Solo controllando si può non vergognarsi di far parte della categoria dei medici, se le cose raccontate in quest’articolo sul Giornale di oggi sono vere:
Siamo allenatissimi a qualunque genere di truffa, abbiamo tantissimi connazionali creativi che ogni giorno ci infliggono le loro prove sublimi, ma c’è una brutta razza di individui cui nessuno mai riuscirà ad abituarsi: i criminali della sala operatoria. I carabinieri dei Nas sono certi di averne smascherato un altro, all’ospedale di Ragusa: è il primario di chirurgia toracica Ignazio Civello, 62 anni, principe del bisturi, almeno nel suo circondario. Rabbia feroce e indicibile disgusto nel riferire le accuse che lo inchiodano. Non siamo nel campo – fertilissimo, come no – della malasanità classica all’italiana, con sviste, errori, liti e sganassoni comunque in buonafede. Siamo molto al di là: direttamente nel cinico e nel crudele. L’inchiesta parla di interventi inventati o gonfiati a puro scopo di lucro. La tecnica è un capolavoro di barbarie: il luminare terrorizza i pazienti parlando di forme tumorali molto gravi, tali da rendere necessario il prelievo dell’organo. Via un’ovaia a una ragazza molto giovane, via l’unico rene funzionante a una donna, quindi ridotta alla dialisi. Via lo stomaco a due malati, senza motivo. C’è pure il caso di un doppio intervento nel giro di poco tempo, il secondo spacciato per necessario, in realtà necessario soltanto alla rimozione di una garza dimenticata sotto. Inutile aggiungere che anche in questa corsia degli orrori aleggia il solito ricatto psicologico, purtroppo molto in voga in tanti altri ospedali italiani: signora, se si mette in lista l’intervento va molto in là, se lo fa a pagamento possiamo operare subito. Ci lasciano liberi di scegliere, i gentiluomini: come se davvero noi fossimo in grado di reggere l’alternativa, come se davvero una strada valesse l’altra, come se davvero il nostro stato di prostrazione e di soggezione ci permettesse di ponzare saggiamente il comodo dilemma…
Dopo l’inevitabile scelta, il business monta. Anche questo primario e i suoi sodali – altri sette i denunciati, lui ai domiciliari – non si accontentano del semplice intervento: taglio per taglio, massimizzare il fatturato. E avanti con il crimine più odioso: asportare organi, cioè pezzi di creature umane, cioè vita, senza alcuna necessità medica. Così, per aumentare l’incasso. Perché è evidente a tutti come un’asportazione renda enormemente più del semplice intervento riparatore. Se questa è tutta verità, il tenore burocratico delle accuse – concussione, falso ideologico, abuso d’ufficio – non rende minimamente l’idea della colpa. Siamo di fronte a mostruosità indicibili, degne delle ben note pratiche di Hitler nei suoi campi di sterminio. Il primario di Ragusa riesce a superare di slancio le già ributtanti efferatezze che sono costate 15 anni e 6 mesi in primo grado al popolare Pier Paolo Brega Massone, collega emerito, arrestato a Milano per interventi inventati o gonfiati nella clinica Santa Rita. Evidentemente il filone non si esaurisce mai. Che gli uomini, per denaro, facciano qualunque cosa non è scoperta recente. Ma che certi medici squartino spudoratamente il prossimo è la più imperdonabile di tutte le bassezze. Rovinano le persone. Soprattutto, sfruttano meschinamente lo stato di inferiorità psicologica, diciamo pure di totale dipendenza, che nei momenti della malattia tutti quanti avvertiamo. Ci rivolgiamo ai luminari in camice bianco inermi e smarriti come bambini, pendiamo dalle loro labbra e dal loro sapere, non badiamo a spese per beneficiare delle loro cure, ma loro che fanno? Molti di loro, troppi di loro, in piccola o in grande scala, ci guardano come si guarda alla slot-machine I più voraci, quelli con la cotenna a prova di sentimento, spingono fino in fondo, senza pudori, senza limiti, senza avvertire il minimo disagio. Cosa sarà mai, un’ovaia in meno, per una ragazza con tutta la vita davanti, con tante speranze di farsi una famiglia, avere dei figli, coltivare sogni e inseguire felicità. Cosa sarà mai, un rene in meno, per una donna che ne ha uno solo, che a questo rene affida tutte le speranze di una vita accettabile e decorosa, fuori dalla dittatura spietata della dialisi. Cosa sarà mai uno stomaco in meno, cosa saranno mai tutti questi piagnistei. Gli affari sono affari. Se ci inventiamo un tumore, se lo portiamo via con tutto l’organo interessato, alla fine questa umanità disperata ci sarà pure riconoscente per il resto dei suoi giorni…
Chiuderli in cella, buttare la chiave. E non c’è altro da aggiungere.