
Regia: Ascanio Celestini
Interpreti: Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa
Fotografia: Daniele Ciprì
Montaggio: Giogiò Franchini
La pecora nera è in origine una pièce teatrale proposta da Clestini a partire dal 2005.
Molti avevano temuto all'annuncio delle riprese che l'artista romano restasse intrappolato nel linguaggio teatrale, che cercasse di riproporre fedelmente quanto realizzato in teatro sul grande schermo, con esiti che si sarebbero potuti rivelare piuttosto infelici.
E invece Celestini non cade nella trappola di fare del teatro al cinema, ma realizza un'opera assolutamente adatta alla sala cinematografica.

Nicola bambino (Luigi Fedele per la prima volta sullo schermo) beve acqua di mare e sgranocchia ragni in improbabili incontri d’amore, incolla pasticche marziane fatte con l’aria balsamica di Marte e si schiaccia in tasca un cremino che non potrà mai competere con quei 10 100 1000 che suo padre d’altronde non gli comprerà mai. Nicola Pecora Nera crede ancora nei miracoli.

E qui nello spazio rassicurante delle visioni, Nicola si incontra di frequente con l’ amico marziano, (Giorgio Tirabassi, spalla perfetta, maschera tenera e dolente finalmente strappata alla fiction e riconsegnata al cinema). Un alter ego capriccioso che fantastica di riviste cinesi per uomini con le donne nude clonate.

Attraversa cancelli e porte sempre chiuse perché lo spazio della follia rimanga separato dal resto, seguendo percorsi già tracciati per lui. Poi il suicidio rituale del Professore contro il muro, ma il muro non si può levare sennò finisce il manicomio. Una suora flatulente (una bravissima Luisa De Santis) lo scorta; paga per lui e prega, e si contano le puzze.
I matti tornano sempre. E allora le categorie si mescolano. Celestini non aggrega caricature. Racconta con disincanto il disagio e la sofferenza mentale con il tocco delicato e lo sguardo
sfocato di un bambino. La società (in)civile impone il proprio ordine ai matti disordinati e li culla in una regressione dolce e avvelenata, ma siamo tutti antieroi senza orologio. Spazi clonati, oggetti clonati, parole clonate. È tutta una formula, un’orazione e lo è per tutti in tutte le istituzioni totali.
Celestini, con Wilma Labate e Ugo Chiti, ha lavorato alla trasposizione della sua opera per il grande schermo come un antropologo che effettua le sue ricerche su campo, ascoltando le vive voci degli internati.

Quello di Celestini è un cinema evocativo, di pensieri scatenati e incatenati che suggeriscono al pubblico, tra gli interstizi, luoghi altri di partecipazione. E si ride anche ogni tanto. Ma si ride amaro.
“Come è possibile, mi domando a volte, camminare sui prati verdi e avere l’animo così triste? Essere immersi nel caldo del sole, mentre tutt’intorno sorride... e avere l’angoscia nel cuore? Lasciate a noi le vostre tristezze! A noi che non possiamo andare nei prati e non vediamo mai il sole". (1985). E poi nero. Titoli di coda e un silenzio assordante.
P.S.: (Uno dei film più meritevoli del 67° Festival del Cinema di Venezia) imperdibile.