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La no-fly zone in Siria e l’ipocrisia europea.

Creato il 23 maggio 2013 da Basil7

Per quanto si possa dire, l’ipotesi della no-fly zone in Siria è ancora sul tavolo di molte cancellerie in tutto il mondo. Tuttavia, sull’argomento non c’è assolutamente accordo tra i vari attori, per motivi sia politici, sia tecnici ed economici. La posizione più ambigua è senz’altro degli Stati Uniti, con Obama che oscilla tra la consapevolezza del delicato mosaico nel quale si andrebbe operare – a ogni tessera corrisponde un ordigno – e le pressioni dei sostenitori del principio R2P (Responsibility to Protect) molto caro a settori trasversali dell’opinione pubblica americana, soprattutto tra i democratici. Altra condotta ambigua è quella turca, poiché ad Ankara da un lato si spera di neutralizzare la Siria, dall’altro, però, si teme la deflagrazione della questione curda, cosicché Erdogan si trova ad alternare misure tendenzialmente preparatorie (schieramento di missili “Patriot”, pattugliamenti intensificati, sporadiche incursioni oltreconfine) a raffreddamenti alle aspettative provenienti in particolar modo da ambienti NATO.

Più nette, invece, sono le intenzioni di Russia e Cina, con Mosca a supporto del mantenimento dell’equilibrio imperniato su Assad e comunque di una – improbabile – svolta diplomatica, mentre Pechino rimane piuttosto in disparte, lasciando però intendere che non voterebbe a favore di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che avviasse un’azione militare (probabile l’astensione).

A proporre con forza la necessità dell’impegno sono l’Arabia Saudita e il Qatar: l’obiettivo è aprire manifestamente il nuovo fronte dello scontro tra sunniti e sciiti già avviato con la gestione delle “Primavere” arabe e degli eventi contestuali e consequenziali.

Che farebbe invece l’Europa? Resterebbe impantanata nell’ipocrisia del formalismo, lanciando ecumenici appelli per la pace e la concordia nelle imminenze dell’azione, quindi, giunta la legittimazione dell’ONU, dichiarerebbe che le scelte giuste talvolta causino dubbi cocenti. Il problema non è la posizione circa un intervento militare in Siria, bensì l’atteggiamento ambiguo dell’Unione in ogni crisi internazionale: non si può affettare ripudio e indignazione per la guerra civile in corso restando immobili.

È risaputo che, ormai, l’unica soluzione alla vicenda è militare, soprattutto perché la fitta rete di finanziamenti, rifornimenti e sostegni politici all’una o all’altra fazione ha raggiunto un’ampiezza tale che ogni altra possibilità è del tutto compromessa. Il conflitto in Libia, cioè il modello di no-fly zone più recente, ha posto in risalto tre seri problemi, tutti già noti, ma prepotentemente tornati alla ribalta. Il primo è che qualsiasi impegno militare internazionale necessiti del contributo degli Stati Uniti, in quanto unici a disporre delle risorse per affrontare lo sforzo bellico. Il secondo (strettamente connesso al precedente) riguarda proprio le forze in campo. Ammettiamo che in Siria sia dispiegata una forza aerea per attuare la no-fly zone composta da Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Qatar. Un’operazione sullo stile di quella condotta in Libia richiederebbe la distruzione preliminare di installazioni sensibili e difese aeree, vale a dire bombardamenti con effetti collaterali e spese notevoli per gli armamenti. Servirebbero poi radar volanti (AWACS) per tenere sotto controllo il traffico e velivoli cisterna: i Paesi dell’eventuale “Sunni Shield” non avrebbero i mezzi adeguati. Infine, il terzo problema, più evidente, è che – ahimè – le guerre si vincono sul terreno, con la conquista fisica degli obiettivi e il controllo del territorio. Tutto, ovviamente, sospendendo la valutazione sulle modificazioni della conformazione geopolitica del Vicino Oriente.

Per di più, l’intervento sarebbe doppio, poiché si dovrebbe agire sia contro Assad, sia, al contempo, contro le fazioni islamiste radicali e banditesche degli insorti. A essere certo, ormai, è solo che la Siria stia diventando, con la massima responsabilità di ogni attore in gioco a livello internazionale, un vasto cimitero nel deserto.

Beniamino Franceschini

La no-fly zone in Siria e l’ipocrisia europea.

La foto contenuta nell’articolo è stata scattata ad Azaz, in Siria, nel 2012 da  Christiaan Triebert.



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