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La normativa dei piatti pronti

Creato il 23 novembre 2010 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

ready Crescono i consumi dei prodotti trasformati, a maggiore valore aggiunto e a maggior contenuto di servizio. Lo rileva Ismea che stima, nel I trimestre 2010, un incremento dei volumi di acquisto del 10,2% per gli ortaggi di IV gamma, del 9,8% per i preparati per i risotti e del 3,8% per i primi piatti surgelati. Domanda in crescita anche per i salumi dop (+2,1%), per i formaggi (+1,1%) e per gli yogurt(+2,2%).

Nonostante ciò, non esiste una normativa specifica per questa tipologia di nuovi prodotti. I piatti pronti, ready to eat o ready to cook, sono un assemblaggio di tante materie prime e di altri prodotti alimentari, pertanto chi si affaccia a questo settore, deve far riferimento a tutta la giungla di normative esistenti. Il pacchetto igiene in primo luogo, ma c’è da prendere atto di più di 30 Regolamenti, fra testi principali, rettifiche e modifiche.

Ecco l’asse principale della normativa:

- Reg. 178/2002 CE, sui principi e requisiti della legislazione alimentare e sulla tracciabilità
- Reg. 852/2004 CE, sull’igiene dei prodotti alimentari
- Reg. 853/2004 CE, sulle norme specifiche sull’igiene per i prodotti di origine animale
- Reg. 2073/2005 CE sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari.
Tutti questi atti hanno dato luogo a numerose rettifiche e/o aggiornamenti, ma la loro impostazione generale è tuttora valida.
In tali norme sono espressi i caratteri generali che l’operatore deve adempiere per non incorrere in sanzioni, sia amministrative, sia penali, senza dimenticare le ben più pericolose implicazioni civili.
Attingendo dalla letteratura scientifica si potrà definire un percorso a più livelli, dove:
- le fondamenta, sono le buone pratiche igieniche
- l’edificio, è l’HACCP
- il tetto, QFD o qualsiasi altro sistema di pratica applicazione della qualità totale.
In teoria la legge si ferma alle fondamenta, ma i rapporti con i fornitori, con clienti, con il mercato in generale, estendono anche agli altri fattori il possibile contenzioso.
Solo tramite una corretta analisi del rischio l’impresa può decidere quali sono i suoi punti di debolezza e quali sono gli interventi necessari a tenerli adeguatamente sorvegliati. Altrimenti tutto è pericoloso e tutto va controllato, dimenticando lo scopo principale che è la produzione di alimenti.
I criteri da considerare per effettuare l’analisi del rischio con dei principi semplificativi adeguati sono almeno questi: applicare in modo scientificamente corretto l’albero delle decisioni (ad esempio quello del Codex Alimentarius), considerare i caratteri epidemiologici dei vari problemi analizzati, valutare attentamente la situazione particolare della realtà che si sta studiando.
Discussione annosa è la definizione di punto critico di controllo: la diatriba è fra l’approccio a difetto zero, tipicamente di origine meccanica, e le due possibilità di intervento per eliminare o controllare il rischio di un’operazione (FDA), piuttosto che definire in partenza che si riesce solo a raggiungere un livello sopportabile di difetti (approccio ICMSF).
Se affrontiamo la situazione dal lato epidemiologico avremo i problemi microbiologici al primo posto con oltre il 90 % della frequenza, poi quelli chimici con meno del 3 %, quindi i fisici con poco meno del 3% di avvenimenti.
Tuttavia si deve anche valutare la gravità del danno provocato, dove la morte dell’individuo è da confrontare con avvenimenti spiacevoli ma relativamente poco dannosi (il famigerato capello nella pietanza sanzionato dall’art. 5, lettera d, della legge 283/62).
Per la parte microbiologica vale il Reg. 2073/05 CE e suo aggiornamento con il Reg. 1441/07 CE che aggiorna gli allegati.
La parte chimica deve essere suddivisa fra:
- inibitori definiti nel Reg. 2377/1990 CE (aggiornato con Reg. 1464/2004 CE);
- le aflatossine con il Reg. 178/2010 CE sui piani di campionamento, Reg. 165/2010 CE sui limiti delle aflatossine, restano attuali per le micotossine il Reg. 401/2006 CE (campionamento) e Reg. 1881/2006 CE per i limiti;
- le diossine il riferimento è ancora il Reg. 1881/2006 CE;
- i residui di pesticidi, erbicidi, fungicidi e così via la norma fondamentale è il Reg. 396/2005 CE, con successivi aggiornamenti;
- gli ormoni veterinari la legislazione è il D. Lgs. 158/2006, il quale è stato aggiornato con il D.Lgs. 232/2007;
- infine sempre nel Reg. 1881/2006 CE sono presenti limiti per alcuni metalli pesanti (Pb, Cd, Hg, Sn), IPA e nitrati.
I contaminanti fisici dovrebbero essere controllati con adeguate GMP.
Se consideriamo ora i fattori estrinsechi avremo:
- l’etichettatura con il D. Lgs. 109/92,
- l’etichettatura nutrizionale con il D. Lgs. 77/1993,
- gli allergeni con il D. Lgs. 114/2006,
- i claims con il Reg. 1924/06 CE,
- gli additivi con il D. M. 209/96 che verrà sostituito dal Reg. 1333/08 CE,
- gli aromi con il D. Lgs. 107/92 che verrà sostituito dal Reg. 1334/08 CE,
- l’introduzione di un Reg. 1332/08 per gli enzimi.

Infine vanno considerati gli articoli del codice penale seguenti :
- 440 adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari
- 444 commercio di sostanze alimentari nocive
- 515 Frodi nell’esercizio del commercio
- 516 Vendite di sostanze alimentari non genuine come genuine.
CONCLUSIONI
Già sfrondando di molto la legislazione pertinente con l’analisi del rischio, rimane un corposo numero di norme da considerare.
Si tenga presente che sono possibili sconfinamenti in altri campi come la medicina del lavoro (ex 626 sulla sicurezza e 277 sul rumore), nella metrologia (articolo 2 del decreto-legge 3 luglio 1976, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 agosto 1976, n. 614, dall’articolo 2 della legge 25 ottobre 1978, n. 690, e dall’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1980, n. 391), per non parlare del monumentale corpo legislativo per i singoli tipi di matrice.
L’insieme delle conoscenze e la loro accorta interpretazione è mestiere difficile e impegnativo, frutto di studio costante e minuzioso che solo il tecnico preparato e diligente può compiere.

Gozzi dottor Giovanni
Tecnologo alimentare

Tratto da www.simposioagroalimentare.it


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