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La Narrazione come Cura

Da Anna
di Maria Rosaria De Simone
Il concetto di narrazione è molto ampio e travalica i confini del racconto orale e/o letterario; la narrazione è riferibile al mito, alla leggenda, alla fiaba, alla novella popolare, all’epica, alla storia, alla tragedia, al dramma, alla commedia, al mimo, alla pittura, al cinema, al teatro, ai fumetti, alla conversazione. Indipendentemente da una suddivisione in buona e cattiva letteratura, la narrazione sembra internazionale, transtorica, transculturale: la vita stessa è narrazione in quanto storia (Bruner, 1988).
Quando parliamo di narrazione non ci limitiamo alla sola narrazione di tipo verbale ovviamente. L’operazione narrativa, infatti, può avvenire attraverso vari canali (dal linguaggio parlato, alla scrittura, all’immagine video…).
Narrare rappresenta l’unico modo che l’essere umano possiede per far conoscere un accaduto o la propria storia. Non è possibile, infatti, presentarsi al mondo se non narrandosi.
L'uso e la presenza costante della scrittura negli ultimi cinquemila anni di storia dell'uomo dimostra lo straordinario potere psicologico, oltre che comunicativo, di questo mezzo. Lo stesso metodo di distinzione tra storia e preistoria mette in evidenza l'importanza della scrittura nella rilettura della cultura umana: è storico tutto ciò che avviene dopo che l'uomo ha iniziato ad lasciare documenti scritti.
Scrivere qualcosa, come leggerlo, può facilmente cambiare il nostro umore ed avere forti implicazioni sul resto della nostra giornata. Non solo, la scrittura può cambiare i nostri stati interiori e l'organizzazione dei pensieri, anche quando scrittore e lettore siano separati da una consistente distanza spazio-temporale.
I motivi per cui l'uomo scrive possono essere ricondotti prevalentemente ad un forte bisogno comunicativo insito nella mente umana, per sua natura prettamente linguistica. Alcuni autori come Maturana vedono il linguaggio come caratteristica essenziale di una mente autocosciente (Maturana, 1993). Secondo questo approccio la mente è funzione del linguaggio e non viceversa.
La scrittura ha un alto potere comunicativo essendo uno dei metodi più efficaci e sicuri per scambiarsi informazioni. La scrittura, da un punto di vista psicologico, dà all'uomo l'illusione benefica di poter lasciare un segno e di far sì che i propri pensieri gli sopravvivano.
Ma le funzioni della scrittura non si limitano all'ambito di una comunicazione tra figure reali. Si può benissimo scrivere ad un altro immaginario e cogliere ugualmente i benefici di un'attività liberatoria ed organizzatrice come questa.
I recenti approcci biografici e narrativi mostrano come proprio la narrazione sia un elemento centrale nella vita dell'uomo. La narrazione individuale di storie genera l'organizzazione mentale di una biografia personale che, adeguatamente intrecciata con le storie di altre vite, contribuisce a donare un senso alle proprie esperienze ed alla propria esistenza.
Le nostre vite sono infatti incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle storie che raccontiamo o che ci vengono raccontate (nelle forme più diverse), a quelle che sogniamo o immaginiamo o vorremmo poter narrare. Tutte vengono rielaborate nella storia della nostra vita, che noi raccontiamo a noi stessi in un lungo monologo, episodico, spesso inconsapevole, ma virtualmente ininterrotto (Brooks, 1995).
Noi viviamo immersi nella narrazione ripensando e soppesando il senso delle nostre azioni passate, anticipando i risultati di quelle progettate per il futuro, e collocandoci nel punto di intersezione di varie vicende non ancora completate. L’istinto narrativo è antico in noi quanto il desiderio di conoscenza, è il modo privilegiato per attribuire significati.
Questa definizione di narrazione è molto estesa e, anche se altri autori ne restringono la portata, serve a rendere l’idea della molteplicità delle sue manifestazioni nella vita quotidiana.
L’interesse per una "psicologia narrativa" è emerso all’interno di un più generale orientamento "narrativo" nell’epistemologia e nelle scienze dell’uomo; per ciò che riguarda la psicologia, questo interesse è stato favorito dallo sviluppo degli studi sulle storie (nella clinica e nella psicologia evolutiva).
Non è facile dire in che cosa una storia consista, e anche in campo linguistico non si è ancora pervenuti ad una sua definizione univoca.
Molti psicoterapeuti individuano nell’attività del narrarsi il fulcro del processo terapeutico. Per questi, l’uomo costruisce e ricostruisce i propri mondi narrandoli. Si può dire che essi abbiano scoperto l’importanza fondamentale che il narrare riveste nella continua ridefinizione di un’identità. La terapia viene così vista come un racconto, come un romanzo, come un’opera d’arte.
"L’intera attività terapeutica è in fondo questa sorta di esercizio immaginativo che recupera la tradizione orale del narrare storie: la terapia ridà storia alla vita". (J.Hillmann Le storie che curano).
In campo clinico, Erving Polster (1987) suggerisce che la vita di ogni persona può essere vista come un romanzo: la scoperta di tale analogia sarebbe di per sé terapeutica.
Polster, come Hillman (1984), vede la psicoterapia come un processo estetico-artistico. Il terapeuta deve usare gli stessi criteri selettivi e costruttivi che usa uno scrittore nel produrre una storia, allo scopo di aiutare il cliente a "ri-scrivere" la sua biografia. È in questo modo che all’interno del setting si produce una storia di cui terapeuta e cliente costituiscono i co-narratori. Tale prassi d’intervento è sostenuta dalla "scoperta" teorica di un modo specifico di funzionare della mente: il pensiero narrativo.
Il pensiero narrativo sarebbe alla base di un modo di rappresentare e conoscere il mondo guidato da regole portatrici di senso, prescrittive, tematiche; una modalità peculiare con la quale l’uomo organizza, elabora e narra la realtà e l'esperienza di sé.
Una volta assunto che la narrazione può costituire un veicolo di cambiamento, è lecito notare come ci siano narrazioni (modi di rappresentarsi) più efficaci di altre; spesso non è sufficiente un semplice narrarsi per promuovere un cambiamento. Attualmente l’attenzione dei ricercatori e dei clinici è tesa a comprendere in quale modo la narrazione produce dei cambiamenti, "come" le storie curano e in quali circostanze un tipo di narrazione può essere efficace.
Questo perché, nel corso della vita, non facciamo altro che raccontare noi stessi attraverso storie che rappresentano dei veri e propri atti narrativi in quanto frutto di operazioni attive di organizzazione ed elaborazione dei diversi episodi che riteniamo più importanti per la nostra vita (cfr.Callieri, 1999-2000).
Tale operazione, tuttavia, non nasce esclusivamente dall’esigenza di raccontarci all’esterno, bensì dalla necessità di dare un senso a ciò che ci accade, di collegare i diversi eventi che costellano la nostra esistenza lungo una dimensione sia temporale che spaziale. Nasce dal desiderio di raccontarci a noi stessi.
Oltre ad essere un essenziale strumento relazionale quindi, la narrazione rappresenta anche, e soprattutto, la via attraverso cui dare forma alla propria identità.
Se parliamo di identità narrativa, possiamo dire che ogni volta che ci presentiamo sia a noi stessi che agli altri, in realtà ci stiamo raccontando in un certo modo. Questo perché, come dice Callieri, "…noi non siamo altro che la storia che raccontiamo di noi stessi e la nostra identità narrativa si costituisce mediante la nostra storia" (1999-2000, pp.4).
Sono le storie che le persone raccontano e si raccontano della propria vita a determinare il significato che loro stesse attribuiscono alle esperienze vissute. Le esperienze che l’Io compie danno forma all’ identità: narrarle dà loro un senso, le inserisce in un contesto, in un tempo e quindi in una storia già esistente.
Narrare rappresenta, quindi, un’operazione di consapevolezza in quanto equivale a costruire una propria visione di se stessi e del mondo: sono io come narratore che, nel momento in cui racconto qualcosa, opero una selezione, un’organizzazione del materiale disponibile.
L’elaborazione dei fatti in storie o "racconti personali" è necessaria perché le persone diano un senso alla loro vita, perché acquistino un sentimento di coerenza e continuità. Creando dei legami intenzionali tra le esperienze vissute. Non si può prescindere dal concetto di intenzionalità in quanto, nel costruire storie, le persone determinano, oltre al significato che attribuiscono all’esperienza, anche quali aspetti dell’esperienza vissuta vengono selezionati per l’attribuzione del significato.
Quello che narro, poi, è sempre influenzato da chi mi sta ascoltando o da chi immagino mi stia ascoltando. Probabilmente il mio stile cambierà anche in funzione del pubblico o di quello che immagino sia il mio pubblico. Nel momento in cui narro, compio una scelta: scelgo cosa narrare di me e cosa no, cosa far trasparire, organizzo i tempi, le intonazioni, le espressioni facciali, le parole, la voce, le pause… Questo è particolarmente evidente se racconto un fatto della mia vita a un amico, a un nemico, ad una persona che mi sta antipatica, ad una persona che mi sta simpatica, ad una persona di cui mi vorrei innamorare o ad una persona che odio.
L’attività narrante quindi si completa e acquista senso solo se c’è un ascoltatore della narrazione. Non è sufficiente, infatti, che qualcuno narri se non c’è nessuno che ascolti ciò che sta narrando. All’intenzionalità di chi racconta, quindi, è sempre indispensabile si leghi l’intenzionalità di chi sta ascoltando quel racconto (un libro ha bisogno di un lettore per diventare narrazione, così come il diario ha bisogno del mio ascolto affinché mi narri qualcosa).
All’interno della relazione psicoterapeutica si viene a creare tra paziente e terapeuta una polarità narratore-ascoltatore della narrazione. Tale polarità necessita dell’intenzionalità di entrambi per dar vita ad una costruzione narrativa che li coinvolga in quanto attori della relazione.
Per tutto il percorso della terapia paziente e terapeuta lavorano su realtà narrative che il paziente stesso crea rendendole racconti. Al terapeuta non interessa se quelle realtà siano "veramente" accadute oppure no; ciò che a lui interessa è la ricostruzione che il cliente fa di ciò che è avvenuto.
Nel momento in cui si racconta qualcosa che appartiene al proprio passato, infatti, non lo si rivive, lo si ricostruisce. "All’autore, pur sempre a qualcuno rivolgendosi, preme il gusto del ricordare non per fatti quanto piuttosto per significati tratti dall’esperienza e quindi per riflessioni" (Demetrio, 1995, pp.72).
Il che non vuol dire che lo si inventa ma che l’"Io tessitore", come lo definisce Demetrio (ibidem), dà vita ad un intreccio tra realtà narrativa e realtà storica, ad un "come se". Più il racconto è coerente, più elevata sarà la possibilità di confondere realtà narrativa e realtà storica con la realtà vissuta.
Ciò permette al terapeuta di liberarsi dai vincoli della verità e di lavorare sulla realtà narrativa che la persona sta raccontando e ri-costruendo insieme a lui.
Nel mentre che ci rappresentiamo e ricostruiamo "…ripensiamo a ciò che abbiamo vissuto, creiamo un altro da noi. Lo vediamo agire, sbagliare, amare, godere, mentire, ammalarsi e gioire: ci sdoppiamo, ci bilochiamo, ci moltiplichiamo" (Demetrio, 1995, pp.12). Creiamo una "distanza estetica", creativa, in quanto ci osserviamo nel nostro narrare; ci distanziamo dall’evento accaduto, entro un certo limite, per poterlo organizzare in una forma narrativa.
Il qui ed ora della terapia diventa il luogo e il tempo fertile all’interno dei quali iniziare a vivere esperienze nuove, nuovi modi di sentire, versioni diverse della propria esistenza e, quindi, nuovi racconti.
Compito del terapeuta è quello di entrare nel mondo ipotetico del "come se" del cliente, nelle sue diverse ricostruzioni ed ascoltare il nascere di connessioni con la sua storia.
"Ricostruire una storia diviene dunque un costruire insieme un tratto di vita, rimodellare parti di sé, delle rappresentazioni della propria identità e del proprio contesto sociale" (Venturini,1995,pp. 56). Significa dare origine ad un racconto nuovo che, in quanto condiviso, crea un confronto all’interno del quale il terapeuta si muove verso un obiettivo: facilitare la persona nell’assunzione di responsabilità, aiutarla a rischiare possibilità diverse, ad aprire un copione di vita che si ripeteva sempre nello stesso modo. La aiuta a riaprire il finale, in un certo senso, in quanto gli offre la possibilità di togliere la parola fine. In questo senso parliamo di narrazione creativa;
Ovviamente, non spetta al terapeuta proporre una storia diversa: egli può limitarsi a dare degli stimoli, a mettere in figura qualcosa che è sullo sfondo. Può proporre al cliente di indossare delle alternative andando a vedere se nella storia che quest’ultimo gli racconta è possibile inserire dei sottotesti, delle storie di personaggi secondari. Sostanzialmente quella che compie è una riorganizzazione del campo narrativo giocando con gli elementi della storia del cliente.
Quindi anche la psicologia e la psicoanalisi non sono passate indenni attraverso la svolta narrativa/biografica, tant’è che si parla ora di una vera e propria psicologia narrativa, determinata dal rinnovato interesse per l’uso ed il significato delle storie in terapia e più in generale della loro importanza nella costruzione del sé di un individuo.
In ambito psicoanalitico ha fatto la sua comparsa la categoria del sé narratore, dove il termine indica un sé che racconta storie e la descrizione del sé appartiene alla storia narrata. Non manca a questo panorama narrativo l’identificazione del terapeuta con la figura di un "cercatore di storie".
Gli stessi sistemi di credenze, che impariamo con la cultura di cui facciamo parte, non vengono più intesi semplicemente come sistemi di eventi reali, ma sono considerati piuttosto come storie che gli esseri umani si narrano per organizzare e interpretare la loro esperienza. Vista in quest’ottica, anche la "patologia" viene considerata come una particolare struttura narrativa, e la terapia un intervento su di essa . Anche le diverse proposte metodologiche presenti in ogni particolare scuola terapeutica possono essere definite come storie o narrazioni diverse; e così, accanto ad una "storia" freudiana e neofreudiana, adleriana, junghiana, abbiamo anche una storia sistemico-relazionale, una gestaltica, una analitico-transazionale, eccetera: narrazioni diverse, ma continue, all’interno di quella narrazione più generalizzata che fin dal suo apparire è stato, ed è tuttora, il movimento psicoterapeutico.
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