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La notte del giudizio – Recensione

Creato il 07 agosto 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
la notte del giudizio, recensione, The Purge, James DeMonaco

Il produttore del film, Michael Bay (Photo credit: niXerKG / Foter / CC BY-ND)

La notte del giudizio o, per meglio dire, The Purge è un film che avrebbe potuto essere bello. Il contesto è intrigante. Scenario distopico: un futuro non troppo lontano, 2022, negli Stati Uniti d’America la criminalità è stata abbattuta, così come la disoccupazione e la povertà, tuttavia questa serenità viene assicurata lasciando una volta all’anno, per dodici ore, completa libertà di azione a tutta la popolazione, senza intervento di forze dell’ordine o ambulanze.

Regna quindi un caos, il 21 marzo di ogni anno, che lateralmente rende felici tutti, tutelando 364 giorni di tranquillità, ma che terrorizza chiaramente le persone comuni, che in una vita senza questa “notte dello sfogo” non avrebbero comunque fatto del male ad alcuno. Abbiamo quindi un bel panorama affascinante, che, se sfruttato bene con una sceneggiatura decente e una buona regia, può anche sfornare dei temi caldi di attualità o una bella denuncia politica. E ci prova, ma il tutto viene sepolto da una banalità sfavillante i in buchi enormi della sceneggiatura.

Abbiamo la nostra solita famiglia benestante che vive su una collina in una casa fatta di pietra. Madre e padre sono belli, così come la figlia più grande, il fratellino invece non è questo campione di bellezza perché, chiaramente, è molto intelligente e un po’ “nerd”. E quindi dopo pochi minuti di film abbiamo spolverato almeno cinque cliché del cinema americano.
Il padre vende sistemi di sicurezza dedicati proprio alla notte della purga quindi la famigliola felice si sente intoccabile. Questo fino a quando il sensibile figlio apre i congegni di sicurezza per far entrare in casa un senzatetto e farlo così scappare dai suoi aguzzini, giovani rampolli dell’alta borghesia, mascherati, che considerano la purga un rito necessario per purificarsi.

Sorvolando sulla banalità di una regia basata sui piccoli spaventi, e nel far trasalire gli attori ogni minuto, ogni tentativo intellettuale viene soffocato dalla necessità di sparacchiare, infilzare e picchiare. Potrebbe essere una scelta stilistica, ma non è nemmeno così violento da nauseare. Perciò diventa una storia inutile con avvenimenti inutili, che non riesce a dire niente.
Il film prova a innalzare il livello questa “notte della purga”, esaminando come si sviluppa la nottata: tutta la violenza si sfoga sui meno abbienti incapaci di proteggersi e quindi potrebbe essere vista come una “pulizia dei pezzenti”; prova a denunciare le lobby delle armi che speculano sulle vite altrui; prova ad analizzare il comportamento da uomo a belva: prova insomma a fare un sacco di cose senza in realtà voler fare niente di tutto questo.

In breve: non è un film intellettuale e nemmeno pseudo-intellettuale, non è nemmeno un tipico film da botteghino; non è brutto, ma nemmeno carino; insomma né carne, né pesce.
Ma rimane un pensiero al fondo del cervello che stuzzica la mente: “La notte del giudizio” avrebbe potuto essere bello.

Articolo di Silvia Cannarsa


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