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“La «nostra» società”

Da Malvino

“La «nostra» società”

foto: flickr


I bambini hanno necessariamente bisogno di una madre e di un padre per crescere bene? La loro psiche rivela disturbi particolari se vengono allevati da una coppia gay? Su Avvenire, lo scorso 16 febbrario, Giuseppe Anzani lo dava per scontato, ma l’Associazione Italiana di Psicologia è intervenuta a correggere quelle che ha definito “affermazioni che non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psico-sociale degli individui”, perché “il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non è tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno”.Cose ormai risapute, ma chissà quante altre volte si dovrà ripeterle a chi difende, anche contro l’evidenza, questi e cento altri logori luoghi comuni. Poi, però, c’è il professor Francesco D’Agostino, che non nega l’evidenza, ma cerca di eluderla: il problema non sarebbe “psicologico, bensì antropologico”.
“Almeno in linea di principio – scrive – potremmo anche concordare [“«che ciò che è importante per il benessere dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano conviventi, separati, risposati, single, dello stesso sesso» (come sostiene il comunicato degli psicologi)”]; ma ciò che dovrebbe piuttosto stare a cuore a tutti è riaffermare che ogni società, o almeno certamente la «nostra» società, si fonda su strutture familiari stabili e riconosciute, dotate di una potenziale e naturale fecondità, di un fondamento morale personale (il reciproco impegno dei coniugi) e di un riconoscimento giuridico pubblico (il matrimonio). […] Dovrebbe essere chiaro agli occhi di tutti che la cura e la protezione cui hanno diritto i bambini vanno ordinariamente garantite da una coppia genitoriale e da un «normale» contesto familiare e non da una mera «buona volontà» psicologica di adulti disposti generosamente a prendersi cura di loro” (Avvenire, 9.3.2011).
D’improvviso, il bambino ha smesso di stare al centro della questione: nel negare la sua adozione da parte di una coppia gay, il suo benessere sembrava fosse la cosa più importante, adesso non lo è più. Adesso al centro delle preoccupazioni è “la «nostra» società”, “il «normale» contesto familiare”, “l’esperienza storica e morale plurisecolare”. E qui ogni “ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psicosociale degli individui” diventa inutile: le tautologie di «nostro» e «normale» rendono insignificante ogni rilievo scientifico. Provate a cambiare i termini della questione e con questo tipo di argomentazione, contro ogni ragione, si può difendere ogni cosa: basta sia «normale» ed è «nostra», basta sia «nostra» ed è «normale».


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