Con un’intervista al Corriere della Sera, il settantaduenne Franco Califano avanza oggi una richiesta ufficiale di un sussidio statale per far fronte a una pesante mancanza di denaro. Una caduta e tre vertebre fatturate – nonché l’età venerabile – gli impediscono di fare spettacoli e serate, ragione per cui il cantautore sarebbe in forti difficoltà economiche che lo hanno indotto a chiedere l’aiuto pubblico in nome di quella Legge Bacchelli che prevede un vitalizio per persone che “abbiano dato lustro alla cultura italiana”.
A Mario Luzzato Fegiz che – giustamente – incalza facendo domande sulla dissolutezza della sua vita passata, sulle montagne di soldi guadagnati e bruciati in droghe, donne e automobili sportive, Califano risponde che “Quando le cose andavano bene non ho pensato a comprare una casa anche perché amavo cambiare spesso luogo: mi spostavo in continuazione fra alberghi, residence, città diverse. Ora, anche se me lo potessi permettere, non comprerei una casa. Per chi? Non ho figli, non ho eredi”.
Forse qualcuno dovrebbe fargli presente che l’acquisto di beni immobili è un investimento che in genere si fa proprio, come diceva mia nonna, “per garantirsi la vecchiaia”.
E non appena Fegiz gli chiede conto dei diritti d’autore che, con i successi da lui firmati, dovrebbero ancora garantirgli un’esistenza dignitosa, Califano commette l’errore catastrofico di raccontare la verità: “Non so bene come funzioni la Siae, so soltanto che prendo circa diecimila euro a semestre. Sempre diecimila, misteriosamente non aumentano né diminuiscono mai. Non ce la faccio”.
Partendo dal presupposto che un professionista di qualunque genere che ammetta coram populo di ignorare quali siano le regole alla base dei suoi introiti non fa una gran figura, il fatto che Califano si lamenti di una tale cifra quasi si parlasse di pochi spiccioli è un tale insulto che io, per essere sicuro di aver capito bene, ho dovuto rileggere il paragrafo tre volte.
Diecimila euro a semestre, visto che la matematica non è una canzonetta, fanno milleseicentosessantasei euro al mese che, paragonati a quelli che sono gli stipendi medi in Italia, confermano che, anche nel declino più totale, Franco Califano si conferma l’uomo senza vergogna che è stato per tutto il corso della sua vita.
A prendersi cura dell’affaire “Povero Califfo” è – toh! – un Senatore del PDL, Domenico Gramazio, il quale quando gli si fa notare che “l'attuale reddito di Califano è superiore a quello di molte famiglie”, in conformità con l’ideologia di buona parte del suo partito sempre in prima linea nel premiare chi, anziché compiere l’atto spregevole di essere gay, perde le bave e le finanze dietro alle donne, rincara la dose: “Molte persone famose delle sport o dello spettacolo hanno realizzato miliardi e poi, per una serie di ragioni, si sono ritrovate in difficoltà. Ricchi che si sono mangiati tutto. No, non ho dubbi, io vado avanti. E poi è davvero sicuro che la gente la prenderà male? "Califfo" è un eroe popolare. Lo invitai a una festa in piazza Tuscolo a Roma e richiamò cinquemila persone. E poi, anche se la cosa non è rilevante, è sempre stato un uomo di destra in tempi non sospetti”.
No, vi prego.. leggete e rileggete con attenzione le parole di Gramazio, perché meritano un’analisi approfondita. "Ricchi che si sono mangiati tutto" (nella maggior parte in puttane e droga, ed evadendo pure le tasse) e per questo meritano la solidarietà statale. E, “cosa più rilevante”, Califano merita di essere aiutato dalla comunità perché “e sempre stato un uomo di destra in tempi non sospetti”. Non capisco: le martoriate casse dello Stato dovrebbero pagare una pensione a un puttaniere incallito solo per fedeltà alla causa politica?
Certo.. mi immagino quanto un maschione pazzo per le femmine come Califano possa rodere di invidia nel vedere un altro uomo, più anziano di un anno rispetto a lui, che grazie ai suoi ruoli pubblici si paga valanghe di pulzelle diciassettenni; ma da questo a pretendere di essere invitati al banchetto solo perché si è scritto qualche buon testo da canzonetta pop, mi sembra un po’ eccessivo.
Io credo piuttosto che, a settantadue anni suonati e con milleseicento euro al mese, Califano dovrebbe sedersi comodo in poltrona, sbavare guardando le ballerine in tivù, e rendersi conto che, volente o nolente, oramai, per lui, la musica è finita.
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