Magazine Diario personale
"Le sigarette sono l'ultima cosa a cui voglio pensare. Non mi considero un fumatore, non mi identifico con i quarantasei milioni di americani che hanno questo vizio. Detesto l'odore del fumo e la violazione della privacy nasale che esso rappresenta. I bar e i ristoranti alla moda - con una clientela che si ritiene esclusiva anche a causa delle nubi tossiche dietro cui si nasconde - cominciano a disgustarmi. Sono stato asfissiato dentro camere di albergo dove la notte prima aveva dormito un fumatore, e nei gabinetti pubblici dove gli uomini usano le Winston, con la loro nauseante puzza di sudore, come lassativo. ("Il mio alito fa schifo/ per le Winston faccio il tifo" era la parodia grammaticalmente impeccabile della pubblicità delle Winston che recitavo da piccolo). Certi giorni a New York sembra che i due terzi delle persone che camminano sul marciapiede, in mezzo ai gas di scarico, abbiano in mano una sigaretta accesa; io compio continue manovre per mantenermi sopravvento. Nel mio appartamento, per bloccare le emissioni dei vicini al piano inferiore, ho sigillato con il silicone gli interstizi tra le tavole del pavimento e il battiscopa. La prima volta che entrai in un casinò, in Nevada, ebbi una visione infernale: file e file di donne di mezza età con la faccia lunghissima che fumavano Kent lunghissime e inserivano compulsivamente dollari d'argento nelle slot machine. Quando sento dire che le sigarette sono sexy, penso al Nevada. Quando vedo un'attrice o un attore aspirare profondamente boccate di fumo in un film, immagino i pireni e i fenoli che devastano le delicate cellule epiteliali e le solerti ciglia dei loro bronchi, il monossido e il cianuro che si legano alla loro emoglobina, i battiti affaticati del loro cuore in preda al panico chimico. Le sigarette sono il distillato di una paranoia più generale che assedia la nostra cultura, la terribile consapevolezza della fragilità dei nostri corpi in un mondo di pericoli molecolari. Mi fanno una paura del diavolo."
Jonathan FranzenCome stare soliPag. 142
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