi passivi, dei soldi dati a credito, di costituire un fondo di mutualità. Facciamo un esempio concreto per spiegare bene il funzionamento della proposta.
La Sig.ra Anna dispone di 100.000 euro e decide di versarli nella banca neo-costituita, decisione fondata sui maggiori interessi che la suddetta banca è capace di garantire (non il 2% ma ben il 3%!). Questi soldi verranno reimpiegati per finanziare il microcredito a donne dell’India, del Messico etc ad un tasso del 5%. La differenza, ovvero il 2% verrebbe a costituire il fondo di mutualità a sostegno delle donne italiane in difficoltà, finanziato quindi con i soldi ottenuti dai crediti concessi. Quindi, sintetizzando, le donne ricche, che hanno soldi da investire, diventerebbero più ricche (il 3% ), e le donne povere, che chiedono prestiti in quanto non hanno disponibilità proprie, finanziano con l’interesse il fondo della mutualità. Oltre alla chiara deriva neocolonialista prodotta dal trasferimento di risorse dai paesi più poveri a quelli più ricchi, è chiaro che questo progetto si inscrive pienamente all’interno delle dinamiche proprie del capitalismo finanziario che è alla base dell’attuale crisi e che, quindi, è causa della situazione di difficoltà di molte donne, del calo dei finanziamenti alle associazioni, insomma che agisce, modificandole, le condizioni materiali di vita delle donne e delle loro istituzioni. Si vorrebbe quindi risolvere la situazione con gli strumenti che l’hanno provocata. Ma soprattutto: cosa ha a che fare tutto ciò con il femminismo? ‘Finanziarizzare’ la relazione tra donne non è una contraddizione aperta con le nostre pratiche?
È vero che ci sono tanti femminismi e questo è un dato davvero positivo che mostra come il movimento delle donne sia una realtà ricca e libera, un unicum sul piano dei movimenti politici. D’altra parte ogni movimento, pur con le differenze grandi che ci possono essere tra le sue anime, ha la sua ‘radice’: è come una pianta dai mille rami ciascuno dei quali guarda e si protende in direzioni opposte, intersecandosi e scontrandosi, ma tutti hanno un punto di origine comune: rinnegarlo vuol dire porsi fuori dal movimento, o anche, minarne le basi. Sappiamo che la radice del femminismo sta nell’opposizione al patriarcato e alla sua deriva moderna sviluppatasi sotto il nome di capitalismo. Al di là dell’acquisizione di diritti puramente formali, l’epoca del capitalismo non ha permesso l’acquisizione delle libertà concrete corrispondenti. Anzi, talvolta si è assistito ad un peggioramento della condizione delle donne. Di fronte ad un aumento delle libertà formali, non si è riscontato lo stesso sviluppo sul piano delle libertà concrete. E non a caso la crisi che stiamo vivendo ha ha ben mostrato che sono soprattutto le donne a pagare i costi di questo sistema.

Sappiamo che la rivoluzione non si fa in un giorno e che non è possibile mettere in crisi le logiche di un sistema così complesso come quello del capitale in tempi brevi. Ma sappiamo anche che ciascuna di noi può fare qualcosa, una piccola azione per minare le basi di un sistema così complesso. A piccoli passi, in direzione opposta. Avvertiamo l’opzione banca ‘femminista’, invece, come un passo nella direzione del capitalismo e, quindi, un allontanamento dal femminismo. Cosa resta del femminismo, se si piega alle logiche del capitalismo, per di più nella sua versione più estrema e perversa, quella del capitale finanziario? Se davvero non fossimo in grado di fare di più, vorrebbe dire che il femminismo è morto, perché incapace non solo di produrre ma anche solo di immaginare pratiche trasformative.

Non possiamo rinunciare al tentativo di cambiare questo sistema che ci opprime. Non possiamo, appellandoci ad un presunto ‘principio di realtà’,  principio che porta con sé esclusivamente la possibilità della conservazione e mai del cambiamento, abdicare alla funzione prima di ogni pratica politica, ovvero quella di rendere migliore il mondo in cui viviamo.

 


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