Diverse le questioni emerse da approfondire: 1) la strumentalizzazione laicista della sua persona; 2) le condizioni in cui è morto; 3) l’eredità che lascia nella Chiesa; 4) le presunte contraddizioni con la visione cattolica su determinati temi; 5) la sua comunione con la Chiesa, spiegata nella nostra conclusione.
1) L’INDEBITA STRUMENTALIZZAZIONE LAICISTA
Come già accaduto in modo simile per la morte di Lucio Dalla, anche per Martini la stampa laicista ha cercato una strumentalizzazione per aggredire la Chiesa. La sua celebrazione su quotidiani come “Repubblica”, “Il Fatto Quotidiano” (qui il ridicolo tentativo di Padellaro e Travaglio) e il “Corriere della Sera” è davvero stucchevole, giustamente Antonio Socci ha ricordato le parole di Gesù quando ammonì i suoi così: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Luca 6,24-26). Ma perché viene osannato? Perché «non ragionava come un uomo della Chiesa, non sembrava un Cardinale», ha riassunto un intervistato. Questo è il motivo: per i laicisti era fuori dalla Chiesa, anzi era “uno di noi”, e per questo merita l’onore di Michele Serra, che lo ha definito “il capo dell’opposizione”, «un santino dei radical chic, un Papa perfetto per coloro che non credono al Papa, il guru di una religione cattolica che piace molto a coloro che si professano non cattolici», ha spiegato Mario Giordano.
Ma non c’è «torto più grande non si possa fare al cardinale Martini che trasformarlo nel Pontefice Massimo Alternativo» (come sottolineato su L’Occidentale), per questo il “Corriere della Sera”, di cui era collaboratore, lo ha tradito in modo vergognoso. “Fredduccio” De Bortoli ha anche pensato di ricattare il Pontefice affermando che «sarebbe un gesto simbolico per l’unità della Chiesa se Benedetto XVI venisse al suo funerale», ma è un evento che non si è mai verificato.
Si è perfino mosso il laicista Vito Mancuso parlando di Martini come suo “padre spirituale”, ed elogiando «il cattolicesimo progressista», come «quell’ideale cioè di essere cristiani non contro, ma sempre e solo a favore della vita del mondo». Ma che significa essere (sempre e solo) a favore della “vita del mondo”? I cattolici non progressisti sarebbero invece contrari alla “vita del mondo”? Mah…poveri studenti dell’Università san Raffaele! Mancuso ha poi ricordato che, quando era giovane, da Martini «avvertivo uno stile diverso, per nulla ecclesiastico», per nulla pertinente con la Chiesa dunque, come di fatto Mancuso è diventato (e invece Martini no). Più interessante il ricordo di Eugenio Scalfari, fondatore di “Repubblica”, nonostante il tentativo di far passare l’idea che Martini si sia lasciato morire in contraddizione con la visione cattolica.
2) LA MORTE CATTOLICA DEL CARD. MARTINI
Scalfari ha scritto che Martini «ha deciso di essere staccato dalle macchine che ancora lo tenevano in vita» e lo stesso ha fatto la mandria di Radicali (più Paola Concia, il premio Nobel -rubato- Dario Fo, Mina Welby e Peppo Englaro) che hanno voluto strumentalizzare la morte del cardinale per aggredire la Chiesa. Tuttavia «Martini non era attaccato a una macchina per continuare a vivere», come hanno risposto i medici. Ha scelto di non sottostare ad alcun accanimento terapeutico: in concreto, il cardinale, malato di morbo di Parkinson da diciassette anni e arrivato a una fase della patologia tale da impedirgli la deglutizione, ha deciso di non farsi applicare un sondino per la nutrizione artificiale.
Nonostante i tentativi de “Corriere della Sera” e de “L’Espresso”, nessun paragone possibile si può fare con il caso di Eluana Englaro (non era in fase terminale e non scelse lei di togliere il sondino) e Piergiorgio Welby (che invocava una sedazione letale), come spiegato da monsignor Roberto Colombo, docente alla facoltà di Medicina dell’Ospedale Gemelli di Roma (anche qui). Il rifiuto dell’accanimento terapeutico, cioè ad interventi inutili e invasivi, è un diritto sacrosanto, come recita il documento della Pontificia Accademia per la vita. L’opposizione anche della Chiesa all’accanimento terapeutico e la corretta scelta del card. Martini è stata sottolineata anche dal cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della pontificia Accademia per la vita, dal filosofo Giovanni Reale, dall’arcivescovo Bruno Forte e dal professor Girolamo Sirchia (oltre a diversi altri organi di stampa, fortunatamente).
3) BUON PADRE DI PESSIMI FIGLI
Martini è stato un buon padre di pessimi figli, riferimento di quella intellighenzia subdolamente anticattolica e filolaicista che vive il complesso di inferiorità verso i non credenti, cioè gente come Vito Mancuso (che lo definisce “il mio padre spirituale”), Marco Politi, Ignazio Marino, il prete mediatico Antonio Gallo e tutti i sedicenti cattolici che amano aggredire il Pontefice e la Chiesa e si lasciano volentieri accarezzare dal laicismo, di cui sono orgogliosamente complici. Un buon padre ha anche il dovere di richiamare i suoi figli, sente la “responsabilità” su di loro…forse questa è stata una debolezza di Martini, come ogni uomo ha le sue.
4) CONTRADDIZIONI CON LA CHIESA SUI TEMI ETICI?
Le dichiarazioni del card. Martini hanno subito sempre un fraintendimento continuo, proprio per il suo tentativo di conciliare la visione cattolica con quella laica. Tuttavia ben pochi erano gli ambiti di sottile divisione, come viene spiegato qui.
Non insistette sul sacerdozio femminile dopo aver ricevuto risposta sulla sua richiesta di «valutare a questa possibilità», e smentì chi mise in giro la voce nel marzo 2101 di una sua approvazione per l’abolizione del celibato dei preti, anzi parlò di «una forzatura coniugare l’obbligo del celibato per i preti con gli scandali di violenza e abusi a sfondo sessuale».
Rispetto alla Messa in latino, liberalizzata nel “motu proprio” “Summorum Pontificum” da Benedetto XVI, espresse il suo punto di vista: «Amo la messa preconciliare e il latino ma non celebrerò la messa con l’antico rito», apprezzando comunque «la volontà ecumenica a venire incontro a tutti” mostrata dal Pontefice tedesco».
Rispetto all’uso del preservativo, nell’aprile 2006 lo indicò come “male minore” nel caso di prevenzione dal contagio Hiv, una posizione personale ma ragionevole, tanto specifica quanto poco affrontata dalla dottrina cattolica. Chiedeva prudenza sulla fecondazione eterologa ed invitava l’adozione degli embrioni congelati anche da parte delle donne single, pur di impedirne la distruzione. In caso di mancanza di una famiglia «composta da uomo e donna», non avrebbe precluso l’adozione anche i single. «Non si può mai approvare l’eutanasia», ha scritto, ma neanche condannare «le persone che compiono un simile gesto su richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di altruismo».
La sua posizione sulle unioni omosessuali, è differente da quella che vuol far passare. Ha infatti scritto: «Si può considerare cioè l’eventuale rilevanza giuridica di altre forme di convivenza, ma esse non possono pretendere l’equiparazione, quanto a status, alla famiglia», e ancora: «si deve accuratamente distinguere la famiglia da altre forme di unione non fondate sul matrimonio. Al vertice delle nostre preoccupazioni deve stare non già il proposito di penalizzare le unioni di fatto, ma piuttosto di sostenere positivamente e di promuovere le famiglie in senso proprio». Ha proseguito Martini: «In questa linea le nuove forme di relazionalità non possono pretendere tutte quelle forme di legittimazione e di tutela che sono date alla della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Solo quest’ultima, infatti, riveste una piena funzione sociale, dovuta al suo progetto e impegno di stabilità e alla sua dimensione di fecondità. Le unioni omosessuali, pur potendo giungere, a certe condizioni, a testimoniare il valore di un affetto reciproco, comportano la negazione in radice di quella fecondità (non solo biologica) che è la base della sussistenza della società stessa. Le cosiddette “famiglie di fatto”, pur potendosi aprire alla fecondità, hanno un deficit costitutivo di stabilità e di assunzione di impegno che ne rende precaria la credibilità relazionale e incerta la funzione sociale. Esse infatti rischiano costitutivamente di gettare a un certo punto sulla società i costi umani ed economici delle loro instabilità e inadempienze».
Il cardinale Camillo Ruini ha comunque chiuso la questione spiegando: «Abbiamo avuto all’interno del Consiglio permanente della Cei un dialogo amichevole e a più voci, mai uno scontro. Non sono mai emerse del resto divergenze profonde». Nella Chiesa ci possono essere percorsi culturali diversi, anche divergenze forti, ma non ci sono mai due Chiese.
5) CONCLUSIONE
Di recente, nei momenti più duri della contestazione anti ratzingeriana, il card. Martini ha affermato che invece la chiesa di Benedetto XVI, «non è mai stata così fiorente come essa è ora», e che «può esibire una serie di Papi di altissimo livello», e che «la chiesa si presenta oggi unita e compatta, come forse non lo fu mai nella sua storia». Lui stesso è stato punto di riferimento dell’ala progressista nel Conclave del 2005, facendo convergere su Ratzinger i cardinali progressisti.
Lui stesso, anni fa, si è definito in “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, un Ante-Papa, e cioè «un precursore e preparatore per il Santo Padre», uno che detta la linea al Papa e gli indica i problemi da affrontare, che lancia idee-manifesto che dai più erano giudicate come una forte presa di posizione politica. Martini ha scelto di assumere questo ruolo, bisogna semmai capire se è stata una decisione lungimirante o meno e di vera utilità al Pontefice. A lui sembrava giusto così, ma come ha spiegato perfettamente Massimo Introvigne: «Non è mai stato un progressista alla Edward Schillebeeckx o alla Hans Küng. Martini, a differenza di altri, non pensa che l’etica cattolica sia sbagliata. Non pensa che la morale cattolica debba essere demolita. Semplicemente egli vede innanzi a sé la deriva secolarista che rifiuta e rigetta la morale cattolica. E allora ritiene che adattare la morale in cui anch’egli crede fermamente alla morale secolare possa aiutare la chiesa». E’ utile questa sottomissione della morale cattolica a quella secolare? Lui ci ha provato, accettando consapevolmente gli alti rischi di diventare l’Anti-Papa, ma ha resistito. Giustamente nel suo editoriale sul “Corriere della Sera”, Ernesto Galli della Loggia ha descritto Martini come «impegnato a cercare di piantare la croce sulla tormentata frontiera della modernità, alla ricerca di una perigliosa transazione con essa, con le eresie e gli eretici che la abitano».
Una scelta controversa la sua, e non si può negare la verità di alcune critiche che vengono avanzate. Citiamo quella di Marcello Veneziani, il quale si domanda se è giusto «assecondare lo spirito del tempo anziché invocare il tempo dello spirito», cioè è giusto lasciarsi trascinare dal progressismo mondano e staccarsi dalla Tradizione? E ancora: «Un conto è dialogare con i “gentili”, come fa anche Ratzinger, un altro è sposare il loro punto di vista o scendere sul loro stesso terreno, fino a omologarsi, e rappresentare soltanto la versione religiosa all’interno dell’ateismo dominante». Come ha ottimamente scritto Davide Rondoni, «forse avrebbe fatto meglio a non attardarsi troppo allo specchio che gli veniva retto da chi in realtà non amava e gliene fregava poco della sua fede limpida e profonda, ma si serviva di lui per una antica e sempre nuova battaglia», tuttavia «non fu mai una alternativa alla Chiesa». Avrebbe fatto bene a rifiutare in modo chiaro l’applauso del mondo, come fece don Lorenzo Milani quando la stampa progressista diceva: “è dei nostri”. Lui rispondeva indignato: «Ma che dei vostri! Io sono un prete e basta! In che cosa la penso come voi? Questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica “L’Espresso”. E la comunione e la Messa me la danno loro? Devono rendersi conto che loro non sono nella condizione di poter giudicare e criticare queste cose. Non sono qualificati per dare giudizi. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogo, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono». Lo ha citato Antonio Socci in un articolo molto duro verso il card. Martini, e non privo di ragioni.
In una intervista promossa a tutta pagina de “Il Corriere della Sera”, il card. Martini ha anche affermato che «la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni». Ed è questo il punto, la Chiesa deve rimanere indietro di 2000 anni e non solo di 200, ovvero deve permanere nella roccia della Tradizione e nell’adesione al Vangelo, senza compromessi con i cambiamenti della secolarizzazione. Per questo è l’unica istituzione di riferimento morale che è rimasta (e questo spiega il quotidiano attacco dai devoti del relativismo)
Qualche debolezza di giudizio e soprattutto un tentativo ideale azzardato di adattare la morale cattolica alle sfide del momento storico, con l’alto pericolo di uscire dal confine. La stampa laicista invocava e aspettava con ansia questo passo, ma il card. Martini è riuscito a resistere e salutare il mondo terreno pienamente all’interno dell’alveo della Chiesa. Non a caso il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi lo ha ricordato con parole d’affetto, l’arcivescovo Angelo Scola nell’omelia del funerale, ha parlato di Martini come «figura imponente di questo uomo di Chiesa», a cui va «la nostra commossa gratitudine». Il card. Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, ha affermato: «Il cardinale è un figlio della Chiesa e non deve e non può essere usato contro la Chiesa perché è stato fino in fondo figlio della Chiesa». Ed infine le parole di Benedetto XVI, il quale ha ricordato Martini come un «pastore generoso e fedele della Chiesa».