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La nascita di un figlio disabile

Da Psychomer
by Claudia D'Incognito on febbraio 29, 2012

La nascita di un figlio è sempre un momento critico nella vita di una famiglia, che mette a dura prova il benessere della coppia genitoriale. Nonostante si tratti di un arrivo spesso atteso e sperato, la coppia è consapevole della significatività di un cambiamento di tale portata. L’arrivo del nuovo nato richiede una ristrutturazione della relazione che vede la creazione di nuovi equilibri.

Quando nasce un bambino disabile i genitori si trovano ad affrontare una situazione disadattante particolarmente drammatica. Tutti i loro sogni sull’idea dell’arrivo del figlio ideale e sulla progettazione del suo futuro si scontrano con una realtà fatta di delusioni, diagnosi infauste, angosce e frustrazioni. I sentimenti positivi di attesa e fiducia maturati nel corso della gravidanza sono costretti a confrontarsi con l’evidenza di un figlio con difficoltà.

Essere genitori di un bambino disabile è un ruolo che una persona non sceglie. L’annuncio della disabilità costituisce il momento a partire dal quale una nuova realtà familiare prende vita, niente potrà essere più come prima.

La nascita di un figlio con problemi sembra fermare il tempo. Solitamente i genitori tendono a vedere i figli come la continuazione di loro stessi, qualcuno con cui identificarsi e la presenza di un handicap impedisce questo processo.

La reazione dei genitori alla presenza di un figlio disabile passa per diverse fasi. Nel prima fase si manifesta la necessità di elaborare il lutto della morte del figlio ideale, all’interno di un percorso fatto di dolore.

Nel momento in cui genitori si scoprono vulnerabili e non onnipotenti, le reazioni di shock, rifiuto e senso di impotenza si accompagnano a un vissuto di profondi sensi di colpa, per cui la coppia di riconosce come unica responsabile di quanto accaduto al bambino. Questa condizione si accompagna spesso all’evitamento del confronto con il contesto sociale, con il rischio concreto di attraversare periodi di disforia o depressione.

La seconda fase del processo vede insorgere nei genitori sentimenti di ambivalenza, rabbia verso l’ingiustizia subita e vergogna.

L’ultima fase di questo processo prevede reazioni di patteggiamento con chiunque possa far sperare in un ritorno alla normalità del bambino (medici, servizi territoriali, ricorso alla fede). Quando il doloroso percorso valutativo volge al termine, mostrando l’irreversibilità della situazione, la famiglia comincia un lento cammino di adattamento che si spera porti alla piena accettazione della disabilità, accompagnata all’elaborazione di un progetto di vita per il figlio.

Spesso però i genitori si trovano impreparati  e soli nel sostenere i passaggi evolutivi del figlio alle molte sfide educative che esso pone. L’auspicio è che i programmi di intervento vengano pianificati non solo sul bambino, ma sulle esigenze della famiglia e sulle risorse preziose. E’ importante che il piano terapeutico cerchi fin dai primi passi il coinvolgimento attivo dei genitori come co-terapeuti, all’interno di programmi di parent training, generalizzando in questo modo i risultati ottenuti nel corso della riabilitazione.


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