Pubblicato da miriam
Parigi ha incoronato il suo re, di notte. Tra il chiasso festoso delle luci e l’intimità dolcissima delle ruote che si fermano lì, dopo il viaggio. Christopher Froome è un re mite, con il sorriso da bambino timido e riflessivo. Di quei bambini che hanno pensieri e sogni così profondi che preferiscono stare in silenzio e provare a raggiungerli con le loro gambe, prima che con le parole. Chris, con le sue gambe, ne ha fatta tanta di strada, per arrivare lì, sul primo gradino del podio del Tour de France numero cento. E forse non solo con le gambe, ma anche con il coraggio e la determinazione.
Chris, nato in Kenya e cresciuto in Sudafrica, amava il rugby, da ragazzino. Eppure, come tante volte succede, nella vita, bisogna arrendersi al fatto che quella strada che ci pareva nostra, non è quella giusta. Troppo magro e troppo mingherlino era Chris per fare bella figura in campo. Magro, sì. Viene da sorridere se si pensa che ora è proprio quella magrezza che lo fa volare in salita e che lo rende scultoreo a cronometro. Ma per allora, forse, per un’adolescente, scoprire che non sei fatto per lo sport che ami è deludente, forse anche un po’ frustrante. Guardando la battaglia tra Armstrong e Basso al Tour si innamora del ciclismo e la rotta della sua vita, improvvisamente, cambia. Il suo sogno diventa correre nel mondo, correre al Tour e vincerlo. Uno di quei sogni impossibili che si fanno prima di addormentarsi, ogni sera, come la recita di una preghiera.
“Se si crede fortemente in qualcosa, si trova anche la strada per raggiungerla” ha detto Chris alla fine della tappa sull’Alpe d’Huez, quando l’emozione, le grida del pubblico, la commozione, gli hanno impedito di raggiungere Nairo Quintana e mettere per l’ennesima volta la sua firma sulla tappa. Sul Tour, la firma, l’aveva già messa. Da subito. Una firma che adesso sarà su tutte le maglie, sui cappellini che i bambini tendono disperati e felici, sulle braccia, sulle fotografie. Un nome che prima era come tutti gli altri. Sì, anche Chris che, nella notte di Parigi, è sulla vetta del mondo, ha sentito sulla sua faccia il ruvido delle porte che si chiudono, senza aver neanche spiegato, con le gambe o con il cuore, il perché si doveva credere in lui. Sì, lui che oggi tutti definiscono “macchina”, porta con sé cicatrici che parlano di un’umanità profonda, sensibile e tenace. Timida eppure forte, che non l’ha fatto arrendere. Essere nessuno per diventare qualcuno.
Il viaggio, la strada che non si ferma mai, gli hanno insegnato anche a correre da solo, a essere un tutt’uno con l’asfalto e il mondo che scivola via, chilometro dopo chilometro. I traguardi gli hanno fatto capire che, quando le ruote si fermano, c’è bisogno di una mano amorevole, di un abbraccio sincero che dica: “Sei arrivato”. “Una donna, alla fine della strada” diceva Jack Kerouac e, in fondo alla strada lunga, tormentata e, allo stesso tempo, meravigliosa di Chris c’è Michelle. Che sui Campi Elisi, con gli occhi lucidi e il sorriso commosso ripete: “I’m so proud of him”. Sono così orgogliosa di lui.
La notte di Parigi è bella ma è diversa: ha il sapore amarognolo e frizzante dello Champagne. A fiumi, le bollicine francesi, nelle sere di festa. Chris lo sa che lo Champagne assomiglia un po’ alla vita. Ubriaca, rende felici e inconsapevoli. Eppure ha quel retrogusto che raschia un po’ la gola, che fa arricciare il naso agli astemi. Stanchezze, scoraggiamenti, che con le vittorie spariscono ma sono sempre lì, a ricordare che la vittoria non è solo di gambe ma anche e soprattutto di cuore. Cuore che non si arrende. Sorride, Chris. Sa che tutti quelli che lo applaudono, nella notte di Parigi, non sapranno mai a fondo quanti sacrifici ha sopportato per essere lì. “Questa vittoria incredibile, mi ha riportato in rotta” dice. “Mi ha dato speranza, fiducia.”
Chris ha fatto davvero l’impossibile: il ragazzo che veniva dal Sudafrica ha vinto un Tour de France con la maglia di una delle squadre più forti del pianeta. Ha davvero ascoltato solo il vento che aveva dentro, che tracciava la sua rotta. Ha cercato la strada giusta e forse ha scelto con coraggio quello che tutti consideravano un viottolo senza importanza.
Grazie, Chris, per esserti mostrato a tutti così, con la tua pedalata un po’ imperfetta, nodosa come un tronco antico e veloce come una lepre dei boschi. Grazie per aver sempre offerto la stessa espressione benevola a chi ti adora senza riserve e a chi dubita di quello che sei. Nessuno può dire che ti sei preso troppo: è quello che meritavi. Sei il re che Parigi voleva. Sei quello che sognavi.
Grazie Chris.
Ci sono giornate così nere nelle quali ciò in cui credevamo sembra dissolversi, nelle quali le nostre battaglie, quelle sentite, quelle di cuore e di anima, ci sembrano perdute contro l’ingiustizia del mondo. Giornate così nere che ci fanno sentire stupidi, imperfetti, illusi, impotenti, stanchi. Eppure, la notte di Parigi, con le sue luci, ci riporta la speranza. Grazie Chris, il tuo sorriso timido e commosso ci ricorda che se si crede profondamente in qualcosa, la strada per raggiungerla la troveremo. Ora, magari, non sappiamo dove sia. Forse è quella che stiamo percorrendo. Forse ancora ci attende. Ma la troveremo. La vita, il viaggio ci porteranno sulla rotta giusta.