In questi giorni sono almeno tre i passaggi della politica internazionale europea che segneranno una svolta radicale nel vecchio continente.
Il primo è stato la visita del Ministro italiano Monti negli Stati Uniti. Unanimi sono i consensi nei confronti del nostro primo ministro. L’apprezzamento del Presidente Obama è fondamentale, considerando che, con esso, si ottiene il consenso di quella classe finanziaria internazionale tanto ostile al nostro paese, in tempi di speculazione…
L’economia e la finanza non sono mai state così scollate nei paesi industrializzati. Inoltre, appare chiaro che la competenza di Monti viene riconosciuta non solo per il suo contributo all’Italia ma, sopratutto, per la stabilità e progressione del progetto Europa.
Il secondo riguarda la Grecia, prima reale vittima di un dissesto da transizione che non finirà a breve. I greci pagheranno nei prossimi decenni lo sfascio finanziario del loro paese. L’Europa sa di non potersi permettere il fallimento di nessuna nazione al suo interno, seppur piccola. Però non intende farsi carico dei costi del suo salvataggio. Ammesso che i primi colpevoli del fallimento della Grecia siano proprio i greci, anche chi doveva controllare il loro operato a livello Comunitario non è senza peccato. Come minimo è connivente.
Il terzo è legato al lavoro. La Spagna sta varando una riforma del lavoro per uscire dalla crisi. Anche l’Italia lo sta facendo e, in molti sono convinti, che la riforma sarà approvata e che rappresenterà l’impianto dei prossimi 100 anni. E’ come dire che sarà risolutiva e definitiva. In Spagna sono in corso di organizzazione i primi scioperi generali.
Gli obiettivi sono: lavoro più flessibile e lotta alla disoccupazione. Più o meno gli stessi che vengono dichiarati in Italia.
Si parla di ridurre le indennità di licenziamento (da 45 giorni per ogni giorno di paga per ogni anno lavorato a 33 giorni di paga). Si estende e si semplifica la facoltà di ricorrere ai licenziamenti economici low cost (20 giorni per anno di lavoro per un massimo di 12 mesi). Sarà a disposizione delle imprese di quelle aziende che hanno registrato per nove mesi un calo delle vendite o che lo prevedono. L’obbiettivo è far diminuire il numero di disoccupati, aumentare la produttività e promuovere la crescita delle imprese. La struttura produttiva spagnola è abbastanza simile a quella italiana. LE PMI contribuiscono a creare il 90% dell’occupazione.
La riforma propone un contratto a tempo indeterminato per le imprese con meno di 50 lavoratori. Agevolazioni fiscali di 3mila euro per l’assunzione di giovani sotto i 30 anni e la facoltà per il primo anno di usare il 25% dell’indennità di disoccupazione per completare la retribuzione. Si prevede anche uno sconto annuale di 3600 euro per tre anni nei contributi dell’ impresa alla Sicurezza Sociale per l’assunzione di giovani fra 16 e 30 anni e di 4500 euro per i disoccupati di lungo periodo di più di 45 anni.
La flessibilità riguarderà anche gli accordi collettivi. Le imprese potranno sganciarsi dagli accordi di categoria e modificare tempi di lavoro, funzioni dei dipendenti, nelle retribuzioni in caso di crisi. Inoltre gli accordi d’impresa prevarranno su quelli collettivi nazionali o regionali, e alla scadenza saranno validi ancora solo due anni.
La riforma spagnola non è molto dissimile nelle misure da quella proposta dal governo italiano. Ciò fa pensare che si stia procedendo ad una omologazione, o progressivo avvicinamento delle normative nazionali in materia di lavoro in Europa. Il che, in se, non è un male, anzi spesso è stato definito come un normale procedere dell’integrazione europea.
Tuttavia, il rischio è che le politiche pubbliche del lavoro, mancando un reale riferimento esplicito comunitario, cioè un punto definito di arrivo, concertato e istituzionalizzato dai paesi, possano procedere attraverso progressive riforme di aggiustamento, creando iniquità generazionali e professionali che, di volta in volta, si presentano nei diversi paesi.
Non resta che attendere… sperando che a pagare non siano solamente imprese e lavoratori e che non si proceda attraverso fratture sociali, ma forme di collaborazione e concertazione che creino un equilibrio sociale ed economico sostenibile.