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La pirateria audiovisiva al tempo degli store digitali.

Creato il 13 maggio 2014 da Egosistema

È durata una manciata di ore l’avventura di Time4Popcorn, uno degli innumerevoli cloni di Popcorn Time, su Play Store e la notizia non è tanto che Google se ne sia accorta e l’abbia rimosso, quanto che una manciata di sviluppatori anonimi sparsi per il mondo, come amano firmarsi, sia riuscita a caricare l’app sullo store ufficiale di Mountain View senza dover renderne conto pressoché a nessuno.

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In realtà, se negli ultimi tempi la stampa specializzata non avesse dato ampio risalto alla piattaforma di streaming pirata, considerata come il sacro graal del digital delivery illegale per l’estrema semplicità d’uso e fruizione dei contenuti, probabilmente Time4Popcorn sarebbe rimasta solo l’ennesima app di confine (forse anche oltre confine) rintracciabile su Play Store, che, a dispetto della seriosa concorrenza – rispettosa del diritto d’autore – ha sempre ambito al ruolo di calderone onnicomprensivo; un pot-pourri di sacro e profano, l’alfa e omega dei cosiddetti walled garden.

Per un Time4Popcorn che viene punito, infatti, restano in piedi decine di servizi analoghi, in alcuni casi identici, in qualche manciata di occasioni addirittura a pagamento, tutti in concorrenza diretta con quelli ufficiali e – tutti – rigorosamente illegali, quasi che Google fosse davvero poco interessata a quel misero 30% di commissione su ogni app, brano o film che possa scaturire dal commercio sul proprio store, che primeggia sempre in termini di utenti, ma continua a languire quando si tirano due conti.

“Perché Google non è il male”, diranno i suoi supporters, “e se ne fotte del diritto d’autore, anzi, è suo l’impegno di abbattere ogni barriera per indicizzare là, dove nessun motore di ricerca è mai giunto prima”.
Al – giusto – prezzo di qualche milione e mezzo di nuovi account attivati al giorno.

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Se Atene piange, però, Sparta non ride.
Laddove la violazione è palese ed in qualche modo tollerata dalle spalle grosse e dalla longa mano di Mountain View, che permette nel suo recinto il bello ed il cattivo tempo di internet, la vita non sembra del tutto idilliaca nemmeno nelle terre di Cupertino dove le forche caudine dell’AppStore si rivelano senz’altro più efficaci del blando steccato di Google, ma non così efficaci da bandire del tutto la circolazione illecita dei contenuti sugli immacolati e blindati iDevice.

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Senza scomodare il Jailbreak, sull’AppStore la minaccia si cela spesso dietro innocui browser che promettono di scaricare i contenuti dai siti più disparati.
Qualcuno di essi riesce addirittura a salvarli nel Rullino Fotografico, molti altri debbono accontentarsi dello spazio concesso dall’app stessa.

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Non siamo ai livelli di sfacciataggine di Google Play dove basta digitare semplici parole chiave, come streaming o torrent, per essere letteralmente sommersi da app dalla legalità quantomeno dubbia, ma sapendo dove cercare è ancora possibile rintracciare qualche sacca di resistenza nei vicoli adiacenti alle strade presidiate da Cupertino.

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Se, oltre a rappresentare un vantaggio per i consumatori dato dall’indubbia comodità che viene dal cercare i contenuti in un luogo centralizzato, qualcuno aveva intravisto nei negozi digitali la possibilità di porre un freno alla pirateria, molto probabilmente le sue speranze sono destinate ad essere deluse dall’attuale realtà dei fatti.

Che sia per vera e propria sbadataggine o risponda ad una spregiudicata strategia per accalappiare le utenze, confrontarsi con l’attuale modello pirata è come voler fermare, è proprio il caso di dire, un torrente in piena e, tuttavia, raccogliere l’acqua in un catino potrebbe diventare anche l’occasione per tutti quegli editori che avranno voglia di osservare da un punto privilegiato, quali specie vi sguazzano e perché per rispondere con contenuti e servizi maggiormente al passo coi tempi e più in linea con i gusti e – soprattutto – le tasche dei consumatori.


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