Magazine Economia
Cinque anni di crisi sono bastati per chiudere migliaia di imprese, produrre milioni di disoccupati, dissestare le finanze pubbliche di molti Paesi europei. Eppure non sono bastati per sradicare alcune convinzioni diffuse tra molti governanti ed esperti.Lo denunciano Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), i quali hanno lanciato un monito rivolto alle classi dirigenti europee, pubblicato alcune settimane fa sul Financial Times e già firmato da decine di economisti di svariati Paesi.Nel mirino dei promotori vi è innanzitutto il fallimento della cosiddetta austerità espansiva, ovvero di quella fantasiosa dottrina che prescrive la restrizione dei bilanci pubblici allo scopo di favorire la diminuzione dei tassi d’interesse e la ripresa economica, tramite il ripristino della fiducia dei mercati sulla solvibilità dei Paesi dell’Unione. Oggi finalmente si inizia a riconoscere l’inutilità delle misure di austerity, che hanno aggravato la crisi anziché alleviarla.Tuttavia sta sorgendo un nuovo pericolo. Si è affermata l’idea che il gap dei Paesi periferici dell’Unione possa essere colmato tramite l’avvio, da parte di questi ultimi, di riforme strutturali. Esse dovrebbero accrescere la competitività e quindi favorirebbero una ripresa trainata da esportazioni e riduzione dei debiti verso l’estero. Secondo i firmatari del documento, l’affermazione di una tesi di questo genere comprometterebbe l’unità europea. I grandi squilibri presenti tra i Paesi dell’area euro rendono impensabile infatti una soluzione unilaterale al problema. E’ necessaria piuttosto un’azione coordinata che coinvolga anche le economie che hanno sofferto di meno la crisi. Ma in un contesto che vede ancora prevalere la linea punitiva rispetto a quella del buonsenso, non sembra poi così scontato quest’accorgimento.Il monito è molto duro e non lascia spazio a molte interpretazioni: senza una revisione delle politiche di austerità e delle riforme strutturali, “il destino dell’euro sarà segnato”. Ma all’orizzonte si profila un rischio ancora maggiore. Insistendo in questa direzione, si stanno creando i presupposti per l’avanzamento degli estremismi politici, in modo non dissimile da ciò che è avvenuto nel secolo scorso. E già tali effetti sono visibili un po’ in tutto il continente, con l’avanzata dei partiti nazionalisti, populisti e xenofobi. Vien da chiedersi che cosa si stia ancora aspettando.Gli estensori del documento sono ben più referenziati di noi, che ci limitiamo a raccoglierlo e diffonderlo. Riteniamo che le ragioni dei promotori debbano essere sostenute e divulgate anche al di fuori dell’ambito accademico, per cui rilanciamo il monito e chiediamo a tutti coloro che ne condividano il contenuto di fare altrettanto.Solo con una forte coscienza collettiva eviteremo il ripetersi di errori storici banali quanto tragici.
Pietro Figuera