In equilibrio tra escatologia e quotidianità, la fine del mondo assume un duplice significato se esplorata con gli innocenti occhi dell’infanzia; Guido Benacquista, undicenne alle prese con il delicato passaggio dalle elementari alle medie, si trova a fronteggiare la (presunta) imminenza della fine dei tempi destreggiandosi tra nuove conoscenze, sentimenti mai vissuti e tristi abbandoni (quello di Filippo, storico compagno di banco trasferitosi a Bologna, e di Andrea, il suo stesso padre).
Oscillando incerto tra le infauste profezie del professore d’italiano e il laico scetticismo della madre, Guido osserva con partecipato distacco le calamità naturali che si abbattono sulla terra, ma rivolge pervicacemente le sue attenzioni e il suo impegno alla ricerca, svolta con trucchi più o meno legittimi, delle anticipazioni sugli episodi del suo cartone preferito, Junzo Hero; l’arrivo della data predetta per la fine porterà a un illeso Guido solo una nuova (e particolarmente simpatica) compagna di classe, e gli inaspettati significati di un’attesa, questa volta piacevole, lo porteranno a comprendere le qualità di una fine del mondo tutta personale e innegabilmente emozionante.
La prepotente spinta vitale di un bambino, circondato da presagi millenaristici, cavalca le onde della realtà, delle passioni e dell’infanzia, dimostrando come le necessità umane, anche se adombrate da predizioni di catastrofi ineluttabili, non evitino di irrompere nelle preoccupazioni di ogni giorno, avanzando richieste a cui non si può disattendere.
In un romanzo dove l’apocalisse, come Guido impara, assume il suo pieno significato etimologico, quello, cioè, di disvelamento, rivelazione, il piccolo protagonista, normalmente speciale, è un undicenne che, candidamente, non ha paura di esprimere i propri timori, declinati, però, in arcobaleni teneramente privati: “Io non so se ci credo che ci sarà la fine del mondo, se ci penso ho paura però. Ho più paura delle cose che possono succedere a me e alla mia famiglia, anche se non crolla nessuna città per i terremoti, perché i miei genitori, i miei nonni e i miei amici sono come se fossero il mio mondo, e io non voglio che finisca”.
In poche parole, gli occhi di un bambino sono un filtro potente, che sa colorare, e non assecondare, le difficoltà dell’esistenza.
Serena Pagliaro
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LA MIA FINE DEL MONDO
AUTORE: Stefano Ceccarelli
Zero91- Collana LSM- pp.gg 180 – euro 10- 2012