Giuseppe Nibali è nato a Catania nel 1991. Si è laureato in Lettere Moderne presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Ha collaborato con il settimanale “Prospettive” e il bisettimanale “Il mercatino”; con il mensile dell’associazione Mettiamoci in gioco e con quello dell’associazione etnea di studi storico-filosofici, rispettivamente“Prospettive giovanili” e “Timeo”; Nel 2012 è entrato a far parte della redazione del quindicinale “Avviso ai naviganti”, e ha iniziato a collaborare con la pagina culturale de La Sicilia. Nel 2013 ha scritto e diretto un programma radiofonico per l’emittente siciliana “Radio voce della Speranza”, intitolato “SpesPublica”. Dal 2014 collabora con il blog di poesia “ParcoPoesia” per cui gestisce una rubrica intitolata “Dalla Terra impareggiabile” e dedicata ai poeti del Sud. Nel 2014 è stato l’ideatore e il Caporedattore della rivista poetica L’Antenna, creata insieme a Valerio Grutt e al Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna. Sempre dal 2014 fa parte della redazione di Clandestinozoomdiretto da Davide Rondoni. Collabora dal 2011 con il “Centro di poesia Contemporanea dell’Università di Bologna”. Nel giugno 2013, con la casa editrice “Affinità elettive” di Ancona pubblica la sua opera prima: “Come dio su tre croci”, questa ottiene il primo premio al concorso nazionale di poesia “Serrapetrona – le stanze del tempo” promosso dalla fondazione Claudi e una Menzione d’onore al premio “InediTO – Premio colline di Torino”, nel 2013 e nel 2014 risulta vincitrice del premio nazionale Elena Violani Landi per la sezione Opera Prima. Nel 2014 suoi inediti vengono inseriti nell’ Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea edito da Raffaelli Editore, con una nota introduttiva di Davide Rondoni. Sue poesie appaiono nell’antologia poetica “100.000 poeti per il cambiamento – Bologna. I Movimento” edita da “Qudulibri” (2013), nell’antologia “Comunità nomadi” edita da “DeComporre Edizioni” (2014), nell’antologia Oblò, edita EscaMontage (2014).
Inediti:
Ti seguirà il male dietro l’edera
E di sopra, sul balcone in lamiera
Che usi per rifugio. Non è il tempo
Delle corse alla ringhiera mentre lo sfondo
Si disossa, e passa dall’arco delle vie
Per la montagna.
È morto anche il vecchio prete di Ragalna
Per la fine del suo giorno, una domenica
Nella chiesa che segna il confine delle case
Dal giallo dei granai. Chissà che luce
Carmela lì dai tetti, dove il sole si
inurba coi pastori fra i negozi
E che fatica morire anche tu sulla chiesa
Nel barrito alto della fiera.
Qui nel lontano la nebbia muove la pianura
Sopra i ponti, dalla miseria di colline
Altre volte fuori alla finestra
Si alza lo scheletro di un albero.
*
Tornate. Tornate a essere uomini,
qui che ancora si morde, si muore
dalla strada che porta alla marina.
Ancora ci si assale. In mezzo
alle case di cemento, nello scheletro
enorme delle vie dove donne
vere come fotografie si consumano
a passo a passo sui giorni stretti
in un pugno di vulcano.
Ma non crollano altre aspettazioni
dai palazzi, non si incendiano più
le ragazze nei bagni pubblici.
Prende tempo, l’umano
con le spalle ai muri sbrecciati:
Arriveranno in Bus, fermeranno
in tutte le panchine, le donne tristi
dell’autostrada, come a legare
in un lampo natura e cemento.
Ancora ci si assale, lo gridano i suicidi:
Non abbiamo voluto nessuna strada
né la grigia del lavoro e neanche l’altra
quella eterna di panifici, di morti coperti
dalla sciara dei tralicci.
Ma spezziamo il domino,
questo gange estremo dell’uomo
contro l’uomo.
*
Forse meno della vita Di tutta la mia Anna
vestitacoi Gioielli dell’infanzia, m’interessa
una svista sul cemento, iltuonare dal giardino
quidavanti ché c’è un merlo alla ringhiera, forse due,
o te, o me a rinunciare col becco a tutto il futuro.
Sul muro a un passo lì dalla catastrofe si svolge
all’occasione unafontana.
E ci beve e non sente tutta la rovina. Che violenza
l’avere -come noi- solo piccole ali e scendere i pozzi
per risalirli.
Poi il merlo ritorna, nel neo della sera, magari
– mi dico – diretto alla Maceria e col becco, ma
spaventa e gonfia e scappa via.
***
da Come dio su tre croci (Edizioni AE, 2013)
Faccia chiusa
e lo strascico vedovale
che mi regalava il sole e la chiesa
nei giorni che mancavano al tuo nome.
Gli occhiali della resa
inforcati sul mutismo
sul Cristo, il bambinello
il fango crollato sul letto.
Un bacio un vento
una parola sola ancora
cruenta sul ventre cercato come il seno
dal tuo figlio.
Poi vera come ai primordi a palmo,
a palmo risalisti i mesi
i rosari e i comò di gioielli
Su tutto si stenda La materna croce
e bene in vista
*
Ti vedo in vita
in vitreo andare in cerca
sulle basole sconnesse
che dall’arsura del paese vanno
ai monti incanutiti
Un’insegna introduce i ricordi
la ruggine dei fratelli sui muri diroccati
dalla chiesa uno sbuffo
chiuso in una parola da rosario
“ora pro nobis” – il tuo cattolico viandare –
E donaci un vangelo crudo:
“a cu da – a cu leva ludistinu
enun ci pari mai lunostrudunu.”
*
Non di te, mai di te
crocefisso che squadri
noi penosi dietro ai muri
tutti sporchi di pensieri
senza spalle dove appendere
quelle voci, quel colore
di gesso.
Siamo noi adesso
a chiodarci i polsi
alle croci – noi ladroni
con la noia domenicale
che copre la televisione
spegne l’urlo al Golgota
e non vogliamo deposizioni.