LA MISURA DEL CONFINE (Italia 2010)
Va bene Hollywood, vanno bene i grandi nomi del cinema italiano, vanno bene i film d’autore francesi e tedeschi, va bene tutto, ma ogni tanto, che so, un paio di volte all’anno, in un periodo magari in cui nelle sale non c’è molta roba particolarmente interessante da vedere, il buon cinefilo deve anche saper dare un’occasione ai giovani registi in cerca di consacrazione, meglio ancora se italiani, puntare su qualche titolo sconosciuto che magari, grazie all’impegno anche economico di noi appassionati, saprà trovare, piano piano, la via al grande pubblico. È con questo atteggiamento che mi sono accostato, ieri sera, a La misura del confine: attori sconosciuti, regista sconosciuto, un giallo investigativo italiano lontano dalle solite grandi città… vuoi vedere che ho trovato il nuovo La ragazza del lago?
Ecco: no. Nemmeno lontanamente. La misura del confine, diretto da tal Andrea Papini (stampatevi bene in mente questo nome, hai visto mai che in futuro qualcuno gli permetterà di fare altri danni) è un film osceno. Dico questo per tre ottimi motivi: 1) la recitazione è ai minimi storici. Roba di livello sub-televisivo, da soap opera pomeridiana, che in confronto Monica Bellucci è Katharine Hepburn; 2) la trama, se così la si può definire, è una presa per il culo, e pure delle peggiori, di quelle che ti fanno costantemente credere che si stia per svelare sotto i tuoi occhi chissà quale interessantissimo mistero e che invece si risolve in un nulla di fatto: un corpo mummificato viene trovato su un ghiacciaio al confine tra Italia e Svizzera. Chi sarà? Quando sarà morto? Si tratterà forse di un antico uomo dei ghiacci tipo mummia di Ötzi? Forse che il ritrovamento porta con sè anche una maledizione? No: leggendo i registri del rifugio in cui si trovano, i protagonisti del film scoprono (in un quarto d’ora scarso) che si tratta del cadavere dello zio del nipote del nonno (o qualcosa del genere: a un certo punto ho smesso di seguire la ricostruzione di questo interessantissimo albero genealogico) di uno o due di loro, morto qualche decennio prima per qualche storiaccia di paese. Fine del mistero e del film; 3) le immagini non sono poi malaccio. Questo è ciò che direi se, invece di aver assistito a un film, che si presume dovrebbe essere innanzitutto un’opera d’arte, avessi acceso per caso la tv su Quark o National Geographic: le montagne italo-svizzere ci vengono mostrate in tutto il loro splendore attraverso un uso smodato di inquadrature virtuose e videoeffetti che definire faciloni è un eufemismo – l’immagine fissa di un luogo mandata ad alta velocità in modo che si possano vedere in pochi secondi le nuvole che si spostano e il giorno che si fa notte o viceversa è uno dei luoghi comuni telecinematografici più triti e ritriti di sempre, e qui, ovviamente, se ne fa abbondante uso. Roba buona per un pubblico televisivo nemmeno troppo scafato, insomma, immagini che possono anche stupire per la bellezza dei luoghi che illustrano ma assolutamente prive di qualunque valore artistico.
È un vero peccato che La misura del confine (tra gli sponsor del quale figura anche MYmovies, che ovviamente ne ha pubblicato una recensione oltremodo e oltreragione positiva, ma voi non fidatevi) sia un film così brutto: è raro trovare nelle sale film italiani di autori nuovi e sconosciuti, si vorrebbe che fossero tutti dei capolavori. Spesso è vero il contrario.
Alberto Gallo