Tra le ultime tendenze comportamentali dei “millennials occidentali e nativi digitali” quella di dare nell’occhio il meno possibile. Hastag come #normcore, #nofilter e #uglyselfie riempiono i social come contro-reazione di chi sceglie di mettere in evidenza gli aspetti peggiori o quelli più normali. Omogeneizzazione come sovversione, apparentemente.
Con un cocktail potente di visuale e mobile, gli utenti generano contenuti propri, consapevoli che “tutti possono essere alla moda, dunque nessuno lo è”, diretta conseguenza della democratizzazione della moda che va verso quella attuale “normalità”.
Su Instagram diventa il gioco di cui le appassionate si appropriano per condividere le loro scelte di stile, e non per essere qualcuno, ma per cogliere l’opportunità di connettersi con chiunque, per ricercare e chiedere suggerimenti, interagire con i brand, comparare prodotti.
Anche le influenzatrici, più che lanciare un’estetica particolare, si limitano ad adattarsi ad ogni diversa situazione, interpretandola in quel singolo momento.
Per i brand che fanno social marketing la sfida sta nella capacità comunicativa di cogliere quel singolo momento e generare una moltiplicazione di connessioni. Ma questo non si può fare semplicemente pubblicando un post.