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Quello che ha come protagonista Sisifo, è uno dei miti greci più famosi e attuali. Sisifo, il più sagace dei mortali, osò sfidare gli dei dell’Olimpo e fu da loro punito. Zeus in persona decise che il reo avrebbe dovuto spingere un masso dalla base fino alla cima di un monte e che una volta raggiunta la vetta, quel masso sarebbe rotolato nuovamente a valle. Il figlio di Eolo e Anarete, oltre che fondatore e primo re di Corinto, fu dunque condannato a una pena faticosa ed eterna. Della sua figura, verso la quale è impossibile non provare un sentimento di pena e misericordia, stupisce soprattutto l’incredibile modernità. Viviamo, infatti, in un’epoca in cui la maggioranza degli esseri umani ha la sensazione d’essere stata condannata a faticare invano, a dover ruzzare il suo macigno verso l’alto con l’unica certezza che un dio crudele è in agguato, pronto a farsi beffe di noi. Alzi la mano chi non ha questa sensazione. Conosco tanta gente che per quanto si sforzi di migliorare la propria condizione si scontra contro la forza oscura che si prende gioco dei volonterosi. Non si tratta di Zeus, ovviamente, né di Dio comunque lo si voglia chiamare. Chiamiamola, piuttosto “sistema”, imputando alla politica, alle leggi del mercato, alla pseudocultura e alle perverse logiche sociali le principali responsabilità. Ma cosa impedisce alla maggior parte dell’umanità di raccogliere quello che semina, di trasformare la propria fatica in risultati, di porre fine al gioco frustrante di spingere per farsi strada sapendo che tanto non servirà a nulla? La risposta è possibile. A far sì che il successo sia precluso a molti che invece lo meriterebbero è il fatto che costoro sono ancorati al vecchio paradigma del fallimento. Il DNA umano ci lega a questo vecchio paradigma, alimentato da secoli di sventure, lotte titaniche contro forze preponderanti, vite intere in balia dei potenti, della natura, del caso. La nostra genetica ci invita a spingere contro l’energia esterna, che consideriamo avversa, ad opporsi ad essa anziché lasciarsi andare al suo flusso. Siamo fatti in massima parte di acqua ma dell’acqua non condividiamo l’astuzia. Se lo facessimo, arriveremmo in alto e lontano. Viviamo, dunque, assoggettati al paradigma della disfatta, l’incubo dell’insolvenza. Pensate ai contadini di una volta. Dopo avere seminato nei campi, speravano in un buon raccolto. Erano i Sisifo della terra. Bastava la grandine, l’alluvione o la siccità e andavano incontro alla rovina, pur avendo lottando, spinto contro l’energia che ci impedisce di fluire.
Circolano in rete, in questo momento, insegnamenti e profezie su come sarà il futuro. E benché occorra una buona d’incoscienza per dichiararsi ottimisti, sottoscrivo il pensiero di chi afferma che molto presto le cose che tenteremo avranno successo, ma solo se rilasceremo il paradigma dell’aspettativa del fallimento. Non sarà facile. È esattamente questo il problema, siamo così abituati a fallire che ci aspettiamo altri fallimenti, secondo la logica che piove sempre sul bagnato o che i soldi vanno solo dove ce ne sono già tanti. Attenzione, questi non sono luoghi comuni. Sono dinamiche derivanti dalla legge di analogia, una delle forze più misteriose dell’universo, la quale recita che ci capiterà esattamente quello che abbiamo mentalmente attirato e configurato. La verità è che il mondo è pieno di poveri Sisifo che nemmeno riescono a immaginare di poter arrivare sulla cima del monte, posare il loro sasso e fissarlo, in modo che non torni indietro. Cosa fare, dunque, alla vigilia di un anno nuovo e con la certezza che il 2014 è stato deludente, preoccupante, avvilente? Dobbiamo prendere una decisione. O smettiamo di spingere o spingiamo smettendo di pensare che non ce la faremo, lamentandoci che qualcuno o qualcosa ci impedirà di avere successo o, più semplicemente, di migliorare la nostra vita. Solo nel secondo caso le nostre imprese avranno successo, i nostri sogni si realizzeranno e la maledizione di Sisifo si spezzerà.
E se fossimo noi stessi le cause della nostra pena? Personalmente, sono fiducioso. Voglio pensare che il peggio sia passato. Voglio credere che le grandi trasformazioni in atto nel nostro pianeta – e non mi riferisco solo alle scosse di natura economica e sociale ma alla metamorfosi della coscienza umana – ci favoriranno. Nei prossimi tre anni cambieranno tante cose, in meglio. Il passaggio dal vecchio al nuovo mondo non sarà facile né indolore ma abbiamo l’opportunità di porre fine alla nostra atavica sfiga. Smetteremo di emulare Sisifo, di invidiare quelli che ce la fanno senza merito o in maniera scorretta, solo se cambieremo la nostra forma mentis, se ci caricheremo come dinamo di energia creativa, voglia di fare, fiducia. In una parola, se smetteremo di pensare che siamo dei perdenti in un mondo di falsi vincitori.
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