La paura ha ali da pipistrello

Creato il 27 aprile 2015 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr

Ciao Argonauti! Eccoci pronti per un nuovo viaggio nei meandri dell' ansia sociale. Vi voglio avvertire però: quella di oggi sarà un'esplorazione che a molti di voi potrà sembrare stranamente familiare. Non preoccupatevi se sentirete odore di casa tra le righe del mio discorso, vorrà solo dire che siete umani, non che state imboccando il crinale che vi farà entrare nell'Ansia sociale fan club! Coloro però che sono di animo sensibile e preferiscono aspettarci all'autogrill vicino al bosco in cui stiamo per entrare, facciano pure e ordinino cornetti e cappucci per tutti. Saremo affamati quando torneremo! Ma ora, bando alle ciance ed iniziamo!

Se chiedete ad un ansioso sociale qual è l'emozione che prova più spesso, vi dirà che è l'ansia. Non a caso è parte integrante dell'etichetta che fodera le nostre maglie e ci rende comprensibili. Ma "ansia" è una di quelle classiche parole che non significano niente. E' una porta chiusa dai contorni sbiaditi e dalla vernice scrostata a furia di passarci sopra le mani. Di solito ci limitiamo a gironzolare intorno a quell'uscio di legno convincendoci che quella targhetta racconti esattamente ciò che sentiamo. Ma se scaviamo più a fondo, noi ansiosi sappiamo benissimo che non è "ansia" la parola che vorremmo dire davvero. E' solo quella più semplice da pronunciare, quella più vaga e forse più accettabile dalle orecchie che ne sentiranno il suono. Ma la vera parola, quella che sentiamo urlare rabbiosa come un piccolo Hulk dentro il nostro vestito da Bruce Bannister, è PAURA. Sì, proprio lei. Una parola tabù come i peggiori improperi e le più oscene bestemmie. Paura. Un termine che produce più vergogna che essere beccati a conoscere per filo e per segno tutte le vicissitudini amorose dei personaggi di Jersey Shore e dei suoi variopinti spin-off. Una sequenza di lettere alquanto bizzarra poi, se ci si pensa bene. Quasi un ossimoro, oserei dire. Un paradosso incredibile quelle lettere panciute e rotonde, scivolose e morbide se comparate ai pugni nello stomaco che riesce a sganciare con precisione da ninja, lasciandoci con il fiato corto e piegandoci in due come un panino cotto e maionese. La paura, oltre ad avere un posto d'onore negli scaffali vietati ai minori della nostra psiche (i ripiani alti per intenderci) detiene anche il monopolio della nostra mente come lo Stato spadroneggia sui tabagisti più incalliti. E' innominabile come Voldemort ma costante come un porro sul naso particolarmente affezionato. Io me la immagino come un pipistrello nero che ci accompagna in ogni momento della giornata: ci tiene compagnia durante le notti insonni, ci porge il caffè fumante non appena apriamo gli occhi, ci accompagna mentre cerchiamo di incastrare un minuscolo biscottino nello stomaco improvvisamente della dimensione di una noce pecan e si aggrappa felice alle nostre tasche da canguro sottoculari mentre cerchiamo di scolpirci un'immagine che ci permetta di non essere scambiati per sopravvissuti ad un attentato. Il pipistrello non ha una voce propria, ma questo non significa che sia meno efficace nel suo intento: ci lancia ultrasuoni che interferiscono con i battiti cardiaci, accelerandoli e mandando troppo ossigeno al cervello, iperventilandoci, insomma. E mentre stride inudibile, svolazza allegramente sopra la nostra testa oscurando il sole e marchiando tutto ciò che vediamo con una curiosa ombra a forma di batsegnale, che non fa altro che allarmarci di più perché tutti sanno cos'è un batsegnale, anche chi non si considera un nerd. E' una richiesta di aiuto, il segno di un pericolo imminente che solo un supereroe potrà sventare. Ma per noi che viviamo nella vita reale, non esiste alcun eroe della Marvel che ci possa aiutare, sappiamo già che non si presenterà nessuno, neanche il più spelacchiato cosplayer con abito comprato al mercato delle pulci. Siamo solo noi in questa trincea chiamata vita. Niente superpoteri contro lo tsunami di realtà che ci circonda, siamo equipaggiati con il peggior impermeabile giallo mangiato dalle tarme ed un ombrellino comprato per strada che si ribalterà al primo tocco di vento. E anche se non fosse così, anche se fossimo alla guida di un transatlantico e avessimo in una mano una ciambella salvavita e nell'altra un diploma di bagnino, il piccolo pipistrello ci svolazzerebbe intorno come un uccello del malaugurio, come uno di quegli avvoltoi che stanno nei paraggi quando la bestia di turno sta per tirare le cuoia, dandoci la sinistra impressione di non avere esattamente la fortuna dalla nostra. Ed è esattamente questo lo scopo del pipistrello: creare il dubbio, mostrarci uno scenario diverso dalla realtà, depotenziarci, renderci deboli come Superman dopo essersi strofinato una roccia di kriptonite per tutto il corpo. E proprio come la kriptonite, il passo successivo sarà l'attacco del villain di turno, che nel nostro caso è il Rimuginio, che ci farà sentire piccoli, insignificanti e con un leggero alito agliato. Il pipistrello è un mago dell'illusionismo, un genio dell'arredamento con una particolare predilezione per il gotico, che non aspetta altro che giocare con le luci per gettare ombre sinistre su tutto ciò che ci circonda, creando ambientazioni alla Edgar Allan Poe, smorzando i colori e slavandoli come dopo un giro di lavatrice particolarmente disastroso.

La paura ci mostra tutto in una tonalità meno brillante e più sinistra, dai colori scuri illuminati solo dalla luce della luna; trasforma proposte allettanti in prove di abilità, incontri romantici in valutazioni del nostro fascino e feste con gli amici in campi di battaglia con tanto di zombie e sangue finto ad arredare le pareti. Agisce trasfigurando il mondo, aggiustando i battiti del cuore come degli ingranaggi di un orologio ottocentesco, calibrando i filtri dei nostri occhi scegliendo un antiquato color seppia, fino a trasformare una normale giornata in università in un percorso ad ostacoli tra le tombe della Transilvania in una notte di luna nuova, muniti solo di una matita spuntata. La paura crea ambienti spettrali, proietta ombre e definisce il mood della giornata, seguendo le sue più esaltate tendenze dark. E nel fare ciò riesce ad accomunare ansiosi sociali e non. Perché diciamocelo, la paura non è proprietà esclusiva dell'ansia sociale. Semplicemente, l'ansia ha pensato di dotarsene in grandi quantità, di ingrassare il suo pipistrello fino a renderlo capace di trasportare comodamente una coppia di nutrie con figli e bagagli. Ma in realtà siamo tutti circondati da pipistrelli neri che si salutano reciprocamente dalle nostre spalle e che, di tanto in tanto, spiccano il volo per creare quegli ambienti tetri e lugubri alla famiglia Addams, trasformando edifici in grandi lapidi nere, facendo spuntare un canino vampiro all'angolo della bocca della persona con cui stiamo parlando, allungando il fischio di una teiera fino a diventare l'ululato di un lupo nella notte. Ciò che ci distingue l'uno dall'altro non è la presenza o meno della paura, ma dove il pipistrello proietterà la sua ombra. Per alcuni potrebbe essere una proposta di matrimonio che trasforma il più bel principe azzurro in un rospo butterato che si è rigirato per giorni nella vaselina, per altri potrebbe essere fermarsi in un posto per più di qualche mese, per altri ancora potrebbe essere l'esame di maturità, visto come il tentativo legalizzato di mettere alla gogna dei poveri giovani ad un passo dalla libertà. Per me è tutto ciò che riguarda la socializzazione. Se vivessi in un bosco deserto sarei capace di lasciare il mio pipistrello sul primo ramo di passaggio, con un pacchetto di topini morti e un foglio di raccomandazione per il suo futuro impiego. Ma l'eremitaggio costa e io sono tutt'altro che ricca, quindi mi tocca continuare a tenere il pipistrello a tempo indeterminato, lasciando che giochi con le luci e le ombre così da creare scenari gotici anche in un negozio dell'IKEA. Però ho imparato una cosa in questi anni di convivenza con il pipistrello: la sua ombra ha un confine. Esiste un punto oltre il quale non può più intervenire. La paura funziona a corto raggio, a breve termine. Sui compiti imminenti e più prossimi riesce a dare il meglio di sé, a proporre ambientazioni alla Tim Burton, catapultandoci direttamente in una scena del Sesto senso o in una delle stanze della Casa infestata dal demonio. Ma se guardiamo un po' più in là, oltre la punta delle nostre dita, potremo vedere un mondo molto più luminoso di quello in cui ci muoviamo, fatto di strade trafficate, tramonti accecanti e persone con le braccia aperte. Un mondo di possibilità eccitanti, di colori sgargianti e di sorrisi assolati, ben lontano dalla lugubre e pericolosa terra di Mordor in cui sembriamo intrappolati. Quello che dobbiamo fare è continuare a guardare oltre la punta delle dita, puntare gli occhi su quel faro dai colori vivi che brilla di libertà, che vibra di energia, che fa prudere la pianta dei piedi e che stuzzica le gambe invitandole a correre libere. Insomma, dobbiamo inscenare con noi stessi la celebre scena del Re Leone ("Guarda Simba, tutto ciò che è illuminato dal sole è il nostro Regno"). Se teniamo gli occhi fissi su quella Terra promessa e ci rigiriamo in bocca le parole di Mufasa, continueremo ad avanzare ignorando il pipistrello e ci ricorderemo che quello che passa sotto le sue ali non è la realtà, ma solo una distorsione della vista, è uno specchio deformante che ci spinge a desistere. E ricordarci che siamo già immersi in quella Terra magica ci potrà aiutare a cercare qua e là punti non oscurati dalle ali del pipistrello: un angolino di marciapiede illuminato dal sole, una ciocca di capelli ricci che ci prende bonariamente in giro dalla testa di uno sconosciuto, un cane che ci fissa altezzoso da sotto la sua barba. E' tutta una questione di prospettive, tutta una questione di sguardi. E di mani tese in avanti.

Duille


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