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La passione per l’arte e la cultura in un nuovo libro su Anselmo Guazzi

Creato il 15 marzo 2013 da Ilnazionale @ilNazionale
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La copertina del libro edito per Il Rio

15 MARZO – “La cultura rende un popolo facile da guidare ma difficile da trascinare; facile da governare, ma impossibile a ridursi in schiavitù”. Così riassunse il ruolo della cultura ormai due secoli fa il nobile inglese Lord Henry Brougham in un discorso pronunciato di fronte alla Camera dei Comuni, certamente ricco di perspicacia e senso critico.

Tuttavia non occorre certo andare in Inghilterra per riscoprire il significato della parola “cultura”, oggi sempre più spesso accostata a qualche quiz televisivo a premi o a un’offerta formativa che nelle scuole si riduce.

A dispetto dello scarso amore per la cultura dimostrato dall’Italia dei nostri giorni, la bella città di Mantova ha recentemente ospitato una presentazione del libro di Stefano L’Occaso dal titolo Anselmo Guazzi: un allievo di Giulio Romano, distribuito dall’editore Il Rio. Non è un caso che l’incontro si sia tenuto nella città di Virgilio e dei Gonzaga, generosi mecenati di intere generazioni di artisti. I fratelli Anselmo e Luca Guazzi, ma anche Giulio Campi, Giovan Battista Bertani e Girolamo da Treviso operarono a lungo a Mantova e furono appunto allievi del celebre Giulio Romano.

Stefano L'Occaso 2
Come sottolinea L’Occaso, però, proprio Anselmo Guazzi si rivelò uno dei più fedeli prosecutori del lavoro del maestro, venuto in auge come prefetto delle fabbriche mantovane e morto verso il 1546. “Ognuno dei pittori attivi a Mantova dopo la scomparsa di Giulio Romano diede un’interpretazione personale, talvolta geniale, alla sua opera –precisa lo studioso- Questo però non impedì, già all’epoca, di affermare che «Tutti vivono del suo pane», esprimendo quanto il lavoro del maestro ispirasse gli altri artisti anche ad anni di distanza da quando fu attivo”. In tutto ciò, la figura di Anselmo accompagna quella di Giulio fin dagli anni Venti e Trenta del Cinquecento, quando i due lavorarono insieme ai dipinti di Palazzo Te. Anselmo ricevette un compenso di 30 lire per dieci opere realizzate nella camera dei Venti e tra queste, in particolare, Cerere e Venere, ammirabili nei loro colori naturali attraverso le illustrazioni del libro. Basta osservare questi lavori per aver prova del fatto che Anselmo Guazzi non fu solo abile realizzatore di fregi e grottesche, ma anche di figure. Così, se nella Camera dei Cavalli a Palazzo Ducale si impegnò a realizzare delle grottesche di tutto rispetto, nella Camera dei Venti a Palazzo Te raffigurò anche una squisita caccia alla lepre. Nel 1540, dopo la prematura scomparsa del fratello Luca, anch’egli pittore, Guazzi si concentrò sul lavoro nel Palazzo Vescovile di Mantova inoltre, fino al 1550, si occupò degli affreschi nella chiesa di San Benedetto in Polirone. “Guazzi lavorò in questa chiesa abbaziale con un nutrito numero di collaboratori, tanto che in alcune fonti si fa riferimento ad Anselmo e al suo esercito” continua l’autore del libro. All’interno del tempio, i famosi festoni di Guazzi e della sua bottega saltano subito all’attenzione dei visitatori con la loro grazia ed i colori, così come i medaglioni narranti alcune storie dell’Antico Testamento.
palazzo te
Alla morte di Giulio Romano poi, la carriera dell’artista vide un improvviso cambiamento. Continua L’Occaso: “Guazzi vide una rapida ascesa nella sua carriera, proponendosi anche come pittore di pale d’altare (…) Gli viene attribuita una tela raffigurante la Madonna col Bambino e i santi Girolamo e Maddalena che mostra le stesse caratteristiche morfologiche sin qui riscontrate nelle figure del Guazzi: il panneggio molle e fitto di pieghe minute, le teste ovoidali…”. Se sia del Guazzi oppure no anche una Predica del Battista custodita nella Chiesa di Ognissanti a Mantova è discusso, ma l’esperto non esclude che anch’essa sia opera di Anselmo, in base ad un’attenta analisi della superficie pittorica e al fatto che essa fosse stata commissionata come completamento di una cappella dell’abbazia di San Polirone, negli stessi anni della sua ricostruzione.

Come sottolinea Roberto Berzaghi nell’introduzione al libro, Stefano L’Occaso ci consegna con questo volume un lavoro di attenta documentazione su un capitolo di storia dell’arte spesso poco conosciuto o comunque sottovalutato. Una perla per chi ama la pittura mantovana e vorrebbe scoprirne aspetti nuovi, per niente scontati.

Altro aspetto degno di nota é dato dal fatto che il libro nasce e prende forma dalla creatività di un gruppo giovane. Stefano L’Occaso, a 37 anni, vanta un curriculum invidiabile, con studi compiutisi a Roma, Firenze e Milano e un impiego presso la Soprintendenza dei Beni culturali di Mantova. Precoce, inoltre, è anche il progetto editoriale “Il Rio”, seguito da Giulio Girondi e Giada Scandola. Questo a riprova delle potenzialità e del talento racchiuso nel saper fare di molti ragazzi e ragazze che ritengono la cultura tutt’altro che un optional.

 

Silvia Dal Maso


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