Più gas
Prima dell’incidente alla centrale giapponese la scommessa di Bruxelles erano non tanto le energie rinnovabili, molto di moda oggigiorno, quanto appunto l’energia nucleare. In Germania il Centro Destra aveva addirittura inserito nella propria politica verde la costruzione di nuovi reattori. Dopo una lunga pausa, durata praticamente tutti gli anni novanta, dal 2000 in poi assistiamo alla costruzione di nuovi reattori in Finlandia e in Francia. Nello stesso tempo si sono dette pronte a procedere con le nuove centrali nucleari l’Italia e diversi paesi dell’Est Europa, in primis la Polonia. Il rinascimento dell’energia nucleare è dovuto soprattutto all’impellente necessità di rendere più competitive le economie europee. In effetti, l’utilizzo delle centrali nucleari consente di ridurre in maniera significativa (stima dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) i costi dell’energia elettrica. È emblematico il fatto che alla fine del 2010 il governo cinese abbia approvato il piano di costruzione di altri 32 reattori, con 25, in una maniera o nell’altra, già pronti all’uso. Mentre in Russia dopo il disastro in Giappone sono stati avviati i progetti della centrale nucleare a Nižnij Novgorod e della centrale nucleare II a Kursk, continuando i lavori ai reattori in altre cinque centrali nucleari.
Eppure nell’Europa del dopo Fukushima il numero dei partigiani dell’energia nucleare è sceso drasticamente. Il Governo della Germania ha deciso di chiudere, in maniera graduale fino al 2020, tutti quanti i reattori oggi funzionanti. Nel referendum italiano la gente ha detto di voler rinunciare all’utilizzo dell’energia nucleare, mentre la Spagna e la Svizzera introducono la moratoria alla costruzione di nuovi reattori. Persino in Francia nel periodo elettorale si è parlato tanto dell’eventuale chiusura dei reattori obsoleti e meno affidabili. In questa situazione la quota dell’energia elettrica generata dalle centrali nucleari in Europa andrà immancabilmente a ridursi. Le centrali, infatti, si chiudono ogni tanto “per anzianitàdi lavoro”: dal 1989 sono stati chiusi oltre 30 reattori, ed è in programma la chiusura di un terzo dei 144 reattori oggi attivi nel periodo fino al 2025. Ma non solo. L’opinione pubblica europea è decisamente contro lo sviluppo dell’energia nucleare “sotto casa”. Perciò anche quei paesi che fino a oggi non hanno rinunciato al nucleare, come la Polonia, difficilmente vorranno avviare la realizzazione di questi progetti nei prossimi mesi.
A fronte dei tagli dei finanziamenti UE, diminuisce il numero di nuovi progetti nel settore delle energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico). E non è possibile utilizzare più carbone, anche se per ora più economico, per gli impegni relativi alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica secondo il Protocollo di Kyoto. È questo il problema che vede adesso coinvolta la Polonia con il 94% del settore energia che consiste solo di carbone. Nello stesso tempo non è chiaro che sviluppi possa avere l’estrazione del gas di scisto in Europa. Il fatto è che lo sfruttamento dei giacimenti del gas di scisto è economicamente opportuno solo se la quantità è grande e la qualità è soddisfacente. Non solo. Esistono gravi rischi ambientali, compreso quello di terremoti, pericolosissimi per la densità di popolazione in Europa. È stato questo il motivo per cui la Francia, che vanta i più ampi giacimenti di gas di scisto in Europa, ne ha proibito l’esplorazione sul proprio territorio. Per gli stessi motivi, considerati i fattori economici e ambientali, la ExxonMobil ha rinunciato ai programmi di estrazione del gas di scisto in Polonia. In questa situazione in futuro la quota del gas di scisto nel bilancio energetico europeo (18,8% all’inizio degli anni 2010) è destinata a crescere.
Tenuto conto dei limiti alle possibilità di aumentare l’estrazione nei giacimenti del Mare Nord, l’aumento dei consumi sarà coperto innanzitutto con le importazioni. Per questo motivo nonostante la crisi e il calo della domanda Mosca sta promuovendo la costruzione di nuovi gasdotti in direzione Europa: oltre al Nord Stream (da 55 miliardi di metri cubi l’anno) adesso c’è il South Stream (da 63 miliardi di metri cubi l’anno). Da parte sua Bruxelles guarda con molta diffidenza all’aumento della propria dipendenza energetica dalle forniture russe, e soprattutto quella del gas. Mosca, infatti, fornisce all’UE oltre il 30% del petrolio, del carbone e del gas. Se i prezzi del petrolio e del carbone vengono determinati quasi sempre dalle quotazioni in borsa, quelli del gas invece per molti versi sono soggetti agli accordi che si differenziano da regione a regione. Bruxelles digerisce male non tanto la quota russa nelle forniture degli idrocarburi, quanto il prezzo dei contratti del gas a lunga scadenza determinati da Gazprom o dalla norvegese Statoil. In effetti, in Europa il prezzo medio del gas indicizzato al petrolio è 12 dollari a 1 milione di unità termali britanniche, mentre negli Stati Uniti è di soli 2,5 dollari.
Nabucco totale
C’è da notare che quello delle forniture di gas è un sistema piuttosto chiuso in cui il 90% del gas viene fornito attraverso i gasdotti. Una parte pari al 10% si riferisce al Gas Naturale Liquefatto di cui solo un quarto viene messo in libera circolazione. Per contrastare il diktat imposto da Mosca in materia di prezzi, l’UE pensava di far valere la costruzione del gasdotto Nabucco (da 30 miliardi di metri cubi di gas). Sostanzialmente si voleva costruire un impianto che potesse fare da sostegno alle forniture del gas in Europa. Da una parte ciò poteva garantire la sicurezza energetica qualora dovessero momentaneamente cessare le forniture di altra provenienza (come è successo nell’inverno 2008-2009). Dall’altra favoriva la competitività fra i fornitori andando nella direzione di riduzione del prezzo. Oltre a ciò si pensava di acquistare il gas direttamente alla fonte da diversi produttori a prezzi che fossero diversi da quelli che il fornitore poteva ottenere sul ricco mercato europeo.
Fino ad oggi il progetto non ha avuto alcun seguito per la mancanza dell’occorrente materia prima. Ed è assai emblematico che nell’ipotesi in cui si dovesse chiudere definitivamente il Nabucco è già pronto il progetto alternativo Trans Adriatic Gas Pipeline. Questo gasdotto potrà trasportare solo 10 miliardi di m3 di gas azero all’anno. In altri termini il TAP è pensato esclusivamente per il giacimento azero Shah Deniz II che doveva servire pure il Nabucco. Secondo il parere degli europei l’insuccesso di Nabucco per tanti versi pare sia dovuto all’opposizione della Russia e dell’Iran. Gazprom ha fatto ogni sforzo possibile affinché né Turkmenistan né Kazakhstan entrassero nel progetto. Senza il consenso di Teheran non è stato possibile coinvolgere non solo l’Iran stesso, ma nemmeno l’Iraq che pure avrebbe potuto fornire 10 miliardi di metri cubi di gas. In questa nuova situazione è nata l’inchiesta antitrust dell’UE contro Gazprom. Bruxelles vorrebbe far pressione su Gazprom di modo che questa scendesse con i prezzi per gli enti chiave europei nel settore energia. Mosca però non è daccordo, perché considera ciò come concessione unilaterale. Nessun affare che il governo russo ritenesse prioritario e prevedesse la partecipazione dei “partner europei” è mai stato realizzato – basta ricordare il tentativo fallito del progetto Glonass o il mancato acquisto del gruppo Opel.
Contemporaneamente i politici di alto livello che Mosca utilizzava come puntelli nei propri rapporti con l’Europa (Schröder, Chirac, Aznar, Berlusconi) in un modo o nell’altro oggi si trovano tutti fuori campo. E non dimentichiamoci le conseguenze gravissime per le casse dello Stato. Solo la multa che sarà applicata se dovesse verificarsi l’inosservanza della norma antitrust potrà raggiungere il 10% di quanto fattura Gazprom in un anno. Segnaliamo a riguardo il fatto che il Presidente Putin per la prima volta non ha parlato del partenariato con l’Europa nel proprio messaggio annuale ai parlamentari di ambo le camere. È anche vero che l’attacco dell’UE non sarebbe stato possibile se il momento non fosse propizio per una serie di fattori. Innanzitutto aumentano le forniture del GNL, dal Qatar. In effetti, dopo che si era chiuso il mercato USA, Doha si è trovata con un prodotto disponibile da sistemare che è stato lanciato sui mercati tradizionali di Gazprom. Contemporaneamente si sono riprese le forniture, interrotte dalla guerra civile libica, attraverso il Green Stream. Poi nella situazione europea di crisi che si protrae è scesa momentaneamente la domanda. E infine i cambiamenti in atto in Medio Oriente hanno dato vita a un’occasione, in una forma o nell’altra, adatta all’avvio del progetto Nabucco. Il gasdotto occorre non tanto per contrastare la dipendenza dalle forniture russe quanto per cambiare la formula del prezzo per le società clienti europee.
Primavera di gas per l’Europa
La “primavera araba” ha creato all’UE nuove possibilità per la realizzazione delle proprie strategie del gas. Nel futuro potranno diventare maggiori fornitori del gasdotto europeo i paesi arabi, col Qatar alla guida. Oggi è al terzo posto per i giacimenti di gas esplorati. È suo uno dei giacimenti più importanti di gas nel mondo (North Dome, che per l’Iran è South Pars). Ebbene, se prima si poteva portare il gas dal Qatar solo via mare, ora con i cambiamenti in atto in Medio Oriente l’idea della costruzione del gasdotto dal Golfo al Mediterraneo sembra molto meno bizzarro. In questo caso occorre il consenso solo di tre stati – Arabia Saudita, Giordania e Siria. Gli europei non avranno difficoltà a convincere i sauditi ad accettare la costruzione del condotto attraverso il proprio territorio, anche con quanto avrebbero da reclamare contro il Qatar in tema di geografia. Il regno, infatti, è mai come prima interessato a farsi garantire dall’esterno la propria stabilità. La situazione nel paese è assai tesa, nonostante i grossi investimenti nel sociale. La maggioranza dei sauditi sono giovani, troppi sono disoccupati o senza alcuna prospettiva di crescita. È in atto il contrasto con gli sciiti nella provincia orientale ricca di petrolio. Si rendono più palesi le contraddizioni all’interno della famiglia reale – non bastano incarichi ed esercizi d’oro per tutti gli 8000 principi. Tutto ciò con sullo sfondo Re Abd Allah che ha compiuto 88 anni, e gli eventuali successori sono tutti uomini anziani, con gravi disturbi di ogni genere, e poco graditi alla popolazione.
Riyad è seriamente preoccupata per le politiche estere di Washington. L’amministrazione di Obama, infatti, non soltanto è intenzionata a ritirare le truppe nordamericane dalle zone di conflitto (il ritiro dall’Iraq è terminato nel 2011, mentre il contingente afgano torna a casa entro il 2014), ma non nasconde la ferma decisione di non intervenire più in altri scontri. In quest’ottica diventa chiaro a Riyad che le probabilità di un’eventuale azione militare degli USA ai danni dell’Iran sono zero. Anzi, l’amministrazione nordamericana continua addirittura a civettare con Teheran. In realtà il regime saudita non ha per niente gradito il tradimento di Washington riguardo all’ex Presidente egiziano Hosni Mubarak. Gli USA non hanno voluto dare appoggio all’intervento saudita nel Bahrain. Quindi i dirigenti sauditi non sono sicuri che Washington possa appoggiarli nel caso dovesse scoppiare una grave crisi. Sullo sfondo del raffreddamento dei rapporti con Washington, Riyad cerca di fare amicizia con l’Europa. È emblematico il fatto che l’UE oggi sia il maggior fornitore di armamenti all’Arabia Saudita (3,3 miliardi di euro nel 2010). L’UE sta manifestando la propria disponibilità ad avvicinarsi di più al regime saudita. Berlino ha approvato la vendita di carri armati Leopard II all’Arabia Saudita nonostante il regime fosse considerato poco democratico e si potessero utilizzare i mezzi per reprimere eventuali proteste, per esempio in Bahrain.
La situazione in Giordania dal punto di vista del gasdotto è anche migliore. Il Re Abd Allah II riceve grossi finanziamenti dal Qatar. Doha gode di grande prestigio nei confronti dell’opposizione giordana rappresentata dai Fratelli musulmani. Quindi, nonostante il paese sia poco sicuro, il progetto del gasdotto non verrà meno anche nel caso dovesse cadere il governo di Amman. L’unica zona inquietante per il condotto è la Siria. La costruzione del gasdotto che dovrà fornire il gas dal Qatar all’Europa potrà ridurre notevolmente l’interesse verso il gas iraniano da parte dell’UE, quindi indebolire le posizioni di Teheran riguardo ad altri argomenti. Gli iraniani poi avevano in programma la costruzione del gasdotto verso la costa siriana attraverso l’Iraq. Ciò dovrebbe consentire nel futuro di fornire il gas a prezzi europei che sono alti. Ne consegue che la costruzione del condotto senza considerare gli interessi di Teheran non è fattibile. Dunque per motivi assai pratici e concreti il regime di Bashar al-Asad non andava più né all’UE né al Qatar. Da questa prospettiva si capisce perché il regime siriano è diventato l’obiettivo seguente della Primavera araba.
La Siria è importante non solo per il trasporto del gas dal Qatar, ma anche per il transito del gas egiziano e iraniano. Il Cairo è indubbiamente interessato alle forniture di gas in Europa, per ovvi motivi economici. In questo caso i Fratelli musulmani non dovranno giustificarsi per le forniture a prezzi stracciati a Israele, oggi il maggior cliente straniero per il gas egiziano. La direzione egiziana, infatti, si muove in maniera palesemente antisiriana. Nello stesso tempo si profila un’amicizia strategica fra Doha e il Cairo. Il crollo del regime di Bashar al-Asad in Siria renderebbe deboli le posizioni di Teheran in Iraq, sia a livello del Governo di Bagdad, sia a quello delle autorità kurde. Questo, di conseguenza, potrebbe garantire le esportazioni di almeno 10 miliardi di metri cubi di gas dalle regioni settentrionali per la Turchia verso l’Europa. E se il governo di al-Maliki non vorrà cambiare i propri orientamenti in politica estera, in Iraq vi sono tutte le premesse per una propria “Primavera araba”: le rivolte nelle province sunnite a fine 2012 ne sono una prova.
L’obiettivo finale della strategia europea riguardo all’approvvigionamento del gas è senz’altro l’Iran. La prima versione del progetto Nabucco voleva che fosse il gas iraniano a costituire la base delle forniture. In questo senso le sanzioni economiche e gli attacchi mossi contro gli alleati esteri di Teheran si proponevano di stimolare la “Primavera persica”. Come risultato l’Europa sperava di resettare la propria economia. La prospettiva di avere un concorrente venuto dal Medio Oriente, trattasi dell’Iran in primo luogo, potrebbe indurre Mosca ad abbassare i prezzi del gas per i clienti europei. La riduzione dei costi dell’elettricità permetterebbe alle industrie europee di avvantaggiarsi sulla concorrenza cinese. E il Nabucco era il punto di partenza per la grande ripresa, con le nuove grosse ordinazioni agli stabilimenti siderurgici europei. La Primavera araba darà all’UE buone possibilità di raggiungere nuovi accordi con i fornitori nordafricani. La mancata sicurezza in Libia e l’instabilità in Algeria costituiscono per Bruxelles ottimi strumenti per negoziare il prezzo del gas. Pertanto Bruxelles promuove non solo la propria autonomia energetica ma anche una più ampia concorrenza agli USA e alla Cina. Obiettivi: la costanza delle forniture e il prezzo del gas. Tanto più che gli USA negli ultimi anni 2000 hanno potuto garantirsi il gas per il consumo interno in quantità sufficiente e a prezzi decisamente più bassi rispetto ai prezzi europei o asiatici. A sua volta Pechino conta di porsi in posizione di superiorità con l’arrivo sul mercato del gas canadese e di quello dell’Australia che prossimamente potrà diventare il maggior esportatore di GNL a livello mondiale.
Triangoli americani
L’aspirazione alla pace dell’amministrazione di Obama nelle politiche estere è dovuto senz’altro all’impellente necessità di ridurre la spesa. A causa della nuova Grande recessione durante il primo mandato di Barack Obama il debito interno è notevolmente cresciuto. Se alla fine del 2008 era pari al 40% del PIL, alla fine 2011 ha raggiunto la quota del 70% del PIL, il più alto dalla fine della seconda guerra mondiale. L’introduzione del nuovo sistema di assicurazione sanitaria renderà ancora più grave la situazione. Secondo le stime dell’Ufficio di controllo presso il Governo statunitense, per poter rispettare gli impegni di assicurazione sanitaria di oggi si dovrà tagliare la spesa federale del 32% e aumentare le tasse del 46% nei prossimi 75 anni. In tale situazione la spesa militare, secondo quanto rileva l’Ufficio di bilancio del Congresso, deve scendere per costituire al massimo il 3% del PIL contro l’attuale 4,3% del PIL.
Per resettare l’economia del paese, l’amministrazione di Obama ha scelto una strategia diversa da quella di Bush. All’inizio degli anni 2000 la scommessa di Washington era quella di aumentare il PIL e far crescere le società di energia attraverso la politica estera più aggressiva. Come risultato sono cresciuti i prezzi del petrolio e di altre materie prime, e aumentato il trade deficit che nel 2006 ha raggiunto il 6%. Obama ha considerato come prioritaria la crescita delle esportazioni che si sono raddoppiate, e la riduzione delle importazioni di prodotti primary che sono alla base dell’import. Nella situazione di duro cost saving nessun conflitto militare di portata più o meno importante può essere messo all’ordine del giorno. Tanto più che gli USA non dipendono dalle forniture esterne di gas e di petrolio. La valorizzazione dei giacimenti di gas di scisto ha consentito agli americani di diventare autosufficienti. Mentre la produzione del petrolio di scisto potrà raggiungere nei prossimi anni 5 milioni di barili al giorno.
In caso di necessità eventuale il fabbisogno di idrocarburi si potrà coprire con le forniture canadesi. Per questo motivo l’amministrazione di Obama ha voluto cedere ai partner europei il ruolo chiave sullo scenario medio-orientale. Rientra perfettamente nelle priorità attuali della politica estera di Washington. La primissima tournee internazionale di Obama ha dimostrato che il quadro di riferimento di base della sua politica estera è l’Asia Sud Orientale. È dunque importante per Washington che il Medio Oriente, sullo sfondo della ridotta presenza degli USA, anche come importatore di petrolio e di gas, non entri nell’area d’influenza della Cina. Va molto bene agli americani che gli europei diventino più attivi nella regione. Cionondimeno non è una specie di carta bianca infinita, e Washington si prepara anche ad affrontare sviluppi negativi. Soprattutto perché non apprezza il potenziale militare degli alleati europei. Negli anni passati, infatti, nell’ambito della NATO si era parlato molto di finanziamenti insufficienti da parte degli Stati membri dell’UE – in effetti, non superano il 1,5% del PIL (il che è tre volte inferiore a quanto sborsano gli USA). E con la crisi in casa gli europei non rispettano neanche quei valori. Caso paradigmatico è stata l’operazione in Libia ove i francesi e gli inglesi hanno dovuto comperarsi alcuni tipi di bombe dagli statunitensi perché con i tagli e i risparmi non ne avevano a sufficienza nei propri magazzini. È naturale che per gli europei ci sia poco da sperare, dovesse scoppiare un conflitto armato a pieno titolo. Sempre paradigmatiche le controversie all’UE riguardo all’operazione nel Mali: nessuno, tranne la Francia, ha voluto inviarvi le proprie truppe.
Seri dubbi vengono agli USA sull’alleanza venutasi a creare fra i radicali del Medio Oriente e gli europei. Come dimostrano le esperienze afgana e libica (e l’assassinio dell’ambasciatore nordamericano) alcuni di questi gruppi sono poco controllabili. L’eventuale ampliamento delle aree di instabilità inciderà negativamente sull’intera regione, e sarà in netto contrasto con la tanto agognata ripresa economica mondiale. Gli europei scommettono sugli islamisti radicali perché da soli non sono capaci di gestire la crisi siriana. Persino i francesi si sono detti poco disponibili a operazioni di una certa durata in Africa. La vittoria libica ha confermato che il conflitto nella regione non finisce con un solo paese, e il numero degli islamisti radicali sta aumentando (come è successo appunto nel Mali). Un’alternativa all’ulteriore destabilizzazione nella regione sarebbe la costruzione di un nuovo sistema di pesi e contrappesi, che in un modo o nell’altro segua la scia di Washington. La forma più comoda di rapporti del genere è il triangolo in cui, dovesse sorgerne la necessità, è sempre possibile l’alleanza di due partner contro il terzo più potente, assicurando cos+ un equilibrio di cui ha tanto bisogno Washington. Si può creare un triangolo con le tre potenze chiave del Medio Oriente cioè l’Iran, la Turchia e l’Egitto. In tal modo si avrà da una parte l’Iran, che aspira a dominare il Grande spazio sciita, e dall’altra l’Egitto e la Turchia che imperano nella zona sunnita, compensando i tentativi di espansione dell’Iran. La persona scelta dal Presidente Obama alla carica del ministro della difesa rientra sempre nella stessa logica. Fatto sta che Chuck Hagel non soltanto è più costruttivo nei rapporti con l’Iran, ma è anche più largo nelle proprie visioni e non considera Israele come l’unico alleato nella regione.
Il South Pars del Qatar
Le forniture via mare con le navi cisterna rendono autonomo il Qatar dal punto di vista degli sbocchi. Consideratane tuttavia la geografia, queste forniture sono subordinate a quanta sicurezza ci sia nel Golfo. Per questa ragione per il Qatar l’eventuale costruzione del gasdotto verso l’Europa è interessante sia dal punto di vista economico (come via di trasporto verso i maggiori clienti), sia come garanzia della propria sicurezza. In effetti, il Qatar cerca da tempo di minimizzare i rischi riguardo all’Arabia Saudita, ed alle sue pretese territoriali, e all’Iran. Il gasdotto verso gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman, volendo, può essere prolungato fino al Golfo dell’Oman. La costruzione del condotto per l’Europa rafforzerà i diritti del Qatar all’estrazione del gas nel giacimento di North Dome che, geologicamente parlando, è l’estensione della South Pars.
È particolarmente importante per Doha nella situazione in cui Teheran, pressata dalle sanzioni, è costretta a sospendere lo sviluppo della propria area del giacimento. È logico supporre che adesso gli iraniani siano convinti che il Qatar stia aumentando l’estrazione a spese e a scapito dell’Iran. C’è da ricordare che tempo fa nel Golfo si era già creata una situazione simile: prima di ordinare all’esercito di invadere il Kuwait, Saddam Hussein l’ha accusato di abusare dei giacimenti iracheni.
La Turchia, controllore dell’Europa
Come condizione per la propria partecipazione al progetto Nabucco la Turchia metteva l’autorizzazione all’adesione all’UE. Dal momento in cui è diventato chiaro che nessuno voleva farla entrare in Europa, il governo Erdogan gradualmente ha modificato la posizione della partecipazione. Invece del transito Ankara propone agli europei di comprare il gas direttamente dalla Turchia. E il progetto del gasdotto è cambiato. È diventato Nabucco West e non attraversa la Turchia, ma ne arriva al confine. Quindi, qualora si volesse realizzare il condotto europeo sara’ la Turchia a fare da fornitore.
Patrimonio russo che viene del Medio Oriente
La crisi nel Medio Oriente potrà fare il gioco di Mosca. Nelle condizioni di instabilità chi saprà garantirsi le forniture della materia prima si avvantaggerà strategicamente, ma anche economicamente. Questo spiega anche la posizione di Mosca riguardo alla Siria: se alla fin fine l’opposizione non riesce a far fallire il regime di Bashar al-Asad, del gasdotto dal Qatar all’Europa, passando per la Turchia, non se ne parla neanche. Come non si parla della soluzione alternativa iraniana nelle condizioni della guerra civile in Siria. La difficile situazione venutasi a creare in Medio Oriente aiuta Gazprom a risolvere tutta una serie di problemi. Per prima cosa cesseranno gli attacchi dell’UE contro Gazprom. In secondo luogo si potrà avviare una serie di progetti del gas, per ora sospesi, come quello del giacimento Schtokman, oppure avviare i progetti nell’Artico. Per ovvi motivi economici, nel caso si volesse procedere con il Nabucco, questo giacimento perde di attrattiva. Questo dimostra che se negli anni ’70 (sullo sfondo della crisi nel Medio Oriente) l’allora Unione Sovietica era riuscita a garantirsi la relativa prosperità attraverso gli alti prezzi del petrolio, oggi quest’eventualitò è del tutto subordinata al gas.