In Italia (ma non solo), viviamo momenti drammatici col Governo che si appresta a varare la seconda manovra “lacrime e sangue” nel giro di un mese. La metafora della casa che brucia mai fu più calzante. Tra i tanti snodi cardine del dibattito politico, vi è la cosiddetta tassa patrimoniale. Misura tipicamente socialista, spesso rischia di tracimare nel concetto che avere più denaro della media è intrisecamente un peccato originale da cui periodicamente emendarsi. Quanto di più anticapitalistico (e comunista) ci possa essere. Eppure in queste ore giornali e giornalisti che tutto sono tranne che “rossi”, sembrano invocarla col pugno alzato. Ne è di esempio l’editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale di stamane.
Ma perché prude tanto parlare di patrimoniale? Mi sento di dire che la patrimoniale, in tempi di pace, non dovrebbe esistere. Mentre il concetto di ridistribuzione del reddito sta alla base delle democrazie europee e della loro spiccata propensione al welfare, il concetto di ridistribuzione del patrimonio ci riporta diritti dietro la cortina di ferro ai tempi gloriosi della rivoluzione rossa sovietica. Sostanzialmente il nostro stato di diritto si è fondato sul concetto di inattaccabilità dei diritti acquisiti. Si può intervenire sui diritti in formazione, come il reddito. Ma una volta che questo si trasforma in patrimonio diventa un diritto acquisito, si “storicizza”, e quindi diviene inattaccabile. Il patrimonio altro non è che la proprietà privata, pilastro del nostro sistema economico. Rimetterla in discussione mi sembra follia.
Ma tutti questi bei discorsi valgono in tempi di pace. Quelli che viviamo invece sono tempi di guerra, finanziaria ma non solo. Basta guardarsi intorno, dal Maghreb alla Siria, dall’Afghanistan alla City londinese. E, come si sa, in tempi di guerra non si guarda in faccia a nessuno.
Il Governo non se l’è sentita di introdurre una patrimoniale pura, non si sa se per convinzione (rimanendo fedele al suo credo di centro-destra) o se per conflitti al suo interno. Fatto sta che si è inventato solo un prelievo forzoso (imbellettato col nome di “contributo di solidarietà”) che va a colpire una tantum per il prossimo biennio i redditi oltre i 90000 euro (col 5%) e i 150000 euro (col 10%) annui.
E’ a questo punto che Feltri, dalla tribuna del più importante giornale di destra, si inalbera. Vittorio sostiene che ad essere attaccati sono i soliti noti, ovvero il ceto medio, mentre a sfangarla gli altrettanto noti ricconi milionari. La conclusione ha quasi dell’incredibile se a scandirla è uno dei commentatori destrorsi più in vista: ci vuole la patrimoniale per i grandi patrimoni. Tradotto? Dobbiamo operare un vero e proprio esproprio dei soldi dei ricchi. Perché? Per il solo fatto che sono ricchi, tanto basta. Quasi fosse il peccato originale. Mi sono stropicciato gli occhi. Ma sto leggendo l’Unità per caso?
Purtroppo l’analisi di Feltri fa acqua in un passaggio, che inficia il ragionamento. Lui indica nei redditi intorno ai 100000 euro annui la soglia della normalità, da contrastare ai vari Briatore, dimenticandosi tutta quella fetta di popolazione (la stragrande maggioranza) che va da reddito zero (disoccupati e inoccupati) fino ai 30000 euro annui (che già possono ritenersi fortunati). Il Paese è talmente in picchiata che il confine tra far la dolce vita e l’annaspare non sta più nel possedere la barca ormeggiata in Costa Smeralda e non averla. Ben più modestamente, il confine sta tra il potersi o non potersi permettere SKY, tra far il Ferragosto ad Ostia Mare o a Formentera. L’asticella si è talmente abbassata che considerare chi si porta a casa 3000-3500 euro netti al mese in busta paga come il confine inferiore del ceto medio dà l’idea che Feltri vive in un altro mondo.
Poi, senza voler far di tutta l’erba un fascio, ma chi sono costoro che raggranellano 3500 euro netti al mese? Sono i dirigenti statali, i professori universitari, i liberi professionisti e gli imprenditori. Categorie che, senza estremizzare, comunque un loro peccato originale comunque lo scontano. I dirigenti statali scontano un sistema di nomine ed avanzamenti di carriera che definire poco trasparente è dir poco; i professori scontano una parentopoli del sistema universitario imbarazzante; i liberi professionisti e gli imprenditori sono coloro che più degli altri ci danno dentro con l’evasione fiscale. Insomma, dipingere questo “ceto medio” come la pecorella della situazione è eccessivo.
Quindi, in conclusione: ben venga il contributo di solidarietà. Concettualmente mi fa schifo, ma se necessario ben venga anche la patrimoniale. Perché i poveracci, pure loro pagheranno. E salato. O qualcuno ha qualche dubbio su questo? E pure questo fa schifo. Se dobbiamo mettere la merda nel ventilatore, che perlomeno le eliche girino a 360 gradi.
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