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La persuasione e la "rettorica"

Creato il 12 febbraio 2013 da Giuseppeg
La tecnologia ha gettato un ponte tra noi e il futuro, e nello stesso tempo lo ha distrutto. Siamo abituati a pensare al progresso come a un processo lineare, progressivo appunto, che partendo da una data imprecisata si proietta sempre avanti nel futuro, come una retta continua tracciata nel tempo. Ed è proprio sulla nostra percezione temporale che si appunta innanzitutto quest’idea di progresso: un progresso ineluttabile e fatale, che procede in una sola direzione e che non ama ripercorrere i suoi passi. Siamo dunque ben lontani da un’immagine circolare del tempo, più legata alle stagioni o a ricorrenze naturali; la civiltà ci ha portato ad adottare parametri totalmente differenti. Lo sviluppo presuppone quasi sempre il cambiamento, che a sua volta non può essere inteso che come effettivo e concreto miglioramento: solo allora il cambiamento è possibile, e soprattutto auspicabile. In questo modo, allo sviluppo è sempre unita una potente aspettativa, che di giorno in giorno spinge le nostre energie verso ciò che deve ancora venire, e che il progresso a suo modo promette, anche se poi raramente mantiene. Noi siamo continuamente orientati verso il futuro; lo sono le nostre azioni come i nostri pensieri, i nostri discorsi e le nostre paure. La tecnologia ci ha spianato la strada: essa stessa, nel suo modo di manifestarsi, negli slogan, nell’impatto con le nostre vite, si richiama ad un costante avvenirismo – vedi “l’auto del futuro”, per esempio; o la casa, il detersivo, la TV. Il passato non ha più alcuna importanza, anzi è un qualcosa da cui ci si deve in qualche modo discolpare; una specie di senso di colpa, una sconfitta da archiviare in tutta fretta. Ancora una volta, sono i media a ricordarcelo: quante volte un prodotto dell’ultima generazione acquisisce valore soprattutto dal confronto con il suo predecessore? “Basta coi vecchi sistemi…”; oppure: “Ancora alle prese con la vecchia auto?”, ecc. Il passato è quindi delegittimato. Al suo posto soltanto il futuro. Ma è un futuro sempre più compresso, quello che ci propone la nuova tecnologia. Le innovazioni si accatastano; non si fa in tempo ad adattarsi a sufficienza. Le proposte, i cambiamenti si susseguono, e non c’è modo di restare al passo. Il presente ci è sempre più negato, e siamo così costretti a proiettarci più lontani nel futuro. Il traguardo ci sfugge di mano, e con esso il senso che possiamo dare al nostro tempo; siamo continuamente rinviati al meglio, assicurati sulla nostra definitiva felicità. Nel frattempo l’obiettivo si sposta, e la vittoria è rimandata. Nella linea continua del tempo ha luogo allora un singolare ‘strozzamento’, una saturazione di progetti e di intenzioni che non arriveranno mai alla meta. Siamo come automobilisti in panne, fermi in mezzo a un’autostrada affollatissima, dove quello che conta è andare, proseguire, e non c’è posto per sostare. In questo stato di continua frustrazione e debolezza, quindi, è impossibile scegliere: posti di fronte a delle false alternative, non ci resta che accettare. Da individui a consumatori: e il cerchio è chiuso. Non realizziamo più ciò di cui abbiamo bisogno, ma abbiamo un bisogno disperato di tutto quello che ci viene propinato. E sono questi bisogni – inoculati, indotti – a trascinarci avanti e indietro come pesci appesi all’amo, insoddisfatti, inappagabili, scontenti. Intanto però dimentichiamo noi stessi; dimentichiamo la vita, la morte, il presente e l’attimo, l’unico istante che può realizzarci. La tecnologia è divenuta la più grande operazione di distrazione di massa che la storia ricordi. Lo aveva già intuito a suo tempo un filosofo sensibile ed acuto come Carlo Michelstaedter, che nella sua opera principale, La persuasione e la rettorica, denunciava apertamente quest’aspetto esistenziale della nascente civiltà capitalistica. È proprio lui a mettere in luce l’illusorietà dei singoli bisogni, interpretati come tappe verso il nulla:
[I bisogni] restano sempre lontani, poiché il suo bisogno di continuare li proietterà sempre avanti nel futuro: quelli non li potrà mai avere, ma quando vada a loro essi s’allontaneranno: poiché egli rincorrerebbe la propria ombra.
Michelstaedter parlava di un ‘dio del piacere’, o della philopsichìa, sarebbe a dire dell’amore smisurato per la vita. È un dio questo che sa tendere gli agguati, che trascina le sue vittime da una promessa all’altra, senza realizzarne mai; e in questo modo si sperdono tutte le loro energie.
Nella nebbia indifferente delle cose il dio fa brillare la cosa che all’organismo è utile; e l’organismo vi contende come in quella avesse a saziar tutta la sua fame, come quella gli dovesse dar tutta la vita: l’assoluta persuasione; ma il dio sapiente spegne la luce quando l’abuso toglierebbe l’uso; e l’animale sazio solo in riguardo a quella cosa, si volge dove gli appaia un’altra luce che il dio benevolo gli accenda; ed a questa contende con tutta la sua speranza; finché ancora la luce si spenga per riaccendersi in un altro punto[…]; e in quella luce brilla tutto il futuro dell’animale[…]; il saggio dio lo conduce attraverso l’oscurità delle cose con la sua scia luminosa perch’egli possa continuare e non esser persuaso mai, – finché un inciampo non faccia cessare il triste gioco.
La “rettorica” è tutto ciò che Heidegger di lì a poco avrebbe compreso nella sua definizione di “vita inautentica”, dove i rapporti interumani si riducono alla “chiacchiera”, e ogni azione ogni parola sono assorbiti dal “si fa” e “si dice”.  Il mondo dell’inganno e delle false apparenze, del consumo e dell’avere a tutti i costi. Ed è “rettorica” appunto perché sa usare tutti i mezzi di convincimento più appropriati; dice e non dice nello stesso tempo, sa sedurre e sa ammaliare, sa promettere il possesso.
Così mentre il possesso della cosa gli sfugge, gli sfugge la padronanza della propria vita, che non può affermarsi infinitamente, ma solo in rapporto alla cerchia finita; che non può riposare nell’attualità, ma è trascinata dal tempo ad affermarsi nei limiti dati sempre avanti, né può per più girare, prender più delle cose e giunger nel possesso di queste al possesso attuale di sé: alla persuasione. Così adulandolo il dio della philopsichìa si prende gioco di lui.
Michelstaedter scriveva tutto questo mentre la luce intorno a lui si offuscava; mentre il mondo, e con il mondo anche la sua Gorizia, si apprestava a entrare in guerra: una guerra fino ad allora mai vista, che avrebbe cambiato per sempre le sorti degli uomini, e il loro modo di vedere; che li avrebbe spossessati della loro vita. Michelstaedter, ebreo, si uccise con un colpo di pistola il 17 ottobre del 1910. Dopo trent’anni sua sorella Elda, sua madre Emma e la sua vecchia fidanzata Argia Cassini morirono dentro una camera a gas. Le ragioni che muovono il mondo molto spesso ci sovrastano, e decidono anche dei nostri destini. Il mondo tende a spossessarci di noi stessi. Si dovrebbe possedere la coscienza delle nostre vite individuali, almeno; ribadire con vigore ogni nostra decisione, essere liberi, persuasi, di noi stessi e delle nostre forze. Prima che il mondo ci sottragga anche quest’ultima ricchezza, è necessario riscoprire il tempo – un tempo nuovo, che ritracci il suo percorso senza più lasciarci indietro; un tempo che ricominci dall’attimo, quest’attimo, e seppellisca ogni ingannevole attesa nella concretezza straordinaria delle nostre vite.

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