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(La paura per) la matematica non è un’opinione

Da Lundici @lundici_it

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Nella gara tra le materie scolastiche più odiate dagli studenti a detenere il maggior numero di primati è proprio la matematica. In una recente inchiesta del portale Studenti.it, condotta su un campione di più di 1.500 studenti, la matematica è stata scelta come risposta dal 38% degli intervistati. Già sette anni fa, nel 2007, il Ministero dell’Istruzione aveva reso noto che il 44% dei debiti formativi con i quali gli studenti delle scuole superiori accedevano all’anno successivo era in matematica e, andando più indietro, nel 2004, sempre la matematica risultava essere la materia più ostica per gli alunni.

“Non preoccuparti delle difficoltà che incontri in matematica, ti posso assicurare che le mie sono ancora più grosse” affermava il grande scienziato Albert Einstein. Eppure, nonostante questo “rassicurante” messaggio, ai più la matematica appare come un incubo fatto realtà, un nemico da affrontare nella sfida quotidiana della scuola o della vita.

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Per cercare di individuare le origini di quest’avversione centinaia di educatori e ricercatori in neuroscienze educative o scienze cognitive si sono incontrati nel 2011 ad una conferenza internazionale tenutasi nella sede del Massachusetts Public Information Resources, Inc., a Needham. Il confronto tra le esperienze di questa fitta schiera di studiosi ha permesso di individuare nell’ansia e nelle risposte del cervello a questa condizione di disagio il nocciolo dell’avversione alla matematica.

Davanti ad un problema matematico uno studente elabora le informazioni in base alla loro priorità attraverso l’amigdala (il centro emotivo del cervello) inviandole poi alla corteccia prefrontale, la cui attività principale è la guida dei pensieri e delle azioni in accordo ai propri obiettivi. Ebbene, sulla base di quanto afferma la dottoressa Judy Willis, un neurologo di Santa Barbara, California, se si innesca una situazione di stress durante la risoluzione di un quesito matematico, c’è più attività nell’amigdala che nella corteccia prefrontale. In pratica, gli individui con ansia per la matematica soffrono di pensieri intrusivi e riflessioni superflue che li portano a utilizzare buona parte delle loro capacità intellettuali per risolvere il problema. Una serie di esperimenti condotti presso il Mangels Lab of Cognitive Neuroscience of Memory and Attention nel Baruch College a New York, dimostrano come questa situazione di stress colpisca maggiormente proprio gli studenti amanti della matematica e aumenta quando essi sanno che le loro prove sono finalizzate all’ottenimento di un giudizio o per confrontare tra loro le capacità di più individui. Più si ama la matematica dunque e più la capacità di risolvere quesiti ed equazioni è bassa in situazione di stress; viceversa, tali studenti ottengono ottimi risultati se liberi da prove e test.

Gli stessi soggetti con un’elevata ansia da matematica possono incontrare difficoltà nel riconoscere rapidamente le differenze di grandezza numerica o il numero totale di elementi in un insieme, entrambe considerate forme di discalculia. Se compaiono da piccoli, queste difficoltà aumentano negli anni, peggiorando le capacità di calcolo. Per quanto riguarda poi la differenza di genere pare che le donne siano più soggette a quest’ansia rispetto gli uomini concludendo come esse siano più brave a leggere mentre i maschi a far di conto. Nelle scuole elementari poi, dove il 90% del corpo docente è di genere femminile e i giovani studenti tendono ad assumere come modello adulti del proprio sesso, avere un’insegnante di matematica ansiosa o non sufficientemente chiara nelle spiegazioni porterebbe le bambine ad assimilare la stessa ansia e insicurezza rafforzando lo stereotipo di una maggior predisposizione dei maschi per questa disciplina e di un primato femminile nelle materie umanistiche.

Un’ulteriore motivazione scientifica all’avversione per la matematica è documentata da uno studio del 2012 condotto da un team di neuroscienziati dell’Università di Chicago, guidati da Ian Lyons, e pubblicato sulla rivista Plos One. L’ansia che in taluni individui si scatena anche al solo pensiero di dover eseguire una semplice operazione matematica può accendere gli stessi circuiti neuronali che vengono solitamente attivati dalla percezione dei sintomi viscerali e dal dolore fisico.

I ricercatori hanno monitorato l’attività cerebrale di soggetti adulti affetti da un disturbo noto come “alti livelli di ansia da matematica (high levels of mathematics-anxiety, HMAs)” individuando le radici biologiche del problema. Grazie alla risonanza magnetica funzionale è stato possibile osservare quali aree del cervello si attivavano durante la fase di proposta e svolgimento di alcune semplici equazioni matematiche oppure la risoluzione di facili giochi di logica. Dai risultati è emerso che all’aumentare del livello di ansia per la prestazione, maggiore è l’attività di una particolare porzione del cervello, chiamata insula posteriore, che si trova poco sopra l’orecchio ed è associata alla percezione del dolore e delle minacce imminenti per l’incolumità del nostro corpo.

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Il fatto sorprendente è che l’attivazione dell’insula posteriore non avviene durante lo svolgimento delle prove di matematica in sé ma all’aumentare del livello di ansia sperimentata prima dello svolgimento del compito. Dunque, in soggetti affetti da HMAs, il pensiero di dover eseguire un’operazione di matematica aumenta l’attività delle regioni del cervello associate con la sensazione fisica del dolore; addirittura l’ansia, la paura e l’attività dell’insula posteriore divengono febbrili se il momento in cui dovrà essere eseguito l’esercizio è anticipato. Ebbene questo è il primo studio in assoluto che dimostra come l’anticipazione di un evento spiacevole e le sensazioni negative che ne derivano causino l’attivazione delle regioni neurali coinvolte nel dolore fisico. Insomma una vera e propria prova neurale che indica la natura dell’esperienza soggettiva dell’ansia da matematica, come ha affermato il dottor Ian Lyons, ed è in parte in grado di spiegare perché chi sperimenta questo disagio nei confronti di tale materia faccia poi di tutto per scegliere percorsi formativi e professionali che la escludano.

David Hilbert, uno dei più eminenti ed influenti matematici del periodo a cavallo tra il XIX secolo e il XX secolo aveva detto: “L’analisi matematica è una sinfonia coerente dell’universo”. C’è dunque chi si terrorizza e chi riconosce la bellezza insita nel mondo dei calcoli. Qualunque sia la reazione, esiste, nel nostro cervello, un nucleo di neuroni localizzati in una specifica area che presiede al riconoscimento dei numeri. È quanto scoperto da un gruppo di ricercatori, coordinati dal dott. Josef Parvizi dell’Università di Stanford (USA), nel 2013, e descritto in un articolo pubblicato su Nature.

Lo studio è stato condotto su un gruppo di tre volontari epilettici (una donna e due uomini) dei quali è stata monitorata l’attività cerebrale mentre osservavano immagini riguardanti i numeri, utilizzando speciali griglie di elettrodi posizionate sull’emisfero destro o sinistro (le stesse griglie impiegate per individuare i punti d’origine delle crisi epilettiche).

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L’area identificata si compone di circa due milioni di cellule nervose ed è situata nel giro temporale inferiore, una regione superficiale della corteccia esterna del cervello, già nota per il suo coinvolgimento nel trattamento delle informazioni visive. Quest’area si attivava alla visione dei numeri e, in misura inferiore, quando i partecipanti, impegnati in conversazioni sociali, si riferivano ad oggetti con contenuto numerico.

Tale area sembra localizzarsi all’interno di una popolazione più ampia di cellule neuronali le quali rispondono alla vista di simboli visivi formati da linee con angoli e curve. Pertanto, allo scopo di assicurare che le aree individuate fossero sensibili ai numeri e non solo a generiche linee, i test sono stati attentamente calibrati per distinguere le risposte cerebrali a presentazioni visive dei numeri insegnati nelle scuole occidentali (le cifre arabe) rispetto alle risposte attivate dalla visione di generiche linee ondulate e lettere dell’alfabeto.

Come ha detto lo stesso dott. Parvizi, pare che l’evoluzione abbia predisposto questa regione del cervello per rilevare stimoli visivi rappresentati da linee arcuate o che si incrociano a vari angoli assimilabili al tipo di intersezioni cui i nostri antenati “scimmieschi” dovevano dare rapidamente un senso mentre oscillavano da un ramo all’altro in una fitta foresta.

Questo è dunque il primo studio in assoluto a mostrare l’esistenza di un gruppo di cellule nervose nel cervello umano che si perfeziona nell’elaborazione dei numeri. L’individuazione di un’area cerebrale che risponde in maniera preferenziale alla rappresentazione visiva delle cifre potrebbe indicare una specializzazione tutta dell’uomo, e una dimostrazione di come nessuno nasca con la capacità innata di riconoscere i numeri ma come il cervello cambia in base a specifici stimoli educativi – in questo caso l’insegnamento della matematica.

La HMA (alti livelli di ansia da matematica) rappresenta una malattia emergente, oggetto di studi approfonditi nell’ultimo decennio, non solo per le possibili associazioni con problemi di discalculia ma anche per le ripercussioni psicologiche negative nell’individuo che la manifesta. In un recente studio condotto nell’università dell’Ohio e pubblicato online nel marzo di quest’anno sul Journal of Child Psychology and Psychiatry si sono analizzate le interazione tra fattori di origine genetica e le influenze dell’ambiente che circondano un bambino durante la sua crescita per individuare il contributo dato allo sviluppo di stati di ansia nell’affrontare la soluzione di un problema matematico. Lo studio dimostra come alcuni individui sviluppano una paura che rende loro più difficile risolvere problemi di matematica non solo a causa di esperienze negative vissute con la materia ma anche per motivi di origine genetica, legati alla manifestazione di stati di agitazione e/o problemi di apprendimento.

Lo studio ha preso in esame centinaia di gemelli i quali sono stati sottoposti a valutazioni sull’ansia per la matematica, sull’ansia generale, sulla capacità di risolvere problemi di matematica e sulla comprensione della lettura. I ricercatori hanno usato strumenti statistici per evidenziare eventuali collegamenti tra le diverse misurazioni dell’ansia per poi concludere se le differenze nel livello di ansia per la matematica osservate potessero attribuirsi a fattori genetici o influenze dell’ambiente cui i gemelli andavano incontro.

La conclusione è stata che l’ansia per la matematica è imputabile per un 60% ai metodi educativi e ai rapporti sociali vissuti dai gemelli – nella scuola, in casa e altrove –, mentre i fattori genetici (legati sia alle prestazioni cognitive che alla tendenza di sviluppare stati di agitazione) spiegano il restante 40% delle differenze tra i vari soggetti. In pratica se si è portatori di fattori genetici che predispongono allo sviluppo di agitazione e a questi si associano esperienze negative vissute durante l’apprendimento della matematica o in contesti nei quali si richiedeva l’intervento di calcoli, allora la comprensione della materia potrà risultare molto più difficile. L’ansia può anche inibire le abilità matematiche innate che hanno alcune persone, alimentando un circolo vizioso in cui le conseguenti scarse prestazioni vanno ad accrescere l’ansia stessa che le ha causate.

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La ricerca dell’Ohio State University, per valutare il ruolo dell’ambiente e dei fattori genetici sullo sviluppo dell’ansia per la matematica, ha coinvolto 216 gemelli identici e 298 gemelli eterozigoti dello stesso sesso (reclutati alla scuola materna o in prima elementare) che hanno partecipato al Western Reserve Reading and Math Projects, uno studio a lungo termine nello stato dell’Ohio.

Gli interventi per aiutare chi è soggetto a sviluppare ansia per la matematica dovrebbero pertanto tenere conto di entrambi i fattori: genetici e ambientali. È importante insegnare ai giovani alunni a regolare le proprie emozioni impedendo che l’ansia prenda il sopravvento e comprometta le loro capacità di calcolo. I vecchi test a risposta multipla o l’isolamento degli alunni costretti a risolvere esercizi diversificati sono diventati obsoleti e non fanno che peggiorare la situazione, concludono gli esperti. Per ridurre le difficoltà con la matematica è utile il riunire gli studenti in gruppo, farli discutere e trovare così insieme le soluzione più adatte a ciascuno di loro. Solo così si potrà ridurre la disaffezione verso la matematica permettendo agli studenti di comprenderla di più. Perché come già scrisse Gianni Rodari nella sua poesia “L’avventura di uno zero”: […] Ma cosa era successo?/
Che l’Uno e lo Zero/
seduti vicini,/
uno qua l’altro là/
formavano un gran Dieci:/
nientemeno, un’autorità!/
Da quel giorno lo Zero/
fu molto rispettato,/
anzi da tutti i numeri
ricercato e corteggiato:/
gli cedevano la destra/
con zelo e premura/
(di tenerlo a sinistra/
avevano paura),/
gli pagavano il cinema,/
per il piccolo Zero/
fu la felicità.
Basta poco per riconoscere la grande forza delle semplici verità.

Bibliografia e Sitografia
http://www.studenti.it/superiori/scuola/matematica-la-piu-odiata-dal-38-degli-studenti.php

http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/biotech/2012/11/02/paura-matematica-accende-dolore-cervello_7729310.html

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/16/cervello-scoperto-pallino-della-matematica-ha-1-2-milioni-di-cellule-nervose/564782/

http://aulascienze.scuola.zanichelli.it/2014/04/07/paura-della-matematica-colpa-anche-della-genetica/

Wang Z1, Hart SA, Kovas Y, Lukowski S, Soden B, Thompson LA, Plomin R, McLoughlin G, Bartlett CW, Lyons IM, Petrill SA: Who is afraid of math? Two sources of genetic variance for mathematical anxiety. J Child Psychol Psychiatry. 2014 Mar 10.
Dastjerdi ML, Ozker M, Foster BL, Rangarajan V, Parvizi J: Numerical processing in the human parietal cortex during experimental and natural conditions. Nat Commun. 2013;4:2528
Lyons IM1, Beilock SL: When math hurts: math anxiety predicts pain network activation in anticipation of doing math. PLoS One. 2012;7(10)


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