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La poesia giapponese: generalità

Da Orienta_menti

Nelle poesie di epoca arcaica si ritrova prevalentemente una struttura di versi irregolare, cioè di un numero vario di sillabe, ma queste irregolarità presto scomparvero. Lo “standard” poetico fu dunque costituito da coppie di versi di 5 e 7 sillabe, il cui alternarsi era indeterminato e poteva raggiungere anche alcune decine; alla fine si aggiungeva sempre, in conclusione, un verso di 7 sillabe, secondo lo schema: 5-7-5-7…. 5-7-7. Tale schema poetico era denominato naga-uta, o chōka (poesia lunga).

Su questo tipo si impose in seguito quello più corto, la mijitaka-uta, o tanka (poesia breve), conosciuta anche come uta (poesia) o con il più famoso termine di “waka” (和歌), la poesia giapponese per antonomasia, che dominerà il panorama poetico per diversi secoli.

Il waka è composto da un totale fisso di 31 sillabe, secondo lo schema: 5-7-5-7-7.

Altri tipi poetici rappresentati, anche se in misura minore, nell’antica letteratura, sono la sedōka (“sedō” – ripetizione della prima frase; “ka” – poesia) e la bussoku-seki no uta (poesia della pietra dei piedi di Buddha).

La sedōka, detta anche futa-moto no uta (poesia a due basi) conta 38 sillabe ripartite in sei versi (5-7-7, 5-7-7), con due emistichi (kata-uta) separati da una cesura nel mezzo.

La bussoku – seki no uta è anch’essa composta da 38 sillabe in sei versi, ma secondo lo schema 5-7-5-7-7-7. Il nome deriva dalle presunte orme dei piedi del Buddha scolpite su una pietra nello Yakushiji, un tempio di Nara, su cui sarebbero state incise varie poesie di questo tipo con caratteri cinesi, di contenuto religioso, che presentavano un’allusione all’orma dei piedi.

È riscontrabile una presenza nettamente superiore del tanka rispetto agli altri tipi poetici nelle principali opere della letteratura classica giapponese, tra cui il Manyōshū (万葉集), la più antica raccolta poetica giapponese (epoca Nara), e il Kokinshū (古今集), a testimonianza della preferenza che i poeti accordavano a questa particolare tipologia.

Con il suo ristretto schema sillabico, il tanka limitava enormemente lo spazio per versificare a disposizione del poeta, rendendo più arduo il suo compito, ma allo stesso tempo ciò consentiva al poeta di affinare la propria abilità espressiva; nel ristretto spazio delle 31 sillabe egli infatti era costretto ad esprimere i propri sentimenti nella maniera più rarefatta possibile, adombrando più che esternando del tutto le proprie sensazioni. Da qui l’effetto, tipico della poesia giapponese, di una ispirazione improvvisa, un’emozione istantanea, di un sentimento appena abbozzato, del non-detto, dell’incompiuto, quasi di un ingenuo infantilismo. L’immagine è quella di una pennellata calligrafica eseguita di getto. Pochi, rapidi ma abili tratti di pennello, volti ad evocare nell’animo del lettore il maggior numero di contenuti possibili, tramite la sintesi del simbolo. Tale principio verrà portato alle estreme conseguenze nei secoli XVII e XVIII con la forma poetica detta haiku (o haikai), tipo di poesia di sole 17 sillabe (5-7-5), massima espressione della capacità di sintesi di immagini e sentimenti raggiunta dall’arte poetica.

Nella poesia giapponese sono presenti diversi artifici retorici, il cui utilizzo è finalizzato a creare quel senso di molteplicità di immagini e significati, facendo così fronte al ristretto schema sillabico,  grazie ad ambiguità semantiche e fonetiche di vario tipo.

Le principali figure retoriche, alcune delle quali già ampiamente descritte nell’introduzione kanajō del Kokinshū (古今集), sono le seguenti:

-          Makurakotoba 枕詞, o “parola – cuscino”, è una specie di epiteto, in genere di cinque sillabe, che introduce determinati termini o locuzioni. In origine probabilmente una formula magico-rituale, che aveva a che fare con la credenza sul potere della parola, si è poi trasformato in artificio retorico.

-          Jokotoba 序詞, o semplicemente jo (“introduzione”), ha funzione, analogamente a makurakotoba, di introdurre le espressioni principali. Mentre il makurakotoba è una formula fissa, il jo viene creato liberamente sia nel contenuto sia nella lunghezza che può superare le cinque sillabe.

-          Kakekotoba 掛詞, è una parola dal doppio significato. A causa della semplicità del sistema fonetico, la lingua giapponese è ricca di parole omofone di cui il kakekotoba si avvale per ampliare la carica dell’espressione poetica.

-          Engo 縁語, si tratta di parole correlate semanticamente fra loro, inserite nella poesia anche con l’uso del kakekotoba.

-          Mitate 見立て, sovrapposizione di due immagini visive, consiste nell’afferrare un oggetto o fenomeno come un altro.

-          Honkadori 本歌取り, procedimento compositivo che prevede la creazione di una nuova lirica utilizzando parole di una poesia precedente, secondo il principio del conferire al componimento suggestioni ed echi appartenenti a riconosciuti capolavori del passato, visti come modelli da cui trarre materia ed ispirazione.

-          Utamakura 歌枕, il termine è in riferimento alle località celebri (meisho 名所) citate nei versi con particolari connotazioni, associate a determinate immagini atte ad evocare situazioni poetiche, emotive, stagionali, via via elaborate e consolidate, dunque rese “codificate”, dai precedenti lirici.

La poesia giapponese: generalità

Yosa Buson, haiku

[Testi di riferimento: A. Boscaro (a cura di), Letteratura giapponese I, Enaudi 2005;

M. Muccioli, La letteratura giapponese/ La letteratura coreana, Sansoni /Accademia 1969;

I. Sagiyama (a cura di), Kokin waka shū – raccolta di poesie antiche e moderne, Ariele 2000]


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