Nel mio e-book ad un certo punto parlo di sacrificio, di come questa parola sia stata il leit motiv della mia storia famigliare all'interno di dinamiche logoranti per il piacere.
Wikipedia (che Dio la benedica!) riporta:
Il sacrificio (dal latino sacrificium, sacer + facere, "rendere sacro") è quel gesto rituale con cui dei beni (oggetti, cibo, animali o anche esseri umani), vengono tolti dalla condizione profana e consegnati al sacro, venendo per questo dedicati in favore di una o più entità sovrumane, come atto propiziatorio o di adorazione. Il termine "sacrificio" ha tuttavia perso, nel lessico comune, quest'accezione religiosa per intendere in generale uno sforzo, la rinuncia a qualcosa in vista di un fine. (Wikipedia) La vittima sacrificale doveva essere secondo i Greci sempre d'accordo altrimenti non sarebbe avvenuto nessun sacrificio, c'era dunque una volontà consapevole nello scegliere. Mi viene da pensare all'analisi transazionale dove i ruoli genitore bambino vengono svolti spesso in maniera automatica senza coscienza in un gioco che produce continuamente vinti e vincitori, fintanto che non interviene l'adulto, colui che sa, che guarda avanti. L'antropologia e le scienze umane mi hanno sempre affascinato, ammiro Gimbutas e il suo lavoro, nei suoi scritti emerge una chiara intenzione di creare un fil rouge che collega nel tempo il paganesimo e il periodo matriarcale alle religioni monoteiste e patriarcali usando come anelli di congiunzione i confronti. Ciò che torna utile è rendersi conto di come il sacrificio da sempre sia stato un modo di trasformare la fine di qualcosa in un nuovo inizio attraverso la gestualità e la ripetizione di una volontà. Ma oggi tutto questo come può tornarci utile? Noi che ci siamo sacrificati nella vita senza che nessuno ci chiedesse se lo volevamo oppure no. Noi che abbiamo solo seguito i nostri predecessori senza stare a discutere. Noi che siamo rimasti intrappolati in fitte trame di nodi familiari. L'unica arma a nostra disposizione è il riappropriarci dell'etimologia vera e propria della parola sacrificio. Smetterla di proseguire l'opera di altri e scegliere consapevolmente se lasciarci sgozzare oppure dare inizio a un nuovo lavoro che i nostri figli sceglieranno a loro volta di fare o meno volontariamente. Insegnando a questi non a fare le nostre scelte o quelle che vogliamo facciano ma ad ascoltarsi nei loro desideri per prendere la decisione più giusta per loro non per adempiere all'ingrato compito di soddisfare aspettative di altri. Noi siamo l'anello di congiunzione tra quello che c'è stato e quello che ci sarà. Noi siamo il presente, la possibilità di far nascere l'uomo nuovo. Noi abbiamo una grande responsabilità: quella di essere adulti, di interiorizzare il sacrificio. Ci siamo lasciati sgozzare ora possiamo rinascere a nuova vita, coltivando una forza interiore e una fede incrollabile nel camminare accanto alla morte come un guerriero e guardare all'amore con occhi puliti e cuore aperto capaci di trasformare il piombo in oro. Noi siamo coloro i quali possono, rendendo uno sforzo di volontà sacro, generare atti di perfetta consapevolezza. Pamela C. De Logu