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La pagina di un libro/39 - Liquidazione

Creato il 30 aprile 2012 da Mapo
Keserú, come negli ultimi tempi faceva spesso, stava in piedi davanti alla finestra, e guardava in strada. Questa strada offriva la vista più quotidiana e usuale di quelle offerte dalle quotidiane e usuali vie budapestine. Sul marciapiede tappezzato dichiazzedi immondizia, olio di macchina e merda di cani, stavano delle automobili, e nei corridoi di un metro appena tra queste automobili e le mura deipalazziin preda a un disfacimento simile alla lebbra, si affrettavano, ognuno preso dai suoi impegni, i passanti più quotidiani e usuali, con un'espressione del volto tanto ostile da far immaginare cupi pensieri. Qualcuno di essi, forse per la fretta, nel tentativo di aggirare la fila indiana che lo precedeva, scendeva dal marciapiede, e subito il coro di clacson proveniente dalle macchine cariche d'odio gli negava quella immotivata speranza di potersi divincolare dalla fila. Sulle panchine dellapiazzadi fronte, beninteso, su quelle che ancora non erano state private delle assi che le componevano, stavano seduti i clochard della zona, con i loro fagotti, le loro buste e bottiglie di plastica. Sopra una barba arruffata spiccava un berretto di lana rosso cremisi, con un pompon che sballonzolava allegramente accanto alla peluria imponente. Un uomo con in testa un cappello sgangherato da ufficiale di un esercito inesistente stava cingendo un pesante cappotto, ormai senza bottoni e completamente scolorito, con una cintura di seta appariscente, a fiori dai colori vivaci, che forse era stata un tempo parte di una vestaglia da donna. Scarpine argentate di vernice, dai tacchi mezzi rotti,calzateda nodosi piedi femminili, che sbucavano da un paio di jeans; e più in là, sulla striscia sottile e spelacchiata di prato, con le ginocchia sollevate al petto, in preda a un'immobilità catatonica, giaceva, come un mucchio di stracci, una figura indistinguibile, stesa dall'alcol o dagli stupefacenti, o forse da tutte e due le cose insieme.
Nel guardare quei barboni, Keserú si accorse all'improvviso di star di nuovo guardando i barboni. Era indubbio che negli ultimi tempi Keserú sprecava troppo tempo a osservare i barboni. Era capace di perdere anche delle mezz'ore - di quel suo tempo che alla finfine non aveva nessun valore - lì alla finestra, con l'atteggiamento incantato del guardone che non è più in grado di distogliere lo sguardo dalla vista delle oscenità che gli si presentano. Per giunta questo atteggiamento voyeuristico era accompagnato, in Keserú, da un senso di colpa e insieme da una certa attrazione carica di disgusto, che sfociava poi in una sorta di angoscia nauseata, in una sensazione di terrore esistenziale. Nel momento in cui questa angoscia assumeva in lui la sua forma inconfondibile, Keserú, quasi raggiungesse lo scopo ancora più misterioso della sua misteriosa attività, si allontanava quasi soddisfatto dalla finestra, e si dirigeva verso il tavolo, sul quale giacevano dattiloscritti di ogni genere, che erano stati sfogliati e ora si mostravano aperti, come uccelli caduti.
Imre KertészLiquidazionePag. 12

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