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La parata retorica di Roberto Chauvin

Creato il 18 febbraio 2011 da Zfrantziscu
Nicolas Chauvin gli avrebbe fatto un baffo al comico Roberto Benigni che ha ieri ha rovesciato su milioni di spettatori un condensato di nazionalismo fanatico, di puro sciovinismo, appunto. L'uomo è bravo a mescolare divertente satira contro Berlusconi, Bersani e Bossi con una schidionata di luoghi comuni, per lo più falsi, tesa a titillare i peggiori impulsi del neo giacobinismo italiano. Quello, per intendersi, che sta preparando le celebrazioni del 150° dell'unità d'Italia con una retorica nauseabonda, indegna delle grande cultura italiana.I più anziani di noi ricorderanno, durante la guerra d'Algeria, i giovani intellettuali arabi e berberi denunciare come nelle scuole francesi si insegnasse ai bambini algerini: “I nostri antenati erano alti e biondi e si chiamavano Galli”. Nos ancêtres les Gaulois è da allora, in tutte le colonie ex francesi, simbolo del nazionalismo becero ed aggressivo, responsabile della repressione dei “dialetti” locali, della diffamazione delle culture precedenti la grandeur francese e della negazione della dignità degli stati vinti dalle armate coloniali. Per anni a Parigi rimase esposta in un museo la testa recisa di un leader della resistenza kanaka in Nuova Caledonia.Per Benigni i dialetti sono buoni per cantare belle canzoni, non certo per scrivere La critica della ragion pura, che a me pare scritto in tedesco (Kritik der reinen Vernunft), ma certo sbaglio. Gli stati preunitari erano la sentina di ogni nefandezza commessa contro le popolazioni (e pazienza se il guru del neo sciovinismo dimentica i massacri garibaldini commessi a Gaeta e a Bronte). Nel suo delirio, anche Scipione l'Africano diventa italiano e meno male che sconfisse Annibale, altrimenti oggi saremmo tutti fenici (sic!). Vorrei tanto che avesse ragione Borghezio, uno dei più grossolani frequentatori della politica, quando accusa Benigni di essersi prostituito per denaro. Il dramma è che queste cose le pensa seriamente.In una discussione in Facebook su lingue e dialetti, l'amico Maurizio Virdis ha scritto questa pregevole analisi: Anche le nazioni son costruzioni politiche e abbisognano di un armamentario intellettuale per formarsi. Sono il frutto di un processo dinamico, non sono delle essenze (magari antropologiche) atemporali e astratte. Nel medioevo nessuno parlava di nazione né esistevano sentimenti nazionali. La nazione è "una invenzione" della assai complessa storia europea della modernità. Si può cominciare a parlare di nazione nel Cinque-Seicento, ma è soprattutto a fine Settecento che il concetto si impone, per una particolare dinamica dialettica della storia. E allora si cercano cementi unificatori che giustifichino ex-post l'esistenza, anzi la "essenza" 'a-priori' della nazione: gli eroi nazionali, la storia comune, un comune destino che ci attende in un unico orizzonte d'attesa, le memorie condivise, un corpus di miti, una letteratura (altra "invenzione" ottocentesca) e appunto una lingua. Tutto ciò però impone anche l'omologazione culturale all'interno dei "confini nazionali", la marginalizzazione delle minoranze interne, la ridicolizzazione dei dialetti, la riduzione a folclore di tutto ciò che sfugge all'omologazione, e che è pertanto pericoloso e da tener a bada.Maurizio Virdis non aveva certo in mente lo show di Benigni, ma quel che scrive gli si attaglia perfettamente. 

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