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La musa di blanchot

Da Dedalus642 @ivanomugnaini

silvia denti SALVATORE FITTIPALDI COPERTINASilvia Denti mi segnala questo libro e questo autore. Lo ha pubblicato e ha scritto per lui una prefazione appassionata, intensa, sincera. Faccio volentieri da cassa di risonanza proponendo qui la prefazione e alcune liriche, alcune immagini in forma di parola di questa Musa di Blanchot che ha ispirato con fervida malia sia l’autore che l’editrice.
Buon Agosto, IM

SALVATORE FITTIPALDI

LA MUSA DI BLANCHOT

(IL VIAGGIO)

edizioni divinafollia

Dedicato ad Antonella Ruzzon

“Un viaggio in cui non è possibile inoltrarsi, immergersi in quella dimensione che protegge, non percepibile e che non rivela nessuna protezione, alcuna sicurezza che il viaggio abbia una destinazione, un muoversi a un passo più in là di quello che non si può afferrare, un movimento perenne dall’aspetto sacro di approssimazione all’irraggiungibile, all’irreale: un viaggio di anime in viaggio verso il punto avanzato del percorso voluto e desiderato dai viaggiatori”.

(L’Autore)

PREFAZIONE

Obliqua magia della luce.

È stata la definizione più immediata – obliqua ma- gia della luce- a darmi l’input per stendere la pre- fazione a questo primo Autore della neonata colla- na Micron.

Salvatore Fittipaldi, conosciuto per caso, letto an- cora più occasionalmente, all’inizio:

“ … ma tu guarda quest’uomo che proposta origi- nale, che verve e che stile visibile nell’invisibile, immenso nel piccolo scrigno chiuso dell’anima ….

guarda che dignità nell’espressione, che certezza di nervo ….”. Eh, sì, a quel punto divenni un’assi- dua seguace di questa penna e mai e poi mai avrei smesso di leggere – quotidianamente – le novità postate sul suo blog, tramutate in poesie, sì, quel- le di Salvo (come mi è venuto, da subito, sponta- neo, chiamarlo). Poi lo scambio immediato, la discussione costruttiva, l’affetto naturale.

Micron nasce per dare forma al mio sogno: quello di pubblicare, a mia firma, come editore, gente che meriterebbe l’Olimpo, che magari non ha avuto la fortuna di essere contattata dai grossi nomi dell’editoria, oppure incompresa, schiva, nascosta. Gente che invia a chi legge una obliqua magia di luce, quella luce che deve rimanere accesa e non esaurirsi nel trascorrere del tempo. Come la ma- gia, o il flash della luce, anche Micron è immedia- ta, breve, non perché la si debba decurtare per scelta di risparmio cartaceo, no. Micron ha tantissimo dentro ma è concentrato, la poesia (ma po- trebbe anche essere prosa) raccolta in pochi caratteri stampati perché il nervo non necessita di lun- gaggini, anzi, colpisce e fugge, fruscio che dilegua l’ombra subito dopo l’abbraccio pieno. E Salvatore Fittipaldi è certamente uno scrittore di nervo. Uno che non cede ai rigori delle regole, ai preconcetti, alla rigidità di schemi o canoni che puntualmente ritroviamo nei libri, nelle sillogi, nelle grandi opere della storia. Già tale concezione della scrittura viene evidenziata negli inquieti, e sicuramente anche il Nostro ne fa parte, ma qui, forse, si enfatizza laddove il dubbio sulla sintassi non esiste più, qui si parla di interpretazione, di analisi del contenuto e stilistica, che si contraddistingue e mai avrà uguali. Ma cos’avrà di tanto nuovo questo genere di far poesia? Mi nascerebbe dalla gola un solo gri- do, leggetelo, io ho già espresso tutto nel titolo, ma forse qualche breve spiegazione è doverosa. Credo sia la prima volta in cui mi trovo di fronte a un testo e ne ho soggezione: non so se riuscirò a dire, descrivere, quanto un pezzo di Fittipaldi possa smuovere a livello emotivo, di appagamento, a una come me che legge un sacco, e ormai quel sacco stupisce, incanta e coinvolge molto poco. Eppure, tra le “cose” scritte, infinite, del periodo in cui sono nata e vivo, “cose” che non posso definire diversamente, tra para-editori, para-scrittori, quel sembrare che non è e mai sarà …. ho tirato fuori voci meravigliose, davvero nuove, con corde taglienti e vibranti capaci di suscitare fremiti persino ai cadaveri di qualche grande ormai sepolto nella storia. Qualcuno. Appunto. Pochi. Magari bruciati in libercoli che sono rimasti lì a fare polvere. Ma perché? Perché gli addetti ai lavori, quelli (teoricamente) veri, hanno altre faccende di cui occuparsi, ci sono i titoli dozzinali da lanciare nella grande distribuzione, non c’è posto per la nicchia, per i numeri bassi, le minime copie. No. È un no che dico io, pur non essendo nessuno, soltanto un’appassionata di scrittura e di critica letteraria, di ricerca, una come tante che ha voluto realizzare un sogno piccolo dentro a un altro sogno grande. Così, con il modesto contributo che mi è possibile dare, pubblico una persona speciale, convinta che succederà quello che è giusto che accada: questo libro verrà visto da occhi non solo esperti ma an- che potenti, e sarà portato nel mondo, come merita. Fittipaldi è stato capace di assemblare un lin- guaggio che supporta davvero il suo pensiero, lo traduce in fonemi, grafemi, ne evidenzia la musi- calità insita, persino la mimica, il nervo, appunto, che è semplicemente l’anima. Giovane, svelta, immediata, viva, pulsante e irrorata di capillari ed arterie, sangue puro. E dite niente? Tutto questo è Salvatore, tutto questo è la sublimazione dell’In- quietantismo, ciò che è parso, per certuni, forse, la degenerazione (in senso positivo) dell’ansia, del- l’arte del nostro secolo, non certo la sussunta chiacchiera sociale secondo la quale l’artista è un pazzo o un deviato. Pensiamo a Baudelaire. Basti poi capire chi va ad ispirare Fittipaldi, da Joyce a Vico, Tolstoj. Nel mio seguirlo, e fu anche un det- taglio che mi colpì, notai che questo Autore aveva creato un circolo dedicato ad Edoardo Sanguineti. Grande. Ho sempre amato Sanguineti. Avrei volu- to conoscerlo, stringergli la mano, ma l’occasione non venne. E come dimenticare gli haiku di un poeta così singolare? Le Sessanta lune: i petali di un haiku nella tua bocca. Mi è venuta così come la ricordo, coi due punti, perché anche Fittipaldi ne fa un uso esagerato, come a precisare che il suo meraviglioso delirio non smette. Mai. Surreale come Maurice Blanchot, con ossimori, pensieri mi- stici, frammentari, separati, spesso dalla doppia interpunzione, appunto, il delirio nervoso ed esi- stenziale, il viaggio in cui non è possibile inoltrarsi. In Fittipaldi io ritrovo tracce di Bataille (come di- menticare la Storia dell’occhio?), la patologia crea- tiva di De Sade, la grandiosa filosofia di Rilke e di Nietsche. La malattia dell’esistenzialismo, comun- que, è cronica, insita in ogni vero scrittore, soprat- tutto poeta, che non manca neppure in Sanguineti. Così il Nostro è ispirato da tanto scenario, che sia benedetto, veramente, per darci modo di tuf- farci in classici che, riletti con cognizione moderna, posso darci ancora e ancora di più. Dice di lui il fi- glio maggiore di Edoardo Sanguineti: <<Facendo il verso al verso di mio padre/ quasi poscritto a tan- ta post-scrittura / post-novissimamente scrive e scrive/ Fittipaldi il cui stile è questo stile/ lo stile dico di non aver stile/ mosso da gentilissima richiesta /con un doppio così di doppio padre /per Salvatore pone Federico/incisa sulla carta questa epigrafe. (Federico Sanguineti). E Salvatore rispon- de, (da 19° di Stracciafoglio): <>.

Ecco, non aggiungo altro, vi presento La musa di Blanchot (Il viaggio), con l’obliqua magia d’una luce nervosa.

SILVIA DENTI
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LE POESIE

LA MUSA DI BLANCHOT

ci sono, in carne e ossa: in prefazione e in appendice: non solo per esigenza personale, di leggerti

e di scriverti, di vederti e di sentirti: sono al capitolo su

“La solitudine essenziale”, quella del mondo, ormai m’è andata

a noia: ci corre incontro: ci appare a luce densa, illumina l’assenza:

è sempre lei:

lusinga, ci fa apparire insieme, ci fa negare

di essere lontani: non ha forma, non è reale: ci mescola al giorno e il giorno ci rimane nella mano:

se proprio non ce la faccio, raccolgo un girasole e te lo lancio, oppure dipingo una luna e te la lascio,

dentro la tua notte:

ho saltato il capitolo su “La morte necessaria”: sono già morto:

vivo e vegeto nella “Terza terra” col profumo dei petali dei fiori:

BOLLETTINO DEI VIAGGIATORI

da un vicolo cieco, da un circolo vizioso andare verso Howth Castle

e dintorni: dal silenzio senza voce passa la strada che arriva alla contrada

attraverso il parco delle arance, il pantano dei rospi, il prato della ruggine:

ha pagato il pedaggio il vento con un passo avanti e uno indietro: adesso gira in tondo, attorno ai tronchi,

nella fatalità del cerchio:

si va, non si va: si torna, non c’è ritorno: non si può tornare:

tirano su le maniche:

l’illusione della speranza fa il viaggio ricco di cadute, di dubbi dove camminare:

“Qual’ è la strada”, ha chiesto Streben:

“Non esiste di tracciata, bisogna avventurarsi verso l’inaccessibile”,

gli ha risposto Genus:

dove si trascinano sono oscuri corridoi, ma il viaggio lo vogliono ricco

di gradini , di posti dove regna tristezza e solitudine, di boschi fitti fitti

per arrivare dove è difficile dirigere la slitta al morbido cielo di Tolstoj:

*Riferimenti:

-Brechunov e Nikita: Tolstoj -Vicus commodus: G.B. Vico

-Howt Castle: Incipit di Finnegans Wake: Joyce -Streben, Genus: Faust Goethe

Traduzione:

de une impasse, d’un cercle vicieux aller à Howth Castle

et ses environs: par le silence muet passe le chemin de l’arrondissement

dans le parc d’oranges, les crapauds des marais, la rouille verte:

a payé le péage, le vent avec un pas en avant et un pas en arrière: désormais tourne en rond, autour des troncs,

dan le sort du cercle:

y aller, ne pas y aller, il est retour, il n’y a pas retour: on ne peut pas revenir en arrière:

retroussent leurs manches: l’illusion de l’espoir rend le voyage plein de chutes, de doutes où marcher:

“Quel est le chemin» at-il demandé Streben:

“Il n’y a de tracé , vous devez vous aventurer dans l’inaccessible”

il répondit Genus:

où ils se glissent sont des couloirs sombres, mais le voyage qu’ils veulent c’est riche

des marches, des endroits où il y a la tristesse , la solitude, d’épaisses forêts denses

pour arriver là où il est difficile de diriger le traîneau au doux ciel de Tolstoï:

AVVISO AI VIAGGIATORI

svègliati serena, anima mia: inizia bene l’anno:

ce la faremo a vivere: il viaggio deve continuare -AVVISO AI VIAGGIATORI:

“Evitare luoghi dove la sosta è la seduzione dei miraggi”-: sopravvivremo,

vedrai: la dialettica dei passi non subirà arresto per debolezze o dolore:

avremo, anche, pure, certamente, paura: tanta

paura: e poi, ancora, paura

di avere paura, già all’inizio, da subito, dall’istante in cui la paura non sa

evitare l’ombra che sempre la segue e la precede: avremo una paura tale

che le parole tremeranno prima di parlare:

serena, anima mia: quella che ti fa bella a te, è la paura:

CASE E DIMORE

oltre la casa, quella con le finestre e i muri abbiamo altre abitazioni: esclusive, nascoste, riservate:

luoghi senza nome, senza stanze, soffitti, pavimenti:

solo la tentazione che attira e che trattiene: posti segreti dove dimorano il linguaggio del pensiero,

il fittizio che si consegna alla finzione, il silenzio senza riduzione, irriducibile, sottratto alla riduzione:

il posto dove entra l’esigenza chiara della luce

filtrata dalle crepe, oltre l’immensità del mare: abbiamo dimore nascoste, come tane, dove respira

l’anima dell’animale, dove il soggiorno trova un altro senso,

un sapore diverso che volevi e che cercavi: abbiamo posti tenuti nascosti: se li mostri, se li riveli, essente assente, te ne ritrovi fuori: abbiamo abitazioni senza mobilio, sedie, lampadari

che sono riserva di sopravvivenza, forma del vuoto:

FIORE IN ITINERE

solo una goccia d’acqua:

non ha altro, per la sete intima dei petali: pallidi, impalliditi di dolore,

per le stimmate dei pistilli e degli stami:

se la salvezza potesse avere inizio,essere veramente guadagnata: se riuscisse il compagno di viaggio,

iniziandosi a soffrire il corpo, a svelare la certezza nascosta

nell’orrore, a risvegliare la meraviglia dopo la distruzione,

a mettere la freschezza nei fantasmi che avvolgono le

cose:

se riuscisse ad accedere al buco, a lui precluso, del destino,

forse il viaggio si eleverebbe a più alta misura, il lavoro del giorno

diventerebbe davvero creatore:

se a quest’ora del viaggio manca la certezza del presente,

il passato guarda all’estremità dell’avvenire: se appare che è il solito scenario che si muove, forse

è la strada giusta: dicono che è la strada del dolore che scatena la storia:

IL GIORNO E LA NOTTE

che lungo giorno, amica luna, il giorno piegato dentro le sue stesse pieghe nelle sue stanche costole piagate

nei gesti e negli incastri dei minuti:

credevo di conoscere i tuoi occhi, di avere fra le mani i tuoi crateri: tu lumencristi e perigeo e lumiera,

tu notte di luna piena in piena notte:

tu lunario segreto e dies lunae tu remo e noema e fuso orario: capovolto ti aspetto fino a notte:

che lunga notte, amica luna, la notte piegata dentro le sue stesse pieghe: capovolto ti aspetto fino a giorno:

IL PESO DEL VIATICO

ne sera plus comme avant: il viatico pesa e

la notte illumina la strada, la mantiene oscura nel chiarore che l’oscurità rende visibile al buio chiaro della luna, all’oscurità della partenza da dove

inizia la distanza, l’allontanamento della vicinanza:

ne sera plus comme avant se è possibile vedere cosa si vede, come prende forma il cosa si vede

quando la lontananza si avvicina:

non c’è riparo sotto la maestà della distanza per l’inquietudine, per l’indecente evidenza del corpo:

guardamelo nudo, libero dal rimpianto miserabile di essere scampato all’istante del fulmine

prima della pioggia:



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