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La pelle che abito, la chirurgia estetica, Almodòvar e riflessioni varie

Creato il 27 marzo 2012 da Emeraldforest @EmeraldForest2

La pelle che abito, la chirurgia estetica, Almodòvar e riflessioni varie

Robert (Antonio Banderas) è un chirurgo plastico di grande fama che vive però quasi del tutto solo e solitario nella sua bella villa. Fino a qui nulla di particolarmente strano. A parte il fatto ovviamente che in una delle camere vive una giovane donna in tutina (Elena Anaya), che sembra essere praticamente rinchiusa e sorvegliata tutto il tempo. Da queste premesse partirà per lo spettatore un bel meccanismo ad orologeria, che sarebbe un peccato spoilerare così, in due righe, come succede altrove, anche perché è proprio questo il punto forte del film che per il resto non risulta essere particolarmente entusiasmante o originale a causa di diverse reminescenze da “Legami!” sempre con Banderas.

La pelle che abito, la chirurgia estetica, Almodòvar e riflessioni varie

La questione che davvero emerge con forza (e se ne trova conferma nei precedenti film di Almodòvar) è come la chirurgia estetica abbia a che fare non solo con il corpo, ma soprattutto con l’identità di una persona, influenzandola, e non per forza in senso positivo. Anche se sotto l’apparenza del classico film un po’ anti-scienza con lo scienziato impazzito, credo che questa pellicola possa offrire molti spunti di riflessione interessanti, a parte le classiche questioni almodovariane omosex e transex.

La pelle che abito, la chirurgia estetica, Almodòvar e riflessioni varie

I graffiti con cui Vera ha tappezzato la propria stanza durante la reclusione.

Non calcolando la già inutile e dannosa divisione (quella sì che è roba chirurgica!) che opera la nostra cultura tra fisico e mente, perversa convinzione che colpisce più o meno tutti, Vera/Anaya non sente più la propria pelle e il proprio corpo come propri. Sente solamente di abitarli dopo le numerose operazioni chirurgiche subite, le quali hanno inciso profondamente, oltre che sull’estetica del suo corpo, sulla sua vita e sulla sua identità sessuale e non, rendendole tormentatissime e disperate, come si può ben vedere dagli angosciosi graffiti della sua stanza, nonché da quelle orride sculturine che crea, piene di bende così simili a quelle che porta indosso. Forse che Almodòvar stia ritrattando su quella famosa frase di Agrado in Tutto su mia madre, per la quale ognuna è tanto più autentica quanto più corrisponde all’idea che ha di se stessa?

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Il discorso del trans Agrado (Antonia San Juan) in Tutto su mia madre di Almodovar

E se quell’idea di te stesso/a che hai in qualità di donna/uomo/trans/etc fosse un’idea un po’, scusate l’eufemismo, del cazzo?

O se, peggio ancora, quella cacchio di idea-immagine di perfezione ce l’avesse il chirurgo che ti tiene rinchiuso/a in casa, convinto che con forbici e silicone si possa riottenere autenticamente quello che si vuole, anche qualcuno di perduto, non tenendo minimamente conto (più che dell’anima che è un discorso un po’ paravento secondo me) del fatto che a un certo corpo corrisponde una sua determinata specifica identità?

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Non è detto che l’idea che una donna ha di sé e della femminilità siano oro colato da prendere alla lettera con paturnie e ossessioni che conducono dritte alla chirurgia estetica o alla disperazione quotidiana. Non è detto che siano valide e benefiche soprattutto perché, dato che in genere non si vive in un eremo, è probabile che quell’idea-immagine che si ha sia frutto di una serie di fattori socioculturali che hanno più a che vedere con la logica di mandare avanti l’economia (far vendere creme, cosmetici, abbonamenti sportivi, centri estetici, prodotti dietetici), che con le effettive logiche dell’attrazione nella vita reale… oltretutto questo imbroglio lo si fa cavalcando insicurezze affettivo-relazionali di vario tipo e entità. Forse sarebbe il caso, prima di operarsi/disperarsi per mancata perfezione di informarsi e saperne un po’ di più sulla chirurgia estetica e le sue origini e motivazioni tutt’oggi un bel po’ razziste, discriminatorie e, sì, dai anche un po’ nazi. In Per Piacere di Rossella Chigi spiccano le antiche operazioni per eliminare il “naso ebraico”, le “orecchie all’irlandese”, nonché quelle attuali per non avere più occhi all’orientale e naso afro. Poi, tra l’altro, perché non farsi anche un giro tra i perché della complessità del corpo femminile con L’animale donna di Desmond Morris per capirne un po’ di più a mente fredda?

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