Non voglio discutere qui dell’origine dei generi o, figurarsi, della letteratura stessa. So piú di voi quanto ciò non mi competa e, ma forse è solo per scusa, quanto poco ciò appartenga veramente ai problemi letterari. Invece voglio supporre qualcosa sulla natura dei generi letterari, ma soprattutto su come la natura di questi influenzi l’uso che ne fa l’uomo. Il mio non è un tentativo di fare della scienza naturale, dunque, ma della scienza umana.
I generi letterari stessi sono oggetto infatti di una scienza naturale che si chiama narratologia. Esistono e si moltiplicano perciò indipendentemente dall’ingegno umano, e proliferano indisturbati e inosservati per secoli prima che l’uomo li scopra e li riconosca. E ciò allo stesso modo in cui una nuova specie o un nuovo genere di Cephalopoda, per esempio, vengono scoperti fra gli arcipelaghi dell’Indonesia, o davvero lo stesso in cui centinaia di migliaia invece ancora si nascondano nei precipizi oceanici. L’unica obiezione che mi si farà sarà forse che mentre il genere letterario viene, per cosí dire, creato e scovato a un tempo (è genere letterario cioè solo ciò che l’uomo decida che lo sia), le specie animali e vegetali che popolano il pianeta vi appartengono da prima che l’uomo desse loro un proprio nome. Ma ciò si basa su un’errata interpretazione dei princípi catalogatori della zoologia, secondo i quali, in realtà, una distinzione esatta fra specie e specie, genere e genere, classe e classe eccetera, non esiste. Cosí come non esiste una simile distinzione fra i generi letterari, se non nella misura in cui l’uomo li riconosca come diversi. L’unica reale differenza fra i generi letterari e quelli studiati dalla zoologia è che i primi sono scoperti tramite un concepimento astratto, mentre i secondi tramite esperienze fisiche. Questa è naturalmente un’obiezione legittima, sennonché, ai fini di un articolo di letteratura (e non di critica letteraria), ciò non comporta gravi impedimenti; cosí come non ne comporta la giusta ma sterile osservazione che la vita, come è ovvio, si sia sviluppata prima della letteratura.
La naturalità dei generi letterari veniva già riconosciuta da Eliot, anche se non posso sapere in quale misura la mia e la sua visione potrebbero aderire, quando scriveva, a proposito del metodo mitico di Joyce, che la costante sovrapposizione di echi omerici al realismo della narrazione aveva «l’importanza di una scoperta scientifica». Ed è sintomatico che proprio ad un «romanzo dei generi», qual è l’Ulisse, venga attribuita una simile importanza. Ciò risulta molto piú evidente in Joyce perché ai lettori di Mr Bloom non si scopre solo un nuovo genere, ma, per mantenere il parallelo con la zoologia, una mostruosità1; e tuttavia ciò non si può attribuire al solo Joyce, ma a tutti i grandi geni della cosmogonia letteraria (molti dei quali ignoti od ignorati).
La naturalità o, mi arrischio a dire solo ora, l’esistenza spontanea dei generi, si può mostrare credo convincentemente con l’esempio dell’epopea. Le esigenze scientifiche delle culture umane del IX secolo a.C. non potevano includere l’attendibilità della storiografia coeva, e l’intervento divino nelle questioni umane cantato nei poemi omerici era semplicemente accettato come avvenuto. In altre parole il poema era riconosciuto come storia, o, meglio ancora, una distionzione fra le due non si era plausibilmente ancora percepita. L’Iliade e l’Odissea furono infatti coscienziosamente chiamate dal Manzoni «epopea naturale» (terminologia che io non adotto per non creare confusione), contrapposte all’Eneide e all’«epopea letteraria» che essa rappresenta (letteraria, cioè di natura esplicitamente artistica).
Non è corretto, credo, dire che nel IX secolo a.C. l’attendibilità di un testo che si proponeva come storico non veniva riconosciuta: piuttosto, la questione stessa veniva in larga parte ignorata, perché inattuale. Al contrario, l’Eneide e l’uso che se ne fece nella società romana, dimostra una maggiore coscienza del ruolo del positivo e del meraviglioso nella narrazione di un poema, una coscienza tale che permette di attingere al materiale naturale del passato (la storiografia del IX secolo) e astrarla in forma di genere letterario (poiché in epoca romana il sentimento era che poesia e storiografia non potessero corrispondersi). In questo senso l’arte della letteratura non è creazione, ma adattamento, secondo una definizione a me care di arte per la quale l’artista non traccia mai niente di voluto, ma dà solo forma al caso.
Cosí una necessità qual era il tramandamento di eventi storici porta, col mutarsi delle esigenze dell’uomo, alla palingenesi letteraria della storiografia. E infatti, pur corrispondendo nelle forme, le due opere umane si distinguono nella natura del concepimento: mentre la prima epopea omerica propone narrazioni inverosimili (ma percepite come verosimili) di eventi ignoti, quella virgiliana ne propone di inverosimili quando come tali vengono percepite. Ma c’è un ulteriore passo, che compirà la Gerusallemme Liberata solo nel XVI secolo, e cioè la narrazione inverosimile percepita come tale, di eventi però noti al pubblico (o da esso conoscibili). E con l’opera del Tasso infatti, anche secondo penne piú accreditate della mia, l’epopea è finalmente esausta. Non è infatti per mancanza di originalità o anacronismo che le nuove correnti pedestri sono incapaci di rievocare il genio letterario, ma perché si adoperano su fossili e maschere del passato che la natura della letteratura ha ormai estinto.
Cosí, alla maniera medesima delle specie e dei generi viventi, ma ad una velocità imparagonabilmente piú alta, le specie e i generi letterari si esauriscono e scompaiono, per ricomparire ma mutati per sempre soltanto quando se ne accorga l’ingegno dell’uomo.
Per questo il fine di ogni grande letterato, o davvero il fine di ogni grande uomo, non è raggiungere una posizione, ma essere una posizione: non inserirsi in una categoria, ma diventare essere e costituire lui stesso una categoria. Ciò che spero non risulti tanto muto ed aforistico come sarebbe parso, forse, se non vi foste muniti della pazienza di leggere questo mio breve ma sincero tentativo.
Emiliano Garonzi
1. Domestic races of the same species, also, often have a somewhat monstrous character; by which I mean, that, although differing from each other, and from the other species of the same genus, in several trifling respects, they often differ in an extreme degree in some one part, both when compared one with another, and more especially when compared with all the species in nature to which they are nearest allied.
(C. Darwin, Origin of Species)
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