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La piccola strana susie collins

Da Ultimafila22

di Giacomo Pagone

 

Steve pensava di essere una caffettiera. Non ci sarebbe stato nulla di strano, diceva la sua maestra, se non fosse stato per il piccolo particolare che Steve assomigliava più ad una gru che ad una caffettiera.

La città di Strangeville era un piccolo centro popolato da persone fuori dal comune. Per fare un esempio, Joe, il barbiere, credeva di essere un elicottero. Inutile dire che con quel suo fastidioso roteare intorno ai clienti del proprio locale, Joe avesse tagliato più orecchie che capelli nell’arco della sua carriera. Maggie, la postina, credeva invece di essere un cane, motivo per cui appena vedeva la sua immagine riflessa su uno specchio, una vetrina o sul finestrino di un’auto, Maggie iniziava a ringhiare ed abbaiarsi contro, in quanto, si sa, ai cani proprio non piacciono i postini!

Il sindaco di Strangeville, il signor McArtur, da piccolo sognava di diventare un pianoforte, ma è risaputo che, crescendo, molto spesso le ambizioni fanciullesche raramente restano uguali, motivo per cui, dopo la maturità, il sindaco McArtur aveva voluto diventare una statua. E’ inutile, ora, che io stia qui ad elencarvi i problemi burocratici e amministrativi cui andò incontro la città di Strangeville con un sindaco che credeva d’essere una statua e la giunta comunale che dormiva durante le sedute, dal momento che tutti gli assessori, una volta iniziato il proprio mandato, avevano  voluto essere dei ghiri.

Un altro grave problema era che LarryLa Fontaine, l’unico poliziotto della città, era anche un abile ladro, per cui, capirete anche voi, che non faceva in tempo ad arrestarsi che subito commetteva un nuovo furto!

In questa assurda cittadina viveva una piccola e tenera bambina di sette anni tre mesi e diciotto giorni, la piccola Susie Collins. A differenza dei suoi genitori, i quali credevano di essere una poltrona, la madre, ed un televisore, il padre -motivo per cui i due passavano intere giornate l’una di fronte all’altro – la piccola Susie voleva essere soltanto sé stessa. Quando la notizia fece il giro della città, annunciata a squarciagola dal padre-televisore della bambina, tutti gli abitanti di Strangeville ne furono terribilmente inorriditi.

“La piccola è davvero strana” e “Bisognerebbe farla vedere dal dottore” erano le frasi più ripetute al passaggio della piccola Susie Collins. Lei, tuttavia, non sembrava dare molta importanza ai perfidi commenti dei concittadini, proseguiva dritta per la sua strada a testa alta, ripetendosi sempre lo stesso mantra: io sono me stessa e mi sta bene!

La notizia, però, giunse sino agli uffici comunali provocando un tale rumore da svegliare l’intera giunta, la quale, approvò rapidamente, prima di riaddormentarsi, una norma con cui esiliavano la piccola bimba dalla loro città.

Susie dapprima accolse la notizia, annunciatale dal padre durante il notiziario della sera, con fiumi di lacrime. Quando, però, dopo una lunga nottata densa di pensieri razionali, accettò la decisione comunale, capì che quella era la scelta migliore da fare: avrebbe girato il mondo restando sempre quella che era. Così, zaino in spalla, la piccola Susie Collins raggiunse la fermata dell’autobus poco fuori i limiti della città, e sedette su un grande masso muscoso in attesa dell’arrivo dell’autobus rosso fiammante che le avrebbe aperto le porte del mondo.

Una volta arrivata in città, la piccola si mise alla ricerca della casa di una sua lontana parente che l’avrebbe ospitata durante il suo soggiorno. Camminando per strada Susie non riusciva a non fissare la gente che le veniva incontro. Come erano diversi dagli abitanti della sua piccola cittadina: nessuno di loro si comportava in maniera assurda, nessuno ringhiava contro le vetrine, dormiva o rimaneva immobile sul ciglio della strada.

Quando raggiunse l’indirizzo che si era appuntato su un piccolo foglio strappato dalla pagina del Corriere di Strangeville, Susie si trovò di fronte ad uno spettacolo a dir poco singolare: tutte le ville della strada si assomigliavano, tutte avevano un giardino perfettamente curato, delle statuette di nani colorati e dei giocattoli abbandonati sul prato.

Dopo aver suonato il campanello, attese qualche secondo sino a quando la porta si aprì mettendo, quindi, di fronte alla piccola Susie una donna perfettamente truccata, con le unghie magistralmente curate e un candido sorriso smagliante.

“Tu devi essere la piccola Susie” disse con tono amabile la signora, “entra tesoro, stavamo giusto sedendoci a tavola. Io sono la zia Mary, vieni cara ti presento il resto della famiglia”

Detto questo si incamminò lasciandosi alle spalle la piccola ospite che, però, subito si affrettò a seguire, a piccoli passi, l’ampia falcata delle gambe della padrona di casa. Giunte in cucina, Susie vide schierata l’intera famiglia: lo zio Henry e i cugini Bert e Bart, fratelli gemelli omozigoti, i quali erano vestiti uguali e che, stimò Susie, dovevano avere più o meno la sua stessa età.

Dopo cena i gemelli invitarono la piccola Susie ad unirsi a loro e ai loro amici per giocare a nascondino giù in strada. Susie Collins non aveva mai giocato a nascondino, ma una volta che le furono spiegate le regole si convinse che quel gioco non era poi così difficile. C’era però qualcosa di strano in tutti quei bambini. All’improvviso capì di che cosa si trattava: tutti avevano al poso uno strano braccialetto largo un paio di centimetri che si illuminava ad ogni movimento del braccio. Quando chiese a Bert, o a Bart, non capì a quale dei due gemelli avesse posto la domanda, perché tutti avessero al polso quello strano bracciale, si sentì rispondere:

“Come perché? Vuoi forse dirmi che tu non ne hai uno uguale?”

Al silenzio imbarazzato della piccola Susie, il bambino rispose con un urlo di disapprovazione. In un istante tutti i loro compagni di gioco erano intorno alla bimba a guardare inorriditi il polso nudo.

“Perché tu non hai il braccialetto di Capitan Fulmine?”

“C-chi è capitan fulmine?” chiese intimorita la piccola Susie. A quelle parole due bambine non ressero il colpo e persero i sensi, e, mentre le amiche cercavano di farle rinvenire, gli altri bambini le chiesero in coro:

“Non sai chi è Capitan Fulmine? Dici sul serio?”

Susie Collins nel corso della sua breve vita non si era mai sentita tanto in imbarazzo come in quel momento. Quando i bambini capirono che la piccola non scherzava, la guardarono con disprezzo, quindi le voltarono le spalle e tornarono a giocare insieme escludendola.

“Non posso credere che non conosca Capitan Fulmine! Tutti conoscono Capitan Fulmine!!!” stava dicendo un bambino, sconsolato, mentre un suo amichetto gli dava delle amichevoli pacche sulla spalla per dimostrargli il suo conforto.

Il giorno dopo, durante il suo primo giorno di scuola, la situazione peggiorò ulteriormente. Tutta la scuola era stata messa a conoscenza del fatto che la nuova arrivata non solo non possedeva un braccialetto di Capitan Fulmine, ma, addirittura, non sapeva nemmeno chi fosse il coraggioso eroe dei fumetti, dei cartoni animati e dei film, che tutti i bambini adoravano. In classe tutti i suoi nuovi compagni avevano spostato i banchi, creando una voragine intorno al banchetto della piccola Susie. Gli stessi professori non poterono non guardarla a bocca aperta e a chiederle a intervalli fissi di tempo se davvero era certa di non conoscere Capitan Fulmine. Susie tratteneva a stento le lacrime, stringendo forte i pugni sotto il banco con sopra incisa la scritta “Viva Capitan Fulmine”. Quando, d’un tratto, anche il preside piombò in classe, richiamato dalle voci di corridoio, per chiedere notizie riguardo al pettegolezzo di giornata, Susie non si trattenne, lanciò un urlo di disperazione e corse fuori dalla scuola. Per strada Susie guardò attentamente i passanti che solo il giorno prima le erano apparsi incredibilmente normali rispetto ai suoi vecchi concittadini: tutti erano vestiti uguali, le stesse marche, lo stesso stile, perfino, a volte, gli stessi indumenti, tutti sembravano immersi nei propri pensieri, chi non lo era aveva un cellulare appiccicato all’orecchio in cui gridava, parlava, rideva o si litigava. Susie capì che si era sbagliata, nessuno era normale, tutti erano uguali, facevano le stesse cose, vestivano alla stessa maniera.

Quando, di corsa, entrò a casa di zia Mary, trovò questa seduta a sorseggiare un caffè in compagnia di tre amiche, incredibilmente simili tra loro: tutte avevano un sorriso bianco e smagliante, le unghie curate e il trucco impeccabile. Zia Mary non si scompose nel vederla tornare a casa a quell’ora, semplicemente si limitò a dirle:

“Oh tesoro, parlavamo proprio di te. Per favore, cara, dì alle mie amiche come mai non conosci Capitan Fulmine”

Per Susie fu troppo. Afferrò il suo piccolo zainetto, aprì la porta e corse in strada senza mai fermarsi se non prima di aver raggiunto la fermata dell’autobus.

Una volta fatto ritorno a Strangeville, Susie si presentò nel palazzo del Comune chiedendo che fosse annullato il suo esilio. Gli assessori le concessero di poter restare in città a patto che ella non li interrompesse più durante il loro sonnellino.

La piccola fu, quindi, contentissima di tornare a casa, e fu lieta, quella sera e tutte le successive, di sedere in grembo alla madre-poltrona per ascoltare le notizie del padre-televisore.

Susie Collins di sette anni tre mesi e venti giorni, aveva, infatti, capito che preferiva essere strana a modo suo a Strangeville, piuttosto che essere uguale a tutti gli altri nel resto del mondo.


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