Cesare Bartolena, Piazza dei Quattro Mori a Livorno
Confrontando il percorso fatto e il momento di oggi, ti accorgi che l'uno somiglia più ad una strada, a tratti polverosa, forse, faticosa, ombreggiata, che si snoda tra pianura e montagna, che costeggia laghi e boschi, attraversa squallide aree industriali, intasata di traffico da ore di punta o solitaria e quasi deserta.
Questo momento, invece, potrebbe essere più una piazza, un luogo in cui ci si ferma e ci si incontra: tavolini all'aperto di un bar, a primavera; quattro aiuole e una fontanella, panchine da cui le mamme guardano giocare i figli; ombra e sole, voci e risate, saluti tra amici e semplici conoscenti, il trascorrere, lontano, del tempo, scandito dalla luce che cambia; negozi e vetrine, passeggio e corteggiamento, locandine di un cinema, musica dalle auto in sosta.
Il tempo presente sembra non scorrere: è il tempo dell'incontro e dell'accoglienza, il tempo in cui ci si siede in un'attesa gradevole e sospesa, aspettando che qualcuno che si ama molto arrivi.
E' certo che arriverà, ma non si sa quando. Eppure questa attesa è già una parte di felicità.
E' una soddisfazione sottintesa e leggera, gradevolezza della percezione di sé, tempo guadagnato per pensare, per ricordare, per lasciarsi anche andare all'onda del pensiero stesso.
La piazza di un tempo, la piazza dell'oggi.
Un luogo in cui si arriva con un senso di poter dire: "finalmente!".
Un luogo da cui ripartire, forse, ma in un tempo indeterminato, quando vorrai, se vorrai.
Con la serena certezza che nessuno ti costringerà ad andare, se non vuoi, nessuno ti proporrà marce forzate.
E che qualcuno, forse, arriverà dall'altro lato, col sole alle spalle; forse non lo riconosci, ma ti porgerà un gelato.