Dopo le Cover Band, dopo i remake al cinema e il nuovo Vintage nella moda e nel design, ecco la pagina della Cover Writer: pagine nuove citando parole dai libri del cuore. Ecco la mia versione di “Suite Francese” di Irène Némirovsky, Adelphi 2005.
Famiglia Pericard – Lui sovrintende al museo, lei madre e padrona di casa, 5 figli, fra cui un prete che muore lontano dalla famiglia – molto ricchi, dotati di servitù e parentele aristocratiche, i ricchissimi Visconti di Montmort. …”Siete straordinario” esclamò Charlotte “parlate di tutto questo con una calma!” - “Il fatto è che non posso crederci” spiegò con dolcezza alla moglie “parlo con voi, vi ascolto, decidiamo di abbandonare la nostra casa, di metterci in fuga sulle strade, ma non posso credere che questo sia REALE, capite?” … Ciascuno guardava la sua casa con una stretta al cuore e pensava: “Domani sarà distrutta, domani non avrò più niente. Non abbiamo fatto del male a nessuno, perché?” E contemporaneamente si sentiva sopraffatto da un’ondata di indifferenza: “Che importa? Sono solo pietre, legno, materia inerte! L’essenziale è salvare la pelle.”Chi pensava alla tragedia della patria? Non loro, non quelli che partono stasera. Il panico annullava tutto ciò che non era istinto, impulso animale, fremito della carne. Afferrare quanto si aveva di più prezioso al mondo e poi… E quella notte solo ciò che viveva, ciò che respirava, piangeva, amava, valeva qualcosa. … (i domestici) erano terrorizzati, volevano partire ma la forza dell’abitudine superava la paura e tenevano a che tutto si svolgesse secondo i riti che regolavano le partenze per la villeggiatura. Non avevano capito bene quello che stava succedendo. Era come se agissero in due tempi, metà nel presente e metà nel passato, quasi che gli eventi fossero penetrati solo in una piccola zona della loro coscienza, la più superficiale, lasciando addormentata e in pace tutta un’area profonda.
…I Pericard erano in giro da una settimana e il tragitto si dimostrava irto di ostacoli. I residenti chiedevano notizie agli sfollati, lì non si sapeva niente. Qualcuno dichiarò che ci si aspettava di veder arrivare i tedeschi sui monti del Morvan, parole accolte con un certo scetticismo. “Ma via! Nel ’14 non si sono spinti tanto lontano!” disse il corpulento farmacista scuotendo il capo, e tutti approvarono come se il sangue versato nel ’14 costituisse per sempre uno sbarramento mistico contro il nemico. … Le donne piangevano. Gli uomini chinavano il capo in silenzio. Non provavano una vera e propria disperazione; era piuttosto un rifiuto di comprendere, un attonito stupore del tipo di quello che si prova dopo un brutto sogno, quando piano piano si emerge dal sonno, si avverte che il giorno è vicino, tutto l’essere tende alla luce e si pensa: “È un incubo, adesso mi sveglio”. Stavano immobili, e ciascuno si voltava dall’altra parte per evitare lo sguardo dei compagni. … “Non è che siano cattivi – disse Adele – è che non conoscono la vita”.
…La carità cristiana, la mitezza di secoli di civiltà le cadevano di dosso come vani orpelli rivelando un’anima arida e nuda. Lei e i suoi figli erano soli in un mondo ostile. Doveva nutrire e proteggere i suoi piccoli. Il resto non contava più.
la Valigia di Irène Némirovsky
Gabriel Corte – scrittore -
… I domestici e la segretaria si muovevano invisibili dietro i vetri scintillanti, nascosti da qualche parte all’interno della casa, tra le quinte di una vita che lui voleva brillante, fastosa e disciplinata come un balletto. … Lui si sentiva stanco, ma di quella stanchezza buona che viene dopo un lavoro ben riuscito … “Quand’è che mi lasceranno in pace?” Odiava la guerra, che minacciava ben più della sua stessa vita o del suo benessere: distruggeva ogni istante l’universo della creazione romanzesca, l’unico in cui si sentisse felice, simile a uno squillo di tromba discordante e terribile che facesse crollare le fragili muraglie di cristallo erette con tanta fatica tra lui e il mondo esterno.
…Che ne sarebbe stato di lui, Gabriel Corte, scrittore? Dove stava andando il mondo? Quale sarebbe stato lo spirito dei nuovi tempi? Forse la gente avrebbe pensato solo a mangiare e non ci sarebbe più stato posto per l’arte oppure, come sempre dopo ogni crisi, un nuovo ideale avrebbe conquistato il pubblico. Un nuovo ideale? Cinico e annoiato pensò: una nuova moda! … Si affannava a seguirlo quel mondo nascituro. Ma come prevedere la forma che avrebbe preso uscendo, come da uno stampo di bronzo, dalla dura matrice della guerra, quell’universo in cui si coglievano i primi sussulti? Poteva uscirne gigante o deforme – o entrambe le cose. Era terribile tentare di penetrarlo e non capirci niente. Perché non ci capiva davvero niente. Pensò al suo romanzo, al manoscritto che aveva salvato dal fuoco e dalle bombe e che stava lì su di una sedia. E provò uno scoramento profondo. Le passioni che vi descriveva, i suoi stati d’animo e i suoi scrupoli, quella storia di una generazione, la sua… Tutto questo era vecchio, inutile e superato.
… Che sollievo ineffabile ritrovare quelle facce di amici famosi, di nemici così poco importanti per lui oggi … erano lì tutti insieme. Si dimostravano a vicenda che niente era cambiato, che tutto era rimasto uguale, che non ci si trovava davanti a un qualche cataclisma straordinario, alla fine del mondo come si era creduto, ma una serie di eventi puramente umani, limitati nel tempo e nello spazio, e che, tutto sommato, non dovevano ripercuotersi che su gente estranea.
1940 esodo: fuga da Parigi
Famiglia Michaud: i coniugi Maurice e Jeanne – impiegati di banca, ospitati per due settimane dalle Angellier – e il figlio Jean – Marie, soldato, prima disperso e poi ospitato presso la famiglia Labarie, in campagna. … Malgrado la stanchezza, la fame, la preoccupazione, Maurice Michaud non si sentiva troppo infelice. Aveva una struttura mentale particolare, non attribuiva molta importanza alla propria persona: non era, ai suoi occhi, quella creatura rara e insostituibile che ogni uomo vede quando pensa a se stesso. Per quei compagni di sventura provava pietà, ma una pietà lucida e fredda. Dopo tutto, pensava, questa grandi migrazioni umane sembrano governate da leggi naturali. … E trovava in questo uno strano conforto. Quella gente intorno a lui credeva che la sorte si accanisse in particolare su di loro, sulla loro disgraziata generazione, ma lui ricordava che gli esodi si erano verificati in ogni periodo.
“Ma perché a noi tocca sempre soffrire? Alla gente come noi, alla gente comune, ai piccoli borghesi? Quando arriva una guerra, o il franco è in ribasso o ci sono disoccupazione, crisi e rivoluzioni, gli altri se la cavano sempre. E siamo sempre noi a pagare, perché? Paghiamo per gli errori di tutti e di noi nessuno a paura! Gli operai si difendono, i ricchi sono forti, ma noi, noi siamo quelli da spremere …”Che cosa vuoi capire? Non c’è niente da capire” disse lui cercando di calmarla” Ci sono leggi che governano il mondo e non sono fatte ne pro, ne contro di noi. Quando scoppia un temporale non te la prendi con nessuno, sai che la folgore è prodotta da due scariche elettriche. Le nuvole non ti conoscono, non puoi muovere loro alcun rimprovero …”.
“Ma non è la stessa cosa, qui si tratta di fenomeni puramente umani.”
“Solo in apparenza, Jeanne. Sembrano dovuti a questo o quell’uomo, a questa o quella circostanza, ma è come nella natura: a un periodo di calma segue la tempesta che ha il suo principio, il suo punto culminante, la sua fine e che è spezzata via da altri periodi di tranquillità più o meno lunghi. Disgraziatamente, siamo nati in un secolo di tempeste, ecco tutto. Ma si placheranno.”
… Se a Jean – Marie avessero detto che un giorno si sarebbe trovato in un villaggio sperduto, lontano dal suo reggimento, … e soprattutto che, dopo la sconfitta della Francia, lui avrebbe continuato a vivere e avrebbe perfino conosciuto momenti felici, beh’, non ci avrebbe creduto. Eppure era così, l’entità stessa del disastro, quel che vi era di irreparabile, conteneva un rimedio, come certi veleni violenti forniscono il loro antidoto, poiché le disgrazie che lo affliggevano erano tutte irrimediabili. … Un’esistenza basata su angosce mortali è sopportabile solo a condizione di vivere alla giornata e dirsi, quando scende la sera: “Altre 24 ore in cui non è successo niente di particolarmente brutto, grazie a Dio! Tutti coloro (i contadini) che stavano intorno a Jean – Marie … Si occupavano delle bestie, del fieno, del burro e non parlavano dell’indomani. Guardavano gli anni futuri, piantavano alberi che avrebbero dato i loro frutti a distanza di cinque o sei stagioni; ingrassavano il maiale che avrebbero mangiato di lì a due anni, ma non si soffermavano sull’immediato futuro. Facevano tutti i giorni quello che andava fatto. Non erano simpatici, ma degni di stima.
Benoit e Madeleine Labarie – contadini – Madeleine, con Benoit al fronte, si innamora di Jean – Marie Michaud, con tutto il suo fascino cittadino, ospitato presso la fattoria di famiglia. Parte Jean – Marie, rientra Benoit, grezzo e rivoluzionario, ma sono costretti ad ospitare un colto ed elegante ufficiale tedesco, Kurt Bonnet… Era strano: non odiava i tedeschi; non odiava nessuno, ma la vista dell’uniforme sembrava renderla, lei fino a ieri libera e fiera, una sorta di schiava, una creatura astuta, prudente e timorosa, capace di fare moine al conquistatore salvo borbottare a porta chiusa: “Vi odio tutti!”
…”L’uomo è fatto per essere guerriero, come la donna è fatta per il piacere del suo guerriero” rispose Kurt Bonnet. “Suo marito, se è giovane, deve pensarla così anche lui”. Madeleine non rispose. In fondo, benché fossero cresciuti insieme, conosceva ben poco i pensieri di Benoit, che era taciturno e come chiuso in una triplice corazza di pudore – maschile, contadino e francese. Non sapeva cosa lui odiasse o amasse, ma solo che era capace di odio e di amore.
Irène Némirovsky il marito Michel Epstein e le figlie
Le Angellier: madre e moglie (Lucile) di Gaston Angellier, prigioniero in Germania. Ospitano il bell’ufficiale tedesco Bruno.
“Mio Dio, quanti francesi avrà ucciso? Quante lacrime saranno state versate a causa sua? È anche vero che, se la guerra fossa andata in un altro modo oggi forse sarebbe Gaston a entrare da padrone in una casa tedesca. È la guerra, non è la colpa di questo ragazzo.”.
… “Durerà ancora molto questa guerra?” domandò.
“Non lo so” disse l’ufficiale sorridendo e stringendosi leggermente nelle spalle.
“Ma lei cosa ne pensa?” chiese a sua volta Lucile.
“Signora, io sono un soldato. E i soldati non pensano. Mi dicono di andare in un posto e ci vado. Di combattere e combatto. Di farmi uccidere, e muoio. L’esercizio del pensiero renderebbe la battaglia più difficile, e la morte più terribile.”
“Ma … l’entusiasmo?”
“Mi perdoni, signora, questa è una parola da donna. Un uomo fa il suo dovere anche senza entusiasmo. E proprio da questo si riconosce l’uomo, il vero uomo.”
“Forse”
… “Mia madre mi diceva di non sposare Edith, ma ero innamorato. Ach, Liebe … Ma arrivano la separazione, la guerra, le prove difficili, e uno si trova legato ad una ragazzina che ha sempre 18 anni, mentre lui ne ha… volte12 avolte 100…
“Lei esagera!”
“No, sotto certi aspetti il soldato resta bambino, e sotto altri è così vecchio … Non ha età. È contemporaneo delle cose più antiche che sono accadute sulla terra, dell’uccisione di Abele da parte di Caino …”
…”Ahimè, signora, è proprio questo – individuo o collettività – il problema del nostro tempo, perché la guerra, vede è opera collettiva per eccellenza…”.
E Lucile pensava: “Individuo o collettività? Mio Dio, questa non è una cosa nuova, non hanno inventato niente. …I nostri due milioni di morti, nell’altra guerra …E 25 anni dopo, che inganno …Povero mondo, così bello e così assurdo … Ma quel che è certo è che fra cinque, dieci o vent’anni questo problema, che secondo lui è il problema del nostro tempo, non esisterà più, sarà sostituito da altri. Mentre questa musica, questo rumore della pioggia sui vetri, questo lugubre scricchiolio del cedro nel giardino di fronte, questo momento così dolce, così strano in mezzo alla guerra, non muterà. È eterno…”
… La guerra sì, sappiamo cos’è. Ma l’occupazione, in un certo senso è più terribile ancora, perché ti abitua alle persone; si dice: “Dopo tutto sono come noi”. Invece nossignore, non è vero. Siamo due specie diverse, inconciliabili, eternamente nemiche.
Irène Némirovsky
… “Che vadano dove vogliono, quanto a me, farò quel che vorrò. Voglio essere libera … libera dentro, scegliere la mia strada, seguirla senza dover seguire lo sciame. Odio questo spirito comunitario di cui ci riempiono le orecchie. Di una cosa sola tedeschi francesi gollisti la pensano tutti allo stesso modo: bisogna vivere, pensare, amare con gli altri, in funzione di uno Stato, Un Paese, Un partito. Oh Dio, non voglio, sono una povera donna inutile; non so niente. Schiavi lo diventiamo, la guerra ci manda di qua, di à, ci priva del benessere, ci toglie il pane di bocca; … Uno schiavo? Meglio di un cane che si crede libero quando trotta davanti al padrone. …
Era tardi, ma nessuno pensava a dormire. Tutti volevano vedere la partenza dei tedeschi. (richiamati per il fronte russo ndr.) In quelle ultime ore una sorta di malinconia, di affetto legava gli uni agli altri, vincitori e vinti; tutti stavano per andare incontro al fuoco, alle pallottole alla morte. …Per quanto rapidamente e felicemente potesse concludersi la guerra, quanti poveri infelici non avrebbero mai visto quella fine benedetta, quel giorno di risurrezione?… Era una notte splendida, pura, illuminata dalla luna, senza un alito di vento. Un profumo delizioso aleggiava nell’aria. Come tutto era bello, come tutto era tranquillo…
Irène e le figlie
Il libro finisce più o meno così, con i tedeschi che si accingono a partire verso il nuovo fronte russo. È il 1° luglio del 1941. Tutto era iniziato circa un anno prima, con i tedeschi alle porte di Parigi e il grande esodo verso le campagne e le montagne ritenute sicure.
Fra gli infelici che non videro la fine della guerra c’è stata proprio Irène Némirovsky.
Una scrittrice che sembrava contemporaneamente l’erede di Honoré de Balzac con la sua Commedia Umana, di Lev Tolstoj di Guerra e Pace e Anna Karenina, i cui personaggi femminili sembravano le discendenti di Emma Bovary. Una donna che ha avuto una vita da romanzo, e che mai, in nessun momento e per nessun motivo ha smesso di scrivere. Il romanzo è però tronco: Suite Francese si compone di “Temporale di giugno” che si svolge durante l’esodo dei parigini a metà di giugno del 1940 e di “Dolce” che ci racconta il rapporto fra francesi e tedeschi fino alla loro partenza del primo luglio 1941. Si tratta di 345 pagine di un’opera che, negli appunti dell’autrice, doveva diventare di un migliaio di pagine e comprendere altre 3 sezioni per accompagnare i personaggi fino alla fine della guerra, che al momento non sapeva quando sarebbe avvenuta. La Sezione successiva, “Captivitè” che significa prigionia era già impostata negli appunti, poi pensava ad un capitolo “Batailles” (battaglie) e “Paix” (pace).
Il manoscritto di Suite Francese
Nel suo quaderno scriveva a destra il romanzo e a sinistra il suo diario e gli appunti per le parti future del libro.
Dal diario di Irène: 28 giugno 1942 – … Giuro di non riversare mai più il mio rancore, per quanto giustificato, su una comunità di uomini, quali che siano la razza, la religione, le convinzioni, i pregiudizi, gli errori. Ma non posso perdonare gli individui, quelli che mi respingono, quelli che freddamente ci voltano le spalle, quelli che aspettano solo di giocarci un tiro mancino.
11 luglio 1942 - I pini intorno a me. Sono seduta sul mio maglione blu come su una zattera in mezzo a un oceano di foglie putride inzuppate dal temporale della notte scorsa… La cosa più importante qui (per Captivité) e la più interessante è la seguente: i fatti storici, rivoluzionari, ecc. devono essere solo sfiorati, mentre quella che viene approfondita è la vita quotidiana, affettiva, e soprattutto la commedia che è lo specchio della realtà di tutti i giorni.
Irène Némirovsky, nata l’11 febbraio 1903 Kiev da un ricco banchiere ebreo, era già sfuggita alla rivoluzione bolscevica e si era rifugiata in Francia, dove si era sposata con Michel Epstein, anche lui profugo ebreo russo. Avevano avuto due figlie, che avevano battezzato e avevano fatto crescere sotto i precetti cattolici. Non avevano mai frequentato la comunità ebraica parigina ed erano molto ben voluti nell’ambiente letterario, tant’è che l’editore di Irène, quando vengono varate le leggi razziali e viene fatto divieto di pubblicare testi scritti da ebrei o comunque retribuire ebrei, trova un escamotage per mantenerla con un vitalizio purché continui a scrivere.
Campo di concentramento di Pithiviers
Il 13 luglio 1942 viene prelevata da casa e portata al campo di concentramento di Pithiviers in Francia. Senza che mai abbia potuto salutare i suoi, senza che nessuno abbia saputo dove si trovava, è stata trasferita il 17 luglio ad Auschwitz, dove il 17 agosto è già eliminata. Il 12 ottobre, quando ancora la cerca ovunque scrivendo lettere invano, senza sapere che la moglie era già morta da mesi, viene arrestato anche il marito. Verrà deportato ad Auschwitz il 6 novembre. E subito finirà anche lui in camera gas.
L’editore si occuperà materialmente della tutrice e delle figlie di Irène, comunque ricercate perché nate da ebrei stranieri. Con loro per tanti anni viaggia una valigia piena di carte della mamma. Dentro ci sono tutti gli appunti di suite Francese, i diari, le considerazioni, la corrispondenza. Decifrare questo mondo non è stato facile. Il libro è uscito solo nel2004 in Francia.
Aprile 1942 “Bisogna fare qualche cosa di grande, e smettere di domandarsi a che pro”.
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