Magazine Politica

LA NUOVA VIA DELLA SETA NEL MONDO GLOBALIZZATO di G. Caprara

Creato il 07 marzo 2015 da Conflittiestrategie

 

Dagli atti della giornata di studio dell’ASCE, Associazione Scuola di Competizione Economica di Venezia

Dal tramonto del bipolarismo, sancito dalla fine della guerra fredda dove USA ed URSS imperavano sul pianeta, le dinamiche economiche, politiche e militari europee ed asiatiche, hanno traghettato la società verso il multipolarismo. Gli equilibri globali del XXI secolo sono ora principalmente regolati da quattro blocchi fra loro interrelati: Stati Uniti, Cina, Russia ed Unione Europea, una condizione più articolata e dai risvolti imprevedibili rispetto al periodo precedente. Il nuovo ordine è una diretta conseguenza della globalizzazione, con l’affermazione di economie come quelle della Cina e dell’India. Le radicali differenze politiche, sociali e culturali, non sembrano consentire una integrazione coerente fra i Paesi emergenti e quelli dominanti, pertanto l’equilibrio dell’ordine mondiale non pare essere di semplice prevedibilità: al contrario la non facile coesistenza disperderà il potere in centri diversi. Le aree di influenza si allargheranno principalmente all’Iran, all’Asia Centrale ed al Mar Cinese Meridionale e probabilmente, sarà la nascita del mondo apolare, ovvero l’incapacità dei Grandi a gestire la logica dell’economia e della politica. Il 2014 è l’anno che ha sancito il momento di crescita dei cosiddetti BRICS, l’acronimo che unisce gli Stati di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, dove si sono sviluppati i nuovi equilibri del pianeta in uno stadio di fluidità finanziaria, politica e militare. L’apolarità è definibile come una paralisi del sistema, da addebitare ad una diminuzione generalizzata del potere in tutte le aree, dove nessun Paese sarà in grado di regolare le dinamiche politiche, economiche e militari a livello globale. Di fatto si genereranno tanti piccoli centri di valore strategico. Il numero dei Governi assunti a ruoli importanti sta aumentando ed a questi si aggiungono l’FMI, il WTO, organizzazioni private, istituzioni finanziarie e le multinazionali, tanti soggetti che pesano sul dinamismo internazionale. L’instabilità nel Pacifico e nel Mar Cinese con l’attrito fra Cina, Giappone, Corea del Nord ed USA, l’ISIS, le crisi in Ucraina, Libia e Siria sono i nuovi focolai di destabilizzazione, responsabili anche del processo di apolarità, ovvero dell’incapacità delle superpotenze a tenere saldo il controllo sull’evoluzione della situazione. Consegnate alla storia le vicende delle due guerre mondiali e finito il bipolarismo USA-Unione Sovietica, gli Stati Sovrani, hanno identificato una nuova sfida nell’economia, dove il benessere del cittadino e l’evoluzione delle dinamiche finanziare sono beni da difendere. Da questa evidenza si sono sviluppate le Scuole di Guerra Economica, a servizio delle medie e grandi potenze del pianeta. A Venezia, la Scuola di Competizione Economica, ASCE, diretta dal Professore Arduino Paniccia, afferma la necessità di implementare alle risorse umane una strategia che possa migliorare la competitività del Sistema Italia. Le evoluzioni degli accordi economici e delle dinamiche che le regolano, sono oggetto di studio dell’ASCE, che ha focalizzato la propria attenzione su due momenti precisi che decreteranno la probabile affermazione di due centri di potere: il Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP, i cui attori sono Unione Europea e Stati Uniti e la nuova via della seta, patrocinata principalmente dalla Cina.

Il TTIP, è un accordo commerciale sul modello dei free trade agreement che coinvolge i 50 Stati USA e le 28 Nazioni dell’Unione Europea, per un totale di circa 820 milioni di cittadini. La finalità della comunione di intenti è agevolare crescita ed occupazione in entrambe le sponde dell’Atlantico rimuovendo le barriere commerciali. Ciò dovrebbe facilitare la vendita e l’acquisto di beni e servizi, come anche gli investimenti in ambedue le economie. Il viatico che intendono percorrere è: rimuovere i dazi doganali sui beni e le restrizioni sui servizi, regolando l’accesso ai mercati pubblici e facilitando gli investimenti; migliore coerenza normativa e cooperazione nell’eliminazione di barriere fiscali non necessarie, ad iniziare dall’eccessiva burocrazia; cooperazioni ad hoc nella definizione degli standard internazionali. Se gli attori del progetto troveranno la necessaria coesione, i vantaggi dovrebbero essere identificabili nella creazione di una zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti che riguardi merci, servizi, appalti pubblici ed investimenti. Ed inoltre nell’uniformare e semplificare le normative tra le due parti, abbattendo le differenze non legate ai dazi, le cosiddette Non-Tariff Barriers o NTB, e nel migliorare le normative esistenti. Le barriere tariffarie al confine statunitense sono relativamente basse, e limandole ulteriormente potrebbero consentire l’aumento dell’attuale flusso commerciale, fissato a due miliardi di euro al giorno. L’operazione si tramuterebbe in una leva economica enorme, particolarmente in quelle aree dove le aziende UE sono competitive, come nel tessile, nella ceramica e nei prodotti agricoli lavorati. L’obiettivo è quindi rimuovere gli inutili ostacoli agli scambi ed agli investimenti, compresi quelli non tariffari esistenti, mediante meccanismi efficaci ed efficienti, raggiungendo un livello ambizioso di compatibilità normativa in materia di beni e servizi. Tuttavia saranno previste misure di salvaguardia che consentano, ad una qualsiasi delle parti in causa, di giubilare le norme, in parte od integralmente, laddove l’aumento delle importazioni di un prodotto minacci di arrecare un grave pregiudizio all’industria della nazione acquirente. Saranno varate anche misure antidumping, allo scopo di evitare la vendita di un singolo bene sul mercato estero ad un prezzo inferiore rispetto a quello dello stesso prodotto sul mercato di origine, anche se, in effetti, non esiste un forte effetto dumping nel commercio tra Stati Uniti ed Unione Europea. Un fattore discriminate sull’accordo è nella fermezza dell’UE nello stabilire regole e standard molto rigidi, affinché non si debba eliminare e ridurre il livello di protezione europeo in materia di salute, ambiente e protezione dei consumatori. La richiesta dell’UE è dunque quella di un allineamento normativo e mutuo riconoscimento, che saranno possibili solo se gli Stati Uniti accetteranno una convergenza reale sugli standard di sicurezza ed ambientali sovrapponibili a quelli del Vecchio Continente. Il TTIP tuttavia non è un semplice trattato di libero scambio commerciale, come altri in precedenza, poiché concerne non solo le merci, ma anche i servizi, gli appalti pubblici e gli investimenti. Dal punto di vista giuridico, esistono alcune difficoltà da superare, in quanto non è un semplice trattato ma un international investment agreement, ossia non introduce il solo concetto di trade, ma anche quello di investment. Gli Stati Uniti sono il maggior investitore al mondo ed i paesi europei sono, a loro volta, quelli che intrecciano rapporti commerciali con gli USA più di ogni altro. Pertanto il TTIP avrà un impatto enorme sul diritto internazionale degli investimenti e sarà il mezzo trainante atto a rafforzare la competitività dell’Unione Europea, mettendo a disposizione di quest’ultima, ulteriori opportunità per essere presenti nel mercato statunitense. Perciò, la radice del problema è data dalla necessità di contemperare due opposti interessi: da una parte, quello dello stato ospite di salvaguardare la propria sovranità dal punto di vista economico, contro centri di potere che possano influenzare in modo determinante il pubblico interesse, dall’altra quello dell’impresa internazionale che desidera salvaguardare le proprie acquisizioni nel paese ospite. Gli stati membri dell’Unione Europea hanno già, singolarmente, 1.400 accordi internazionali di protezione degli investimenti. Quindi, occorre analizzare la questione anche dal punto di vista dei trattati già stipulati in precedenza dai due futuri partners del TTIP. Nel convegno patrocinato dall’ASCE, è emersa la necessità di identificare come saranno regolati i rapporti degli stati membri con i paesi terzi. Se tale aspetto non sarà disciplinato, diverrà reale il rischio di un conflitto giuridico a seguito dell’adozione del trattato. Dunque l’elezione degli standard di protezione, o full protection and security standards, si tramutano in un fattore cruciale per la sopravvivenza del TTIP. Generalmente, gli stati ospitanti vogliono attrarre investimenti e perciò hanno interesse a tutelare le imprese estere. In Europa viene fornita a volte dalle istituzioni comunitarie, in altre dai singoli stati, ma è assente l’infrastruttura di base per amalgamare le singole azioni. Le contrapposizioni sul cosiddetto right to regulate, sul diritto di imporre alle aziende delle normative, sono molto marcate tra Stati Uniti ed Unione Europea, ed anche controversa è la questione della tutela degli investimenti esteri per mezzo del cosiddetto Investor-to-State Dispute Settlement, ISDS, un arbitrato internazionale Stato-imprese che permette agli investitori esteri di citare a giudizio i paesi ospitanti presso corti arbitrali internazionali ed istituti giuridici non pubblici. La soluzione prospettata dall’ASCE, è nell’introduzione di un arbitrato internazionale, il quale consentirà alle imprese di intentare cause per “perdita di profitto” contro i governi dei paesi europei, qualora questi promuovessero legislazioni che potenzialmente possano mettere in discussione le loro aspettative di profitto.

I lavori della giornata di studio dell’ASCE, sono proseguiti con un’analisi di quella che è definita la Nuova Via della Seta. L’affermazione della Cina come potenza finanziaria, ha sovvertito le stime Occidentali, benchè le aspettative cinesi abbiano subìto una battuta di arresto nella diminuzione del PIL. Eric Delbecque e Christian Harbulot, hanno sottolineato il rischio del patriottismo economico, inteso come una ideologia protezionista ed isolazionista. Due aggettivi che sembrano riassumere le dinamiche economiche e la politica cinese. La prima è principalmente fondata su una produzione interna basata sullo sfruttamento della popolazione con salari minimi ed orari di lavoro massacranti. Se tale condizione dovesse subire un cambiamento, il patriottismo economico potrebbe ingenerare un effetto contrario alle aspettative dei decision makers cinesi. Pertanto, la Cina dovrà aprirsi maggiormente ai mercati esteri, o puntare sul mercato interno variando le regole che lo contraddistinguono: il sistema economico mondiale è “chiuso”, per cui ad un esportatore deve coesistere un importatore. La Cina, ha effettivamente iniziato il viatico di prediligere un maggior consumo interno piuttosto che esportare merci, ma questo non ha ancora sortito gli effetti sperati, in quanto ai minori introiti provenienti dall’estero, si aggiungono i mancati guadagni interni, perchè esiste ancora una importante percentuale di cinesi meno abbienti, e dunque non in grado di acquistare beni di prima necessità. Il modello economico cinese, una fusione tra capitalismo e socialismo, con un ruolo essenziale assegnato alla pianificazione, è stato il motore principale della crescita esponenziale acquisita negli ultimi trent’anni. In una società globalizzata, però, rischia di risultare obsoleto. La pianificazione garantisce una spinta decisionale, ma compromette la capacità di reagire in fretta a cambiamenti repentini. Esattamente gli stessi che caratterizzano il mondo contemporaneo. Il ritmo di crescita asiatico si è abbassato di tre punti percentuali, anche per una questione meramente fisiologica: il Pil cresce se ci sono tanti “spazi” da occupare, dove per spazi si intendono persone, settori e territorio. La Cina è sterminata, ma non infinita. Esiste comunque il pericolo reale che la posizione cinese provochi il coagularsi di due blocchi economici, uno occidentale ed uno asiatico. Quest’ultimo porterebbe ad una situazione potenzialmente conflittuale. Infatti, la Cina non corre alcun rischio di deflusso delle gestioni di portafoglio come conseguenza della riduzione degli acquisti di titoli da parte della Fed. Le smisurate garanzie pubbliche della Cina, pari a 3.800 miliardi di dollari in riserve di valuta estera, offrono un’ampia assicurazione in caso di contagio finanziario. Cina, Russia ed Iran, stanno tentando di rivedere lo status quo che regola le dinamiche economiche globali, e l’accettazione dello yuan dalla Russia come valuta per la fornitura di petrolio alla Cina, potrebbe rappresentare a lungo termine, un significativo progresso in tal senso. La Banca Centrale Russa e quella Popolare Cinese hanno convenuto sulla realizzazione di swap delle rispettive valute nazionali. Tale accordo potrebbe agevolare un regime valutario meno dollaro-centrico nei mercati energetici internazionali, e corrisponderebbe all’assunzione della Cina ad attore principale sullo scenario energetico globale. Il commercio estero cinese è già regolato in renminbi, e l’emissione di strumenti finanziari con questa valuta è già in ascesa, con la risultanza di una maggiore flessibilità dei tassi di cambio dello yuan. Tale trasformazione economica, potrebbe circoscrivere il predominio del dollaro, con la risultanza di incidere negativamente sulla posizione strategica degli Stati Uniti. Ciò costringerà a rivedere la posizione degli USA ed Unione Europea, le quali al momento, mantengono ancora la loro centralità. Ma il nuovo corso geopolitico dell’eoocentrismo asiatico, inteso come trilateralismo Cina, Russia ed Iran, ha comunque iniziato il suo viatico. Il Presidente della Repubblica Popolare cinese ha promosso un percorso di industrializzazione delle regioni interne, che sembra aver ottenuto un discreto successo. Il produrre merci e manufatti all’interno del subcontinente cinese, comporta però che per essere trasportate in Europa debbano essere inviate prima ad est per poi raggiungere i porti della costa ovest, con un aumento enorme dei tempi di percorrenza. Da qui origina la rivalutazione delle vie terrestri, anche perchè oltre ad essere più lungo, il collegamento marittimo tra la Cina e l’Europa implica l’attraversamento degli stretti di Malacca ed Aden, dove è endemica la pirateria. La soluzione identificata dai decision makers cinesi per ovviare a queste criticità, è nel creare una Nuova Via della Seta per raggiungere l’Europa. Un disegno da realizzare con l’appoggio dell’alleata Russia e di alcune delle ex repubbliche sovietiche. Il progetto della Nuova Via della Seta è quello di un corridoio ferroviario ed autostradale da Pechino a Berlino: un piano ambizioso, da realizzare in alcuni decenni. In realtà, è prevista anche una deviazione alternativa al percorso diretto verso la capitale della Germania, che dovrebbe interessare i Balcani, identificati dai cinesi come una propaggine logistica da dove fare entrare merci nell’Unione Europea. La realizzazione della Nuova Via della Seta ha nell’edificazione di infrastrutture il suo punto di maggior interesse per le Nazioni che attraverserà: ponti, autostrade, viadotti, porti e ferrovie saranno costruiti con degli investimenti diretti. È stato stanziato un capitale iniziale di dieci miliardi di dollari, per poi essere elevato a 25. Danaro che coprirà le spese per percorrere il sud-est dell’Europa, e saranno divisi fra le imprese pubbliche e private dei paesi interessati dall’attraversamento della Nuova Via della Seta, secondo il concetto definito win-win, in quanto entrambe le parti contraenti ne trarrebbero vantaggio. Alcuni manufatti sono già esistenti od in via di ultimazione, fra questi il ponte autostradale sul Danubio, lungo il cosiddetto Corridoio Paneuropeo n. 10, che idealmente collega Salisburgo con Salonicco, ed entro il 2017 i cinesi completeranno i lavori della ferrovia che collegherà Belgrado con Budapest, ed in un prossimo futuro, con la Grecia. Un progetto nodale per il trasporto delle merci verso l’Ucraina, la Polonia ed i paesi Baltici. Si tratterà di una linea ad “alta capacità”, e non ad “alta velocità”: quattro binari per treni merci, con un tracciato dritto senza pendenza in modo da poter movimentare vagoni estremamente lunghi, in grado di trasportare un numero maggiore di container rispetto alle carrozze normali. La velocità di fatto non verrà aumentata, perché l’obiettivo è la quantità di merci da trasportare e non la riduzione del tempo per consegnarle. La competitività cinese, è basata sulla liquidità, sui crediti e sulle concessioni, ed i margini di profitto per le aziende sono ridotte, sia per i bassi tassi d’interesse praticati, sia per il valore ingente delle opere. Le imprese cinesi lavorano al limite del dumping, utilizzando soprattutto manodopera interna; l’opera ha margini minimi di guadagno, ed a realizzare il profitto sarà la banca che finanzia l’opera, non il costruttore. Ma il segreto del successo è che il proprietario sia della società costruttrice sia della banca, è lo stato cinese. Nella strategia della Cina, la Grecia è il punto di partenza europeo della Nuova Via della Seta, un canale per trasportare merci dal lontano oriente, attraverso Suez, nel Mediterraneo e nell’Europa centrale. L’ambizione quindi è commerciale, prima che industriale. I progetti a cui sono interessati i fondi d’investimento e le società di costruzione cinesi, sono l’autostrada Bar-Belgrado, la croce autostradale Belgrado-Skopje-Grecia e Bucarest-Belgrado-Bar che dovrebbe raggiungere anche Bari, via traghetto. I cinesi sono particolarmente attratti dai porti balcanici sull’Adriatico: infatti hanno palesato un interesse tangibile per quelli di Capodistria e Fiume, tant’è che per quest’ultimo, è stato necessario l’intervento statunitense per arginare l’infiltrazione degli interessi cinesi, soprattutto per garantire gli attracchi della U.S. Navy. Tutti questi progetti avranno la peculiarità di essere consegnati “chiavi in mano”. L’espansione della Cina è ormai giunta ai confini dell’Italia, che sarà coinvolta senza la corretta percezione dei rischi dal Governo italiano, benchè Il fulcro della politica cinese in Europa resta, comunque, sempre la Germania. Politicamente permangono distanze che dovranno essere colmate. Pechino sta sviluppando la prospettiva di “unità nazionale cinese”, forte anche dell’esperienza della restituzione dell’antica colonia di Hong Kong, e Taiwan è considerata come parte integrante del proprio territorio nazionale. L’accordo di swap delle valute fra Cina, Russia ed Iran, potrebbe rappresentare un’altra frizione fra l’Occidente e la nuova via della seta. Di fatto il TTIP si tramuta in una alleanza strategica per impedire la realizzazione del progetto cinese, quindi i players globali hanno identificato come terreno di scontro l’Europa, che dovrà scegliere fra la “fabbrica mondiale cinese”, od il ritorno alla partnership con gli USA. E questa seconda alternativa rimane quella auspicata dall’ASCE.

Giovanni Caprara

 

Bibliografia:

Richard Falk, Geopolitical winds blow in China’s direction. A magazine of art and politics, 2013

Walter Russel Mead, The return of geopolitics. Foreign Affairs, 2014

Giuseppe Gagliano, Guerra economica ed intelligence. Fuoco Edizioni, 2013

Arduino Paniccia, Le dinamiche economiche fra la Russia e la Cina. Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis, 2014


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :