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[I bisogni] restano sempre lontani, poiché il suo bisogno di continuare li proietterà sempre avanti nel futuro: quelli non li potrà mai avere, ma quando vada a loro essi s’allontaneranno: poiché egli rincorrerebbe la propria ombra.
Michelstaedter parlava di un ‘dio del piacere’, o della philopsichìa, sarebbe a dire dell’amore smisurato per la vita. È un dio questo che sa tendere gli agguati, che trascina le sue vittime da una promessa all’altra, senza realizzarne mai; e in questo modo si sperdono tutte le loro energie.
Nella nebbia indifferente delle cose il dio fa brillare la cosa che all’organismo è utile; e l’organismo vi contende come in quella avesse a saziar tutta la sua fame, come quella gli dovesse dar tutta la vita: l’assoluta persuasione; ma il dio sapiente spegne la luce quando l’abuso toglierebbe l’uso; e l’animale sazio solo in riguardo a quella cosa, si volge dove gli appaia un’altra luce che il dio benevolo gli accenda; ed a questa contende con tutta la sua speranza; finché ancora la luce si spenga per riaccendersi in un altro punto[…]; e in quella luce brilla tutto il futuro dell’animale[…]; il saggio dio lo conduce attraverso l’oscurità delle cose con la sua scia luminosa perch’egli possa continuare e non esser persuaso mai, – finché un inciampo non faccia cessare il triste gioco.
La “rettorica” è tutto ciò che Heidegger di lì a poco avrebbe compreso nella sua definizione di “vita inautentica”, dove i rapporti interumani si riducono alla “chiacchiera”, e ogni azione ogni parola sono assorbiti dal “si fa” e “si dice”. Il mondo dell’inganno e delle false apparenze, del consumo e dell’avere a tutti i costi. Ed è “rettorica” appunto perché sa usare tutti i mezzi di convincimento più appropriati; dice e non dice nello stesso tempo, sa sedurre e sa ammaliare, sa promettere il possesso.
Così mentre il possesso della cosa gli sfugge, gli sfugge la padronanza della propria vita, che non può affermarsi infinitamente, ma solo in rapporto alla cerchia finita; che non può riposare nell’attualità, ma è trascinata dal tempo ad affermarsi nei limiti dati sempre avanti, né può per più girare, prender più delle cose e giunger nel possesso di queste al possesso attuale di sé: alla persuasione. Così adulandolo il dio della philopsichìa si prende gioco di lui.
Michelstaedter scriveva tutto questo mentre la luce intorno a lui si offuscava; mentre il mondo, e con il mondo anche la sua Gorizia, si apprestava a entrare in guerra: una guerra fino ad allora mai vista, che avrebbe cambiato per sempre le sorti degli uomini, e il loro modo di vedere; che li avrebbe spossessati della loro vita. Michelstaedter, ebreo, si uccise con un colpo di pistola il 17 ottobre del 1910. Dopo trent’anni sua sorella Elda, sua madre Emma e la sua vecchia fidanzata Argia Cassini morirono dentro una camera a gas. Le ragioni che muovono il mondo molto spesso ci sovrastano, e decidono anche dei nostri destini. Il mondo tende a spossessarci di noi stessi. Si dovrebbe possedere la coscienza delle nostre vite individuali, almeno; ribadire con vigore ogni nostra decisione, essere liberi, persuasi, di noi stessi e delle nostre forze. Prima che il mondo ci sottragga anche quest’ultima ricchezza, è necessario riscoprire il tempo – un tempo nuovo, che ritracci il suo percorso senza più lasciarci indietro; un tempo che ricominci dall’attimo, quest’attimo, e seppellisca ogni ingannevole attesa nella concretezza straordinaria delle nostre vite.
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