Premessa: oggi il post sara’ qualunquista, nazionalista, generalista, e anche un filino snob, ma di quello snob che infastidisce come la grandeur dei miei c. che sfoggiano i cuggini d’oltralpe. Quindi se vi innervosisce la cosa, vi rimando alla prossima puntata.
Ultimamente in Giappone le prime catene italiane di caffe’ e gelato hanno fatto la loro prima, timida comparsa. Sto parlando dei Grom, dei Segafredo, dei Lavazza, degli Illy che stanno iniziando ad aprire un po’ ovunque (anche in campagna aperta: dopo aver visto un Illy a Tsuchiura non mi stupirei nemmeno se aprissero un Apple store a San Costantino Calabro).
Bisogna dire: finalmente, era ora. Cioe’, non so se voi nello stivale ve ne siete accorti, ma il pianeta Terra (noi esclusi) ha due caratteristiche: adora il cibo italiano sopra ogni altro, e contemporaneamente non ha la piu’ pallida idea di come sia il vero cibo italiano. C’avete fatto caso, per caso, al fatto che le catene italiane al di fuori dell’Europa non sono italiane ma per la stragrande maggioranza americane? C’avete fatto caso all’esistenza di Starbucks, coi suoi frappuccini e cappuccini da mezzo litro annacquati? Avete notato tutte le catene dei vari Sbarro (di cui abbiamo gia’ parlato, tra l’altro)?
Ecco, se avete cliccato il link qui sopra saprete gia’ come la penso. Non voglio fare doppioni di post, per cui vi rimando direttamente a quell’altro. Pero’ ora, dai, qualcosa sembra essere in procinto di cambiare.
Parlando di caffe’ e gelati, una nota curiosa e’ il fatto che qua in Giappone nessuno aveva mai sentito parlare di cioccolata calda, fino a quando Grom ha aperto e ha iniziato a farla. Beh, l’altro giorno passo di fronte a Excelsior Caffe’ , l’ennesima catena fintoitaliana ma in realta’ giapponese… e avevano gia’ messo la cioccolata nel menu. Questi, ma non l’abbiamo scoperto certo oggi, sono piu’ bravi a copiare di quanto noi siamo bravi ad evadere le tasse!
Cioe’, gente, io sono stufo di sentire che in Italia c’e’ la disoccupazione giovanile al 26%, che la gente non trova sbocchi, eccetera. Ho capito, sono problemi, ma porcaeva volete un lavoro? Non vi serve una laurea, vi serve usare con testa la vostra cultura, il gusto innato per il cibo che e’ in ognuno di voi. Avete idea di quale giro di soldi la cucina italiana fa girare nel mondo? E avete idea di quanti di questi soldi vadano a finire effettivamente nelle tasche degli italiani?
Venite qua a Tokyo, venite a vedere. Qui i giappi comprano un ricettario e aprono un locale (lo so per esperienza personale, conosco un tipo che si e’ aperto un tapas bar spagnolo senza avere neanche idea di dove sia la Spagna – solo, copiando i tapas bar di Tokyo e facendo qualche lezione di cucina spagnola. Cioe’, devo dire che e’ pure buono, ma di certo non e’ spagnolo).
Viene da chiedersi: e in tutto questo, gli italiani? Gli italiani hanno gentilmente fornito la base culinaria, i prodotti, il vino, le tecniche, la cornice, la scenografia del ristorante, i nomi scritti sul menu.
Poi hanno fornito i clienti, che leggono il menu e criticano gli errori ortografici, dicono che no, la bagnacauda non si fa cosi’, cheminchiae’questaroba, dicono che la pizza e’ troppo cotta, ehmacomelafannoanapoli…, snobbano la pasta perche’ loro stessi a casa potrebbero farla meglio. Ma dai, bella scoperta.
Si perche’ noi italiani quando sediamo a tavola amiamo parlare di cibo, una cosa che gli stranieri non riescono a capire. Non capiscono per il semplice fatto che loro in quel momento stanno mangiando, mentre per noi e’ diverso, noi in quel momento stiamo vivendo un momento d’Amore. Per quello ne parliamo.
E quando siamo noi quelli che hanno cucinato, e viene fuori buonissimo, il miglior complimento che i nostri ospiti ci possono fare e’: “dovresti aprire un ristorante”. Noi ci scherniamo dicendo “eh, si, sul serio dovrei”, la stessa risposta che ci dà nostra madre, quella che ci ha insegnato a far da mangiare, quando noi le diciamo la stessa cosa: “mamma, buonissimo, dovresti aprire un ristorante”.
Gia’, ma poi non lo si fa. E si finisce a mangiare nei ristoranti di Tokyo con i camerieri giappi che ti accolgono vestiti da pulcinella, oppure nei bar finti tipo Italian Tomato dove quando ordini al banco il giappo alla cassa urla “quattoro capucino perfabore” in similitaliano al tipo che sta alla macchina del caffe’, il quale urla “Shi!” di rimando. Salvo poi far la faccia di quello che cade dalle nuvole quando tu gli parli in vero italiano (perche’ ovviamente loro non lo sanno, sono in grado di ripetere a memoria solo quelle due o tre parole li’ per far scena coi loro connazionali. E non ho mai capito se lo facciano per pura scenografia, o per sottointendere che si, sono giapponesi pure loro, ma parlano italiano perche’ hanno imparato la tecnica in loco, da noi).
Ecco, di fronte a tutte queste scene ripensi a quel 26% di giovani italiani che non trovano lavoro e ti dici, cazzo, ma sara’ meglio stare a casa disoccupato o precario o in stage gratuito a tempo indefinito, o mettere in valigia un po’ di vestiti e quei due-tre millenni di cultura, e provare a sfondare all’estero?